UNA VOCE VENETIA

Messe latine antiche nelle Venezie

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Offertorio sacrificale

 

di don Ivo Cisar

 

Nella "nuova messa" l'offertorio è stato ridotto ai minimi termini (e qualche sacerdote lo semplifica e accorcia ulteriormente), tanto che le sue formule - ricalcanti la preghiera conviviale ebraica, non senza contributo di Paolo VI ("frutto del lavoro dell'uomo") - danno l'impressione di una semplice presentazione-preparazione della "materia" per la Cena eucaristica ("perché diventi per noi cibo di vita eterna, … bevanda di salvezza"). Sarebbe il ritorno al rito originario (1), come spiega, per esempio, Theodor Schnitzler (2), sempre in ossequio al diffuso "archeologismo" che rinnega il progresso liturgico (3).

 

Se poi, come accade spesso, quasi di preferenza, viene usata la Preghiera eucaristica II, quella più breve, si passa quasi immediatamente alla consacrazione (vi sono sacerdoti che hanno quasi orrore e paura della Preghiera eucaristica I, il Canone romano, al quale sono completamente disabituati) e si oscura il significato profondamente teologico dei riti stabiliti dalla Chiesa che, come pia madre, induce le menti dei fedeli alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio (4).

 

Come risulta dalla semplice lettura delle orazioni nell'offertorio della messa tridentina e nel Canone romano, e come ha messo in risalto Hans Urs von Balthasar:

 

"Nessun pensiero si mantiene con tanta perseveranza nel Canone romano della messa ed è tanto insistente quanto quello secondo il quale la Chiesa offre un sacrificio a Dio Padre, glielo presenta, glielo raccomanda, ne implora l'accettazione, glielo affida e lo motiva in molteplice modo, con istanza pressante e quasi ansietà, come se per la salvezza sua e dei suoi figli tutto dipendesse dal fatto che Dio accolga quest'offerta".

 

Con la nota:

 

"In tale canone: quattro volte sacrificium, tre volte hostia, quattro volte offerre, due volte oblatio, come analoghe espressioni d'offerta (vota reddere, ecc.). Nelle preghiere dell'offertorio: tre volte offerre, quattro volte sacrificium (nostrum), due volte oblatio, una volta hostia" (5).

 

È ovvio che il sacrificio eucaristico è anche sacrificio della Chiesa, come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica 1368 e 1553. A proposito dell'offertorio, si legge nel medesimo catechismo:

 

"vengono recati poi all'altare… il pane e il vino che saranno offerti dal sacerdote in nome di Cristo nel sacrificio eucaristico, nel quale diventeranno il suo Corpo e il suo Sangue. È il gesto stesso di Cristo nell'ultima cena, quando prese il pane e il calice. 'Soltanto la Chiesa può offrire al Creatore questa oblazione pura, offrendogli con rendimento di grazie ciò che proviene dalla sua creazione' (sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 4, 18, 4). La presentazione dei doni all'altare assume il gesto di Melchisedek e pone i doni del Creatore nelle mani di Cristo. È lui che, nel proprio sacrificio, porta alla perfezione tutti i tentativi umani di offrire sacrifici" (6).

 

Il Concilio Tridentino ha precisato che nella messa si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, che non significa soltanto che Cristo ci viene dato in cibo, né una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, ma un sacrificio propiziatorio (7).

 

Dal tenore delle formule offertoriali tradizionali si coglie che il sacrificio eucaristico inizia, da parte della Chiesa, già nell'offertorio. Fin dal 1961, e poi specialmente nel 1966, nel mio insegnamento di Teologia dogmatica ne ho proposto una spiegazione teologica che qui riassumo (8).

 

Il sacrificio eucaristico è certamente sacrificio sacramentale (sacramento, cioè segno efficace del sacrificio della croce), quindi relativo, non nuovo, ma solo rinnovato (non "ripetuto"), ma insieme da parte della Chiesa un rito vero, in qualche maniera "assoluto", secondo l'insegnamento di sant'Agostino (9), del Concilio Tridentino (10) e di Paolo VI (11).

