UNA VOCE VENETIA

Messe latine antiche nelle Venezie 
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Questa importante intervista con S. Em.za il Card. Francis Arinze, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, pubblicata già alla fine dello scorso anno, contiene alcuni passaggi che riguardano direttamente la questione della messa antica. Arinze considera positivamente l'antico rito, e riconosce che nella Chiesa ci deve essere spazio anche per i "fedeli che trovano il vecchio rito più confacente alla loro pietà e all'adorazione": "È quello che ha previsto Giovanni Paolo II quando con il motu proprio Ecclesia Dei adflicta ha pregato i vescovi di essere generosi nell'applicare l'indulto per l'uso del vecchio messale". Sembra quanto Una Voce dice da anni, e che i vescovi italiani non ascoltano. Ascolteranno ora?

 

 

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LITURGIA. Parla il nuovo prefetto della Congregazione per il culto divino

Attenti alle traduzioni

Nel passare dalla lingua latina a quelle volgari è necessario essere fedeli all'originale, secondo le indicazioni fornite dal Concilio e dall'istruzione Liturgiam authenticam. Un problema che riguarda il mondo anglofono, ma non solo…

In generale si può ammettere che ci possano essere fedeli che trovano il vecchio rito più confacente alla loro pietà e all'adorazione, e che ci siano altri invece che trovano il nuovo rito più confacente alla celebrazione della comunità ecclesiale. Ci deve essere spazio per gli uni e per gli altri

di Gianni Cardinale

 

Dallo scorso 1° ottobre, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha un nuovo prefetto. A ricoprire l'importante incarico è stato chiamato il cardinale Francis Arinze, nigeriano, che ha già maturato una lunga esperienza curiale, essendo da diciotto anni alla guida del dicastero vaticano che si occupa del dialogo con le religioni non cristiane.

Arinze, 70 anni compiuti da poco, partecipò giovanissimo all'ultima fase del Concilio Vaticano II. Dopo avere studiato filosofia in patria e teologia a Roma, e dopo essere stato ordinato sacerdote nell'Urbe nel 1958, nel luglio 1965 venne infatti nominato coadiutore dell'arcivescovo di Onitsha. Due anni dopo venne posto alla guida della metropolia nigeriana. Rimase in patria fino al 1984, quando Giovanni Paolo II lo chiamò alla guida dell'allora Segretariato per i non cristiani, l'odierno Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso. È cardinale dal maggio 1985.

A due mesi dal suo insediamento, il porporato africano ha accettato di rispondere ad alcune domande di 30Giorni. Il colloquio prende spunto dalla breve esperienza di Arinze al Concilio, il primo frutto del quale fu la costituzione Sacrosanctum Concilium dedicata proprio alla sacra liturgia.

Eminenza, cosa ricorda della sua breve esperienza conciliare?

FRANCIS ARINZE: Per me è stata una grande scuola. Come giovane vescovo non avevo molto da dire, ma avevo molto da imparare. Soprattutto l'universalità della Chiesa, e come la Chiesa abbraccia il mondo, anche se non in modo ingenuo. La Chiesa infatti apprezza ciò che c'è di buono nel mondo, ma non ne ignora gli aspetti negativi.

Come ha vissuto la riforma liturgica postconciliare?

ARINZE: Positivamente. La prima cosa che mi ha colpito è stato il fatto che il Concilio ha promosso l’introduzione delle lingue volgari nella liturgia, senza abolire il latino, questo è bene ricordarlo. Questa novità però non è stata esente da problemi. Si usa dire, infatti, che il traduttore facilmente diventa traditore. Anche perché alcuni brani della liturgia, delle preghiere che la Chiesa ha recitato per secoli, non sono facili da tradurre. Quello delle traduzioni è stato un grande lavoro per le Chiese locali in tutto il mondo. Questo immane lavoro si è dovuto fare anche per la Bibbia, da dove sono tratte le letture della messa, della liturgia delle ore, e di altri riti sacri. Il Concilio ha dato quindi molto lavoro alle Chiese locali e anche alla Curia romana.
Ora bisogna vedere se in questo lavoro siamo stati effettivamente fedeli al Concilio ­ a quello che il Concilio ha veramente detto, alla lettera del Concilio e non solo al suo spirito ­ e a quello che la Chiesa ha indicato successivamente: perché i testi conciliari non erano scesi nei minimi particolari che, quindi, sono stati esplicitati in successivi documenti della Santa Sede.

Quindi uno dei problemi principali del postconcilio è stato quello delle traduzioni  in volgare della liturgia…

ARINZE: Problemi molto sottili, in certi casi, che è possibile individuare solo raffrontando con molta attenzione i testi in volgare con l'originale latino. Problemi aggravati dal fatto che, a volte, per alcune lingue, come testo base non si è usato l'originale latino ma una traduzione in un'altra lingua volgare. La questione si pone ovviamente anche per la Bibbia. Ma non è stato questo l'unico problema del postconcilio. È successo che molti vescovi e sacerdoti non hanno studiato a dovere i testi conciliari… Si racconta di un prete ­ non africano ­ il quale ha chiesto a un suo confratello che si stava recando a Roma: "Puoi comprarmi un libro… non ricordo bene chi l'ha scritto… ma il titolo è Lumen gentium… ". Anche su questo fronte la Chiesa si trova davanti ad un lavoro immenso da fare.

