UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie  
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

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DOMENICA DI SETTUAGESIMA

 

Il peccato e le sue conseguenze.

La Santa Chiesa oggi c'invita a ricordare insieme con lei la storia della caduta del nostro progenitore. Una simile rovina già ci mostra l'epilogo della vita mortale. del Figlio di Dio fatto uomo, il quale si degnò addossarsi l'espiazione della prevaricazione originale e di tutte le colpe future. Per essere in grado d'apprezzarne il rimedio, è necessario che guardiamo in fondo la piaga. Perciò dedicheremo l'intera settimana a meditare la gravità del primo peccato e il cumulo delle sventure che attirò sull'umanità.

Una volta la Chiesa leggeva nel Mattutino di questa domenica il racconto di Mosè che preparava tutte le generazioni a questo grande avvenimento. L'attuale Liturgia rimanda questa lettura al Mattutino del Mercoledì di questa settimana, mentre i giorni che lo precedono sono consacrati ai sei giorni della creazione. Tuttavia è bene che ce ne occupiamo ugualmente subito, perché è la storia più importante ed è la base di tutti gl'insegnamenti della settimana.

 

Dal libro del Genesi (Gen 3,1-19)

Ora il serpente era il più astuto di tutti gli animali della terra che il Signore aveva fatti. Ed esso disse alla donna: "Perché Dio v'ha comandato di non mangiare del frutto di tutte le piante del paradiso?" E la donna gli rispose: "Del frutto delle piante che sono nel paradiso ne mangiamo; ma del frutto dell'albero che è nel mezzo del paradiso Dio ci ordinò di non mangiarne, e di non toccarlo, ché forse non s'abbia a morire". Ma il serpente disse alla donna: "No, voi non morrete. Anzi Dio sa bene che , in qualunque giorno ne mangerete, si apriranno i vostri occhi, e sarete come Dei, avendo la conoscenza del bene e del male". Or la donna, vedendo che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto, lo colse e ne mangiò e ne diede al suo marito, che ne mangiò.

Allora si apersero gli occhi ad ambedue, ed essendosi accorti d'esser nudi, cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Ed avendo udito la voce del Signore Dio che passeggiava nel fresco del paradiso al fresco della sera, Adamo con la sua moglie si nascose dal cospetto del Signore Dio in mezzo agli alberi del paradiso. E il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: "Dove sei?" Ed egli rispose: "Ho sentito nel paradiso la tua voce, ed avendo paura, perché nudo, mi son nascosto". E Dio gli disse: "Chi ti ha fatto conoscere d'essere nudo, se non l'aver mangiato il frutto del quale ti avevo comandato di non mangiare?". Adamo rispose: "La donna che mi desti per compagna mi ha dato il frutto e io ne ho mangiato". E il Signore Dio disse alla donna: "Perché hai fatto questo?". Ed essa rispose: "Il serpente mi ha sedotta, ed io ne ho mangiato".

Allora il Signore Dio disse al serpente: "Perché hai fatto questo, sei maledetto fra tutti gli animali e le bestie della terra, tu striscerai sul tuo ventre e mangerai terra tutti i giorni della tua vita. Ed io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; essa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno". E alla donna disse: "Io moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze: con dolore partorirai i tuoi figlioli, sarai sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà". Ad Adamo poi disse: "Perché hai dato ascolto alla voce della tua moglie, ed hai mangiato del frutto del quale io t'avevo comandato di non mangiare, la terra è maledetta per causa tua, con fatica ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Essa ti produrrà triboli e spine, e tu mangerai l'erba dei campi. Col sudore della tua fronte mangerai il pane, finché non tornerai nella terra dalla quale fosti tratto; perché tu sei polvere, e in polvere ritornerai".

 

Ecco la terribile pagina della storia umana, che sola può spiegare la condizione attuale dell'uomo sulla terra e per mezzo della quale noi impariamo come comportarci con Dio. Ne faremo l'oggetto principale delle nostre riflessioni nei prossimi giorni. Frattanto veniamo alla spiegazione della Liturgia odierna.

 

M E S S A

La Stazione è, a Roma, in S. Lorenzo fuori le Mura.

