UNA VOCE VENETIA

Messe latine antiche nelle Venezie 
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LETTERE

MESSA IN LATINO, A QUALI CONDIZIONI?

 

Il corsivo apparso su L'Azione del 7 gennaio 2001, pagina 6, a commento della pubblicazione della lettera inviata dalla scrivente per conto del Coordinamento di "Una Voce" delle Venezie, contiene una serie di confusioni, equivoci, inesattezze, con l'attribuzione alle iniziative della petizione al Vescovo della messa latina antica secondo il messale del 1962 da parte dei cristiani vittoriesi, e della conferenza tenuta da don Ivo Cisar il 16 dicembre 2000 al municipio di Vittorio Veneto per presentare alla cittadinanza l'antico rito romano, di intenzioni e affermazioni non corrispondenti alla realtà dei fatti, deformando agli occhi dei lettori l'immagine degli interessati e dell'associazione "Una Voce" che dette iniziative ha promosso e supportato.

Per questi motivi, mi corre l'obbligo di chiedere la pubblicazione della presente ulteriore rettifica.

A proposito del patrocinio del Comune di Vittorio Veneto e della Regione Veneto, bisogna innanzi tutto distinguere tra petizione della messa al Vescovo e conferenza sulla messa. Il patrocinio è stato concesso alla conferenza, di cui è evidente e innegabile il carattere culturale: infatti di "patrocinio concesso... alla conferenza di don Ivo Cisar" parlava la nostra lettera. Per questo L'Azione, quando scrive: "Non vedo l'importanza culturale che lei assegna a questa richiesta", devia clamorosamente dall'oggetto della discussione, non instaurando quindi alcun dialogo, ma rimanendo nell'ambito dell'incomunicabilità.

In ogni caso è bene ribadire che il patrocinio delle istituzioni pubbliche non è fuori luogo, rientrando in quella "sana collaborazione" tra la comunità politica e la Chiesa (GS 76), che si esercita già per esempio nell'insegnamento della religione nelle scuole, nella tutela dell'arte sacra, della musica (non sempre sacra), nello stesso svolgimento del Giubileo a Roma, ecc. Se nelle chiese si ospitano mostre più o meno profane, concerti più o meno profani, non può avvenire anche in senso contrario che un ambiente profano ospiti una conferenza a carattere religioso?

Circa l'antichità del rito romano antico, nel secolo XVI fu compiuta un'opera di unificazione e sfoltimento del messale romano (in uso nella Curia romana) che, nei suoi vari elementi, risale  a secoli precedenti, il cui sviluppo è possibile rintracciare fino al IV-V secolo dell'era cristiana. E questo sviluppo era stato uno sviluppo organico, al pari di quello successivo alla pubblicazione di san Pio V, che si è invece interrotto con la riforma postconciliare. Le modifiche dal 1570 al 1962 sono state essenzialmente aggiunte di propri per i nuovi santi, lievi modifiche all'ordinario della messa sono venute solo con il beato Giovanni XXIII, del tutto irrilevanti se messe a confronto con quelle intervenute dopo il Vaticano II nel 1965 e al salto del 1970...

Quanto alla lingua latina, non si tratta di recuperare solo questa. Il canto gregoriano (quando lo si usa, perché esiste anche la messa bassa) fa parte organica del rito romano antico, col canto del celebrante alle orazioni, al vangelo, al prefazio, al Padre nostro, ecc. Sul versante opposto, nessuno nega la validità della messa c. d. di Paolo VI, ma non è in questione neppure questa, ossia la sua essenza. La questione verte in realtà circa le molteplici e notevoli differenze tra il rito del 1962 di Giovanni XXIII, ultima edizione del messale di Pio V, e quello del 1970 di Paolo VI, dovute ai tagli, alle semplificazioni e alle novità postconciliari.

L'espressione "ricordo reale del sacrificio di Gesù Cristo" - usata dall'estensore del corsivo de L'Azione - è equivoca: il sacrificio eucaristico è il rinnovamento (anamnesi, memoriale, attualizzazione) del sacrificio della croce (unico, irripetibile). Il sacrificio eucaristico che inizia come sacrificio "assoluto" della Chiesa, confluisce, mediante la transsustanziazione in quello di Gesù Cristo, al quale è relativo. Resta da capire e da spiegare se l'estensore del corsivo intenda per "ricordo reale" quello che il Concilio Vaticano II chiama "memoriale" (SC 47): verum et proprium sacrificium, non una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce (Concilio di Trento, Sess. 22, can. 1 e 3). "Il sacrificio dell'altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce, offendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima" (Pio XII, enc. Mediator Dei, 66). Quanto all'aggettivo "reale", esso può ricevere varie interpretazioni (cfr. SC 7 sulle varie presenze "reali" di Cristo nella liturgia...). Francamente sorprende alquanto che chi pare voler rimproverare altri di "confondere l'essenza della messa", nel farlo usi a sua volta un'espressione imprecisa al punto che il lettore è autorizzato a dubitare se essa sia intesa nel senso in cui la intendiamo noi cattolici, in cui la intende la Chiesa.

Proprio il postconcilio (più che il concilio) ha impoverito e reso ambiguo il rito della messa, togliendo il risalto a varie verità della fede cattolica: resta "perplesso" chi non compie un serio confronto tra i due riti, mentre, mentre proprio il rito nuovo rende perplessi quei cattolici, la cui sensibilità chiede l'applicazione della facoltà già concessa dal Papa per una migliore esplicitazione di quel che nel rito rimane essenziale.

dott.ssa Editta Pirone

 

Mi pare francamente una sottigliezza affermare che il patrocinio del Comune e della Regione era concesso alla conferenza sulla messa in latino, ma non alla richiesta della messa. In ogni modo per essere egualmente pignoli, ricordo che nel primo comunicato dell'associazione "Una Voce" del 13 dicembre 2000, si legge: "Per esporre ai giornalisti le finalità e l'andamento della petizione e per illustrare imminenti attività associative (banchetti per le strade e  pubblica conferenza aperta alla cittadinanza, ecc.) è indetta conferenza stampa venerdì 15 dicembre alle 11, presso il Municipio di Vittorio veneto, Sala di Rappresentanza...". La concessione della Sala di Rappresentanza è un chiaro appoggio proprio alla "petizione".

Per quanto riguarda l'espressione "ricordo reale del sacrificio di Cristo" sottoscrivo a due mani tutte le precisazioni teologiche, che, tuttavia, non era il caso di fare dato il contesto in cui la frase era detta.

Invece quello che mi pare grave dal punto di vista della fede è la svalutazione e le insinuazioni della lettera, come negli altri interventi, sulla riforma conciliare della messa. Si dice che la riforma "ha impoverito e reso ambiguo il rito della messa, togliendo risalto a varie verità della fede cattolica". Nientemeno! È il caso di ricordare che le decisioni di un Concilio non sono, per un credente, opinioni qualsiasi. Comunque faccio notare che il documento della Santa sede del 1984, molto citato dai promotori della richiesta, che ha autorizzato la celebrazione della messa secondo il rito antico, pone questa tassativa condizione: "Deve constare in tutta chiarezza, anche pubblicamente, che questi sacerdoti e i rispettivi fedeli in nessun modo condividono le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l'esattezza dottrinale del Messa romano promulgato dal papa Paolo VI nel 1970". Come la mettiamo con le suddette espressioni?

 

da "L'Azione". Settimanale della Diocesi di Vittorio Veneto, 11 febbraio 2001

 

 

 

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