Negli ultimi anni si è registrata una particolare attenzione da parte della Santa Sede e del suo dicastero in particolare alle traduzioni liturgiche in lingua inglese. Significa che ci sono problemi solo nell'area anglofona?

ARINZE: Il problema riguarda tutta la Chiesa universale e non solo quella anglofona. L'area di lingua inglese è però particolarmente importante perché molto estesa e perché a volte succede, per motivi pratici, che le traduzioni in alcune lingue particolari vengano fatte dai testi in inglese e non direttamente dal latino, come invece dovrebbe avvenire di norma. Quindi le traduzioni in inglese meritano, se possibile, una particolare attenzione e cura. Ma per motivi simili meritano altrettanta attenzione anche quelle in francese e spagnolo. Mentre per altri motivi, ugualmente importanti, anche quelle in italiano devono essere seguite con particolare cura.

Qual è il criterio che si dovrebbe seguire nelle traduzioni liturgiche?

ARINZE: I criteri sono ben spiegati dall'istruzione Liturgiam authenticam. Queste traduzioni devono essere ben curate e fedeli all'originale latino; una volta approvate dagli episcopati locali devono essere inviate a questa Congregazione per ricevere la recognitio; solo dopo aver ricevuto la recognitio queste traduzioni potranno essere usate nei vari Paesi.

Nel periodo postconciliare si è parlato molto di "inculturazione liturgica" …

ARINZE: A volte anche a sproposito… Ma, senza capire bene i documenti conciliari e la dottrina soggiacente ad essi, è difficile parlare di "inculturazione".

Una modalità di inculturazione approvata dalla Santa Sede è il cosiddetto "rito zairese"…

ARINZE: L'ex Zaire è uno dei 53 Paesi africani, e personalmente ho avuto l'occasione di partecipare ad una liturgia di questo genere quando ero ancora in Nigeria. Questa modalità particolare di celebrare il rito latino mi sembra buona. È bene ricordare che il "rito zairese" è stato il frutto di uno studio molto serio a livello locale e di una revisione attenta della Santa Sede. Se tutti i Paesi facessero così non ci sarebbero problemi. Questo rito non si celebra in tutto l'ex Zaire, ma dove lo si fa, mi dicono, lo si fa bene. Dicono che risponda bene all'anima africana e non ho motivo di dubitare che ciò sia vero. Personalmente sono molto aperto su questo.

Ritiene possibili ulteriori modalità di adattamento del rito romano in Africa o altrove?

ARINZE: Non lo escludo. Ma bisogna evitare che qualcuno si inventi qualcosa il sabato sera, sperimentandolo posto la domenica mattina da qualche parte, pretendendo poi di poterlo usare sempre e comunque. Questo genere di iniziative devono essere sempre ben studiate, devono essere appoggiate dai vescovi locali, e infine devono ricevere la recognitio di questa Congregazione. Ovviamente ci si deve sempre ricordare che gli adattamenti si possono fare fatta salva l'autenticità del rito latino. Sull'essenziale ci deve essere unità, sul non essenziale possono essere fatte le legittime variazioni, debitamente approvate da Roma. Senza improvvisazioni, a volte dettate da un malinteso entusiasmo. La Chiesa infatti non è cominciata oggi, né finisce con lei o con me. La Chiesa è stabilita da nostro Signore e ha una tradizione, ha dei riti sacri che non possono essere rovesciati da un giorno all'altro. Alcune formule della liturgia sono il frutto di discussioni secolari all'interno della Chiesa, sono formule con le quali la Chiesa ­ a volte dopo lunghe e faticose riflessioni ­ è arrivata ad una concretizzazione verbale della fede. Non si deve mai dimenticare la regola lex orandi, lex credendi: ciò che noi preghiamo sgorga da quello che noi crediamo e ciò che noi celebriamo influenza quello che noi crediamo.

Il cardinale Joseph Ratzinger negli ultimi anni ha più volte espresso la sua perplessità nei confronti di una eccessiva creatività nella celebrazione delle liturgie domenicali. Lo ha fatto, da ultimo, nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia

ARINZE: È un libro che ho letto tre volte. Sono perfettamente d'accordo col cardinale Ratzinger. Se si esalta la creatività nella liturgia arriviamo al punto che ognuno celebra a modo suo e che ci possono essere tanti tipi di messe per quanti sono i sacerdoti. Bisogna ricordare sempre che è la Chiesa che celebra la liturgia, non il singolo sacerdote o la singola comunità o perfino la singola diocesi.

Lei è un figlio spirituale del padre Michael "Iwene" Tansi, il monaco cistercense suo conterraneo proclamato beato dal Papa quattro anni fa. Cosa le ha insegnato il beato Tansi riguardo alla liturgia?