Gli antichi liturgisti notavano la relazione esistente fra il giusto Abele, il cui sangue sparso dal fratello forma l'oggetto d'un Responsorio dell'odierno Mattutino, e il Martire sulla tomba del quale la Chiesa Romana apre la Settuagesima.

 

EPISTOLA (1Cor 9,24-27; 10,1-15). - Fratelli: Non sapete che nelle corse dello stadio corrono sì tutti, ma uno solo ottiene il premio? Anche voi correte in modo da ottenerlo. Tutti i lottatori si sottopongono a ogni sorta di astinenze, e lo fanno per una corona corruttibile; ma noi lo facciamo per ottenere una corona eterna. Io poi corro in questa maniera e non come a caso: così combatto, non come chi batte l'aria: ma tratto duramente il mio corpo e lo costringo a servire, affinché dopo aver predicato agli altri, non diventi reprobo io stesso. Non voglio lasciarvi ignorare, o fratelli, che i padri nostri furono tutti sotto la nuvola, e tutti attraversarono il mare, e tutti furon battezzati per Mosè nella nube e nel mare, e tutti mangiarono dello stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale (bevevano alla pietra spirituale che li accompagnava, e questa pietra era Cristo). Ma non in gran numero di essi Dio si compiacque.

 

Coraggio e generosità.

L'energica parola dell'Apostolo raddoppia la nostra emozione al pensiero dei grandi eventi che si collegano a questo giorno. Il mondo è un'arena dove tutti dobbiamo correre; ma il premio sarà di coloro che corrono agili e liberi. Guardiamoci quindi da tutto ciò che potrebbe ritardare la nostra corsa e farci perdere la corona. Non illudiamoci: non v'è nessuna sicurezza per noi, finché non saremo arrivati al termine. È stata forse la nostra conversione più sincera di quella di san Paolo, e le nostre opere più sante e meritorie delle sue? Tuttavia egli confessa che non s'è spento nel suo cuore il timore di divenire reprobo per cui castiga il suo corpo e lo tiene schiavo.

Allo stato attuale l'uomo non ha più quella retta volontà di Adamo prima del peccato, che del resto ne seppe usare così male: una tendenza fatale ci trascina verso l'abisso, al punto che possiamo conservare l'equilibrio solo sacrificando il corpo allo spirito. Sembra, questa una dottrina dura ai più, tanto che molti non giungeranno al traguardo, né potranno aver parte alla ricompensa loro destinata. Come gli Israeliti di cui parlava l'Apostolo, essi meriteranno d'essere seppelliti nel deserto e non vedranno mai più la terra promessa. Eppure s'erano realizzate sotto i loro occhi le stesse meraviglie di cui furono testimoni Giosuè e Caleb; ma non esiste rimedio che possa guarire l'indurimento d'un cuore che si ostina a riporre ogni speranza nelle cose presenti, come non si rivelassero ad ogni momento vane e pericolose.

Se invece il nostro cuore confida in Dio e si conforta pensando che non mancherà il suo aiuto a chi l'implora, non s'arresterà mai la corsa del nostro pellegrinaggio e giungeremo felicemente alla mèta. Gli occhi del Signore sono sempre rivolti a chi lavora e soffre (Dal Graduale della Messa).

 

VANGELO (Mt 20,1-16). - In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: È simile il regno dei cieli a un padrone che allo spuntar del giorno uscì a prendere ad opera dei lavoratori per la sua vigna. E pattuito coi lavoratori un denaro al giorno, li mandò alla sua vigna. Ed uscito verso l'ora terza, vide altri stare sulla piazza sfaccendati, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna e vi darò quel che sarà giusto. E quelli andarono. Di nuovo uscì verso l'ora sesta e nona, e fece lo stesso. Uscito poi verso l'undecima, trova altri sfaccendati, e dice loro: Perché vene state tutto il giorno qui senza far nulla? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli a loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta poi la sera, il padrone della vigna dice al suo fattore: Chiama i lavoratori e paga loro la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Essendo dunque venuti quelli dell'undecima ora, ebbero un denaro per uno. Venuti poi anche i primi, pensavano di ricevere di più: ma ebbero anch'essi un denaro per uno. E, presolo, mormoravano contro il padrone, dicendo: Questi ultimi han fatto un'ora sola, e li hai trattati come noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo. Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto: non hai pattuito con me per un denaro? Piglia il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. E non posso fare del mio quel che voglio? È forse maligno il tuo occhio perché io son buono? Così gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi. E molti sono i chiamati, pochi gli eletti.

