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Pordenone, continuano le proteste per la discriminazione dei cattolici

Il caso della Santissima agli "ortodossi" rumeni, e la discrimazione dei cattolici legati all'antico rito, continua a sollevare scandalo e proteste a Pordenone. Questa lettera pubblicata sul periodico Instaurare di Udine (3/2004), inviato a tutti i sacerdoti della diocesi di Concordia-Pordenone, e anche al Vescovo, fa comprendere abbastanza chiaramente che in realtà gli "ortodossi" sono più un pretesto per poter eliminare, o almeno allontanare una messa che dà fastidio. Sul perché dia fastidio, si potrebbero fare varie ipotesi, anche guardando l'impostazione di quella diocesi e quello che vi si insegna da parte dei preti. Lo stesso Instaurare ha documentato questo, in una nota critica sul libro Le ultime ore di Gesù (Pordenone, 2004), del sacerdote diocesano concordiese don Chino Biscontin, libro che ha suscitato scalpore, scandalo e polemiche a Pordenone ma non solo (cfr. Un distillato di modernismo, in "Instaurare" 2/2004).

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LETTERE ALLA DIREZIONE

L'inutile, assurda e ostinata persecuzione

 

Caro Direttore, diversi anni or sono Carlo Belli pubblicò un libro ("Altare deserto", Roma, Volpe, 1983), un capitolo del quale era intitolato "L'inutile persecuzione". Le pagine di Carlo Belli documentavano le difficoltà incontrate dai "tradizionalisti" veneziani nell'ottenere, prima, e nel conservare, poi, la possibilità di celebrare la santa Messa con l'antico rito romano. Non a caso Carlo Belli parlò di "persecuzione": in un tempo di permissivismo liturgico (anzi, di anarchia liturgica), nel quale tutto era concesso a tutti, solamente i "tradizionalisti" non avrebbero dovuto godere del diritto di celebrare la Messa di sempre, quella Messa che la Chiesa cattolica ha celebrato per secoli e che, ora, persino diversi Vescovi dallo spirito fazioso vorrebbero impedire venisse celebrata nonostante il Papa abbia concesso un "Indulto" a questo proposito e abbia ripetutamente raccomandato la sua larga e generosa applicazione.

Se qualche decennio fa la "persecuzione" era "inutile", ostinarsi ora a continuarla rende assurda la posizione dei "persecutori".

È assurda, innanzitutto, perché è una palese disobbedienza al Papa: i Vescovi hanno il dovere di valutare se l'istanza dei fedeli tesa ad ottenere l'applicazione dell'Indulto corrisponde alle oggettive finalità per le quali il Santo Padre ha concesso l' "Indulto" medesimo. Essi, però, violerebbero un diritto dei fedeli e procurerebbero loro un danno spirituale e morale se si opponessero all'applicazione dell'indulto senza serie e documentate motivazioni e senza chiare spiegazioni. In altre parole, nessun Vescovo può esercitare arbitrariamente la propria potestà. Se lo facesse non eserciterebbe il potere del Vescovo ma abuserebbe di questo stesso potere.

È assurda, poi, perché contraria al bene delle anime dei richiedenti. Nessun Vescovo può frapporre ostacoli al conseguimento del bene spirituale dei fedeli. Se lo facesse tradirebbe i suoi doveri, anche se agisse "in coscienza" (ma, in questo caso, sulla base di una coscienza soggettiva non rettamente formata). Per evitare il pericolo di agire sulla base di una coscienza certa ma erronea, il Vescovo è tenuto a motivare le sue decisioni: la motivazione, infatti, consente di valutare se le sue disposizioni sono arbitrarie, erronee e, talvolta, persino malvagie, oppure se esse sono frutto di una decisione "amara" ma necessaria per il bene delle anime dei fedeli. La motivazione, in altre parole, consente di evitare di continuare ad agire sulla base di erronei convincimenti sottoponendoli alla valutazione dei fedeli e, soprattutto, della suprema autorità della Chiesa.

È assurda, inoltre, la "persecuzione", perché pretende di rendere illecito il lecito. La pluralità dei riti nella Chiesa è una ricchezza della Chiesa medesima, come la pluralità degli Ordini religiosi: tutti tendono alto stesso fine (buono) ma percorrendo strade diverse. La soppressione di un Ordine religioso (approvato) non può essere né invocata né fatta sulla base della non conformità di questo a un altro Ordine. Così non si può affermare che il rito romano antico deve essere "soppresso" perché non conforme a quello comunemente in uso. Ciò non solo sarebbe oggettivamente un impoverimento ma rappresenterebbe soprattutto un abuso soggettivo. Tanto più perché scambierebbe (errore oggi assai diffuso) la comunità con l'uniformità; essa è costituita da fedeli identici (in quanto fedeli) ma diversi (in quanto a carismi ed esigenze), che tendono (o dovrebbero tendere) allo stesso fine ma ognuno facendo un percorso individuale nella Chiesa e con la Chiesa.

Caro Direttore, mi sono permesso queste brevi riflessioni perché recentemente il Vescovo di Concordia-Pordenone, senza ascoltare gli interessati (ma tenendo presenti le osservazioni di parte di qualcuno), ha disposto il trasferimento (revocato in seguito a formale ricorso) della celebrazione: anziché nella chiesa della Santissima, ove da anni si celebra la Messa in rito romano antico (e ove con il concorso finanziario dei "tradizionalisti" è stato installato l'impianto di riscaldamento), la santa Messa si sarebbe dovuta celebrare in una cappella di difficile accesso e assolutamente inidonea alle celebrazioni "tradizionali". Perché? Perché - questa la motivazione "ufficiale" - la chiesa (cattolica) della Santissima, essendo stata concessa per le celebrazioni ai cristiani della Chiesa romena cosiddetta ortodossa, non consentirebbe ai cattolici (sia pure "tradizionalisti") di usufruirne come avveniva in seguito e nel rispetto della precedente concessione dell'Ordinario. L'atteggiamento del Vescovo di Concordia-Pordenone è lo stesso tenuto da altri Ordinari. Certo, oltre a quanto osservato sopra in linea di principio, ci sarebbe da chiedersi se è lecito ostacolare le legittime aspettative dei fedeli cattolici per dare spazio alle celebrazioni di altre confessioni nelle chiese cattoliche. Sembrerebbe regola di buon senso che le "esigenze" degli "altri" siano soddisfatte dopo aver rispettato i diritti dei propri fedeli: l'ecumenismo (fra l'altro, male inteso) non può essere preso a pretesto per negare ai cattolici il soddisfacimento delle loro esigenze spirituali.

Daniele Mattiussi

 

da: "Instaurare omnia in Christo" 3/2004

 

 

 

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Inserito il  26 gennaio 2005

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