ARINZE: Il modo sobrio con cui celebrava la messa. Si vedeva che era un uomo di Dio, che non faceva scena, che non celebrava una cosa sua. Anche per questo modo di celebrare la sua fede era contagiosa per noi ragazzi che partecipavamo a queste liturgie. La fede profonda di padre Tansi traspariva anche dal modo con cui amministrava i sacramenti, e in special modo il battesimo e la confessione.

Eminenza, lei ha celebrato la messa secondo il vecchio rito, quello di san Pio V, e secondo il novus ordo postconciliare. Quali sono i pregi principali di questi due riti?

ARINZE: Nel vecchio rito sono presenti più gesti ­ genuflessioni, inchini, segni di croce, silenzi ­ che ci aiutano a pregare. Il rito attuale aiuta meglio il sacerdote a coinvolgere i fedeli presenti, però esige dallo stesso sacerdote un comportamento dignitoso, e da parte dei laici che collaborano più attivamente alla liturgia una buona preparazione. Chi legge le letture, chi dirige il coro, gli stessi coristi devono accuratamente evitare ogni deriva protagonistica. I sacerdoti, i chierichetti, i lettori, i coristi corrono infatti il rischio di attirare l'attenzione su se stessi e non sui misteri che si stanno celebrando. Non si va a messa per far vedere quanto si è bravi e applaudire. Il coro non canta per essere ammirato dal popolo (a questo proposito mi è capitato di osservare che ci sono dei maestri di coro che ergono a protagonisti assoluti, trattando il celebrante come un semplice chierichetto). Chi predica, chi proclama le letture non lo fa per sollecitare gli applausi… Questo ovviamente non è imputabile al nuovo rito ma a chi che non lo segue correttamente.
In generale si può ammettere che ci possano essere fedeli che trovano il vecchio rito più confacente alla loro pietà e all'adorazione, e che ci siano altri invece che trovano il nuovo rito più confacente alla celebrazione della comunità ecclesiale. Ci deve essere spazio per gli uni e per gli altri. È quello che ha previsto Giovanni Paolo II quando con il motu proprio Ecclesia Dei adflicta ha pregato i vescovi di essere generosi nell'applicare l'indulto per l'uso del vecchio messale, sotto le dovute condizioni.

Lei parlava di applausi. Cosa pensa dell'uso di inframmezzare le liturgie con applausi?

ARINZE: Dico solo che il sacerdote non deve cercare l'applauso. Se poi da parte del popolo c'è una spontanea reazione di approvazione per alcune affermazioni ascoltate, è un'altra cosa… Non è utile irregimentare tutte le espressioni del popolo…

Celebra ancora la messa cosiddetta "di san Pio V"?

ARINZE: No, non l'ho più celebrata da quando è stato approvato il novus ordo. Ho fede nella Chiesa. E il nuovo rito per me va bene. I problemi sorgono quando non viene ben celebrato… Invece continuo a celebrare la messa in latino, sempre secondo il novus ordo. Purtroppo si deve constatare che in molte diocesi i fedeli non hanno più visto da tempo una messa cantata in latino. E anche questo non va bene. Quando ero arcivescovo di Onitsha, pregavo i miei parroci di celebrare la messa cantata in latino almeno una volta al mese: e chiedevo che in ogni grande città si celebrasse una messa di questo tipo ogni domenica almeno in una chiesa.

Il cardinale Ratzinger, nel suo libro citato in precedenza, ha ricordato il valore che  aveva nella vecchia liturgia il celebrare versus orientem

ARINZE: Come  il cardinale Ratzinger spiega bene nel libro, l'importante è che si celebri versus Dominum. Per questo ha suggerito che al centro dell'altare ci sia un crocifisso sufficientemente grande, in maniera tale appunto che durante la messa il celebrante e il popolo si rivolgano verso il Signore e non l'un verso l'altro. E questo per evitare ancora di più il protagonismo dei presenti e per ribadire che l'unico protagonista dell'azione liturgica deve essere il Signore.

Lei per molti anni è stato presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso. Che ne pensa della teoria di huntingtoniana sullo scontro di civiltà?

ARINZE: Il professor Samuel Huntington prevede per tempi non lontani il pericolo di una collisione fra civiltà influenzate dal cristianesimo e civiltà dominate dall'islam. Molti pensano che potrebbe andare così, ma non è certo che dovrà andare così.
Ciò significa che questo scontro si può evitare. Ed è nostro dovere fare in modo che questa profezia non si realizzi. Huntington non ha fatto male ad indicare questo tipo di pericolo. Ma è nostro dovere far sì che questo non si verifichi. Bisogna poi precisare che a volte ci sono conflitti, episodi di violenza, che sembrano di natura religiosa e invece hanno radici politiche, economiche, razziali, sono frutto di ferite storiche del passato ­ vere o percepite come tali ­ che non si sono ancora rimarginate.

Si riferisce anche a quanto successo di recente nella sua Nigeria?

ARINZE