 

La chiamata delle nazioni.

Notiamo la grande importanza di cogliere il senso giusto di questo brano evangelico e valutarne i motivi per cui la Chiesa ce lo propone in questo giorno.

Anzitutto consideriamo le circostanze nelle quali il Salvatore pronuncia tale parabola e il fine istruttivo che in essa ci viene esplicitamente dichiarato. Si tratta di avvertire i Giudei che s'avvicina la fine della loro legge, la quale deve lasciare il posto alla legge cristiana, e di disporli ad accogliere favorevolmente l'idea che i Gentili saranno chiamati a stringere alleanza con Dio. Difatti la vigna di cui si parla è la Chiesa, nei suoi differenti aspetti, dall'inizio del mondo fino al giorno in cui il Signore s'abbassò a venire in mezzo agli uomini e costituì, in una forma visibile e permanente, la società dei credenti in lui. L'alba di questo mondo era durata da Adamo fino a Noè; l'ora terza si estese da Noè ad Abramo; l'ora sesta cominciò da Abramo e giunse fino a Mosè; l'ora nona fu l'epoca dei Profeti, fino all'avvento del Signore. Finalmente l'ora undecima, quando cioè il mondo sembrava volgere alla completa rovina, apparve il Messia. Le più grandi misericordie furono riservate a questa ultima età, nella quale la sua salvezza doveva estendersi ai Gentili per mezzo della predicazione degli Apostoli.

Con quest'ultimo mistero Gesù vuol confondere la superbia dei Giudei e far notare l'invidia dei Farisei e dei Dottori della Legge vedendo estendersi, fino alle nazioni pagane, l'adorazione del Padre: il che apparve chiaramente dalle rimostranze egoistiche degli operai invitati per primi, al Padre di famiglia. Ma la loro ostinazione sarà debitamente punita, perché Israele che lavorava prima di noi sarà riprovato per la durezza del suo cuore, e noi Gentili ch'eravamo gli ultimi, diventeremo i primi figli del Padre, perché saremo membri della Chiesa Cattolica, Sposa del Figlio di Dio.

 

La vocazione d'ogni uomo.

Questa è l'interpretazione che fanno della parabola i santi Padri, specialmente sant'Agostino e san Gregorio Magno. Ma l'insegnamento del Salvatore contiene senza dubbio un altro importante significato, non meno sottolineato dall'autorità dei due santi Dottori, e consiste nella chiamata che Dio rivolge a ciascuno di noi per invitarci a meritare il Regno eterno con la fatiche di questa vita.

Il mattino fu la nostra infanzia. L'ora terza, secondo il costume antico di contare, è quella della prima ascesa del sole verso il cielo, cioè l'età della giovinezza. L'ora sesta, mezzogiorno, è l'età virile. Finalmente l'undecima, che precede di pochi istanti il tramonto, è la vecchiaia. Il Padre di famiglia chiama operai a tutte le ore, ed essi devono rispondere non appena odono la sua voce; non è lecito ai primi chiamati attardarsi al lavoro, col pretesto che ci andranno a una seconda chiamata del Padrone: chi li assicura che vivranno fino all'ultima ora? quando sarà l'ora terza, può uno presumere di arrivare anche alla sesta ora? Il Signore chiamerà alle ultime ore di lavoro i superstiti di questo mondo; ma non s'è mai impegnato a rinnovare l'invito a chi una volta lo rifiutò.

 

P R E G H I A M O

Esaudisci, Signore, le preghiere del tuo popolo e fa' che noi giustamente afflitti per i nostri peccati, siamo misericordiosamente liberati a gloria del tuo nome.

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 427-431

 

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