 

Siccome, poi, il sacrificio si compie non mediante la distruzione, ma mediante la trasformazione, e così devoluzione dei doni, della vittima, nella sfera divina,

 

"si può dire che il sacrificio eucaristico è semplicemente applicativo da parte di Cristo, essendo memoriale-rinnovamento sacramentale del suo unico sacrificio della croce, ma comporta insieme una novità da parte della Chiesa, cioè di noi, in quanto dobbiamo appropriarci del sacrificio di Cristo, inserendoci in esso, diventando insieme con Lui vittime che si offrono, consacrano, donano filialmente a Dio Padre. Quest'offerta di noi stessi s'inizia nell'offertorio in cui la Chiesa presenta, in segno della propria offerta, i suoi poveri doni di pane e vino. Questi poi vengono trasformati (transustanziati, s'intende) nella consacrazione, e così devoluti nella sfera divina, divenendo Corpo e Sangue di Cristo. Nel momento stesso e con l'atto stesso con cui si perfeziona il sacrificio della Chiesa (in tale senso 'assoluto'), esso diventa tutt'uno con il sacrificio di Cristo, sacramentalmente presente e operante (sacrificio relativo). Qualcuno ha paragonato l'altare al talamo nuziale di Cristo e della Chiesa, e vi si può applicare la parola di san Giovanni Battista sulla sua funzione di amico dello sposo di unire lo sposo e la sposa (Gv 3, 29): è il compito del sacerdote celebrante (cfr. LG 10b; grazie al sacerdozio ministeriale si attua ed esercita il sacerdozio comune dei fedeli; cfr. anche Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis 16)" (12).

 

Von Balthasar vede in Maria Santissima il modello e la protagonista dell'unione sponsale della Chiesa con Cristo (13). L'aspetto sponsale di Maria rispetto a Cristo è stato messo in luce da Ignace de la Potterie, nell'articolo La Madre di Gesù e il mistero di Cana (14). Possiamo vedere l'offertorio della Madonna nella presentazione di Gesù al tempio, preludio del suo stare sotto la croce, espressione delle disposizioni della stretta unione con Cristo Sacerdote e Vittima da parte di Maria, modello della Chiesa (15).

 

È del tutto essenziale e urgente che venga riscoperto il senso sacrificale dell'eucaristia, per recuperare il senso del peccato, e quindi della Redenzione, e per usufruirne per la salvezza.

 


 

Note

 

(1) San Giustino, Apologia, I 65.

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(2) Th. Schnitzel, Il significato della messa, Roma, Città Nuova, 1986, pp. 121, 125.

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(3) Cfr. Pio XII, Enc. Mediator Dei, in EE VI 490: "Questo modo di pensare e di agire fa rivivere l'eccessivo e insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del 'deposito della fede' affidatole dal suo divin Fondatore, a buon diritto condannò"; 626: "È assolutamente necessario, però, che in tutto ciò vigiliate attentamente perché nel campo del Signore non si introduca il nemico per seminarvi la zizzania in mezzo al grano (Mt 13, 24-25), perché, in altre parole, non si infiltrino nel vostro gregge i perniciosi e sottili errori di un falso misticismo e di un nocivo quietismo - errori da noi, come sapete, già condannati - e perché le anime non siano sedotte da un pernicioso umanesimo, né s'introduca una falsa dottrina che altera la nozione stessa della fede, né, infine, un eccessivo archeologismo in materia liturgica"; in generale 476 ss. V. Messori-J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1985, pp. 136, 138.

sopra

(4) Conc. Tridentino, Sess. XXII, Cap. 5, in DS 1746: "Poiché la natura umana è tale da non potersi elevare con facilità alla meditazione delle cose divine senza l’ausilio di segni esteriori, per questo la pia madre Chiesa ha istituito norme rituali, come, per esempio, che nella messa alcune formule siano da pronunziarsi sommessamente, altre a voce più elevata; ha stabilito cerimonie, quali mistiche benedizioni, candele, incenso, vesti e molte altre cose di questo genere, derivanti dalla disciplina di tradizione apostolica, con cui non solo si riconoscesse la maestà di un così grande sacrificio, ma anche si inducesse la mente dei fedeli, attraverso i segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà in questo stesso sacrificio celate".

sopra

(5) H. U. von Balthasar, La messa è un sacrificio della Chiesa?², in Spiritus Creator. Saggi teologici, III, Brescia, Morcelliana, 1983, p. 159 e nt. 1.

sopra

(6) CCC 1350.

sopra

(7) Conc. Tridentino, Sess. XXII, Can. 1, in DS 1751: "Se qualcuno dice che nella messa non viene offerto a Dio un vero e proprio sacrificio, o che l’offerta non sia altro che Cristo ci viene dato in cibo, sia anatema"; Can. 3, in DS 1753: "Se qualcuno dice che il sacrificio della messa è soltanto di lode e rendimento di grazie, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non è un sacrificio propiziatorio; o che giova soltanto a chi lo assume; e che non deve essere offerto per i vivi e per i defunti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità, sia anatema"; cfr. ivi, Cap. 2, in DS 1743.

sopra

(8) I. Cisar, Dispense di Teologia sacramentaria, Istituto Teologico Abruzzese (affiliato alla Pontificia Università Lateranense), Chieti, a. a. 1965/66, p. 61.

sopra

(9) "Il vero Mediatore tra Dio e gli uomini… Egli è il Sacerdote, Egli è l'offerente, Egli la vittima. E volle perpetuare questo mistero nel sacrificio quotidiano della Chiesa, la quale, essendo il corpo di cui Egli è il Capo, offra se stessa per mezzo di Lui", s. Agostino, De civitate Dei, 10, 20.

sopra

(10) "… per lasciare alla Chiesa, sua amata sposa, un sacrificio visibile… che doveva essere immolato dalla Chiesa…", Conc. Tridentino, Sess. XXII, Cap. 1, in DS 1740-1741.

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(11) "Ma c’è un’altra cosa che, essendo assai utile a illustrare il mistero della Chiesa, ci piace di aggiungere, cioè la Chiesa fungendo in unione con Cristo da sacerdote e da vittima, offre tutta intera il sacrificio della messa e tutta intera vi è offerta. Questa mirabile dottrina già insegnata dai padri, recentemente esposta dal nostro predecessore Pio XII di f. m., ultimamente espressa dal Concilio Vaticano II nella costituzione sulla Chiesa, a proposito del popolo di Dio, noi ardentemente desideriamo che sia sempre più spiegata e più profondamente inculcata nell’animo dei fedeli, salva però, com’è giusto, la distinzione, non solo di grado, ma anche di natura, che passa tra il sacerdozio dei fedeli e quello gerarchico. Tale dottrina, infatti, è quanto mai adatta ad alimentare la pietà eucaristica, ad esaltare la dignità di tutti i fedeli, nonché a stimolare l’animo a toccare il vertice della santità, che altro non è che mettersi tutto a servizio della divina maestà con una generosa oblazione di sé", Paolo VI, Enc. Mysterium fidei, in EV II 419.

sopra

(12) I. Cisar, In che senso l'eucaristia è sacrificio, in "Palestra del Clero" 1994, pp. 215-217. Gv 3, 29: "(Giovanni rispose:) ... Chi possiede la sposa e lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta"; LG 10b: "Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano di essenza e non soltanto di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro; ambedue infatti, ognuno nel suo modo proprio, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo. Con la potestà sacra di cui è rivestito, il sacerdote ministeriale forma e dirige il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; da parte loro i fedeli, in virtù del loro sacerdozio regale, concorrono a offrire l'eucaristia ed esercitano il loro sacerdozio nel ricevere i sacramenti, nella preghiera e nel ringraziamento, nella testimonianza di una vita santa, nell'abnegazione e nell'operosa carità".

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(13) H. U. von Balthasar, La messa è un sacrificio, cit., pp. 191-207.

sopra

(14) I. de la Potterie, La Madre di Gesù e il mistero di Cana, in Civ. Catt., 1979, IV, pp. 425-440.

sopra

(15) Lc 2, 34-35: "Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: 'Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima'"; Gv 19, 25-27: "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!'. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa"; LG 57-58; 63.

sopra

 

 

Cfr. "Instaurare omnia in Christo" (C. P. 3027 I-33100 Udine) 3/2001, pp. 5-10

 

 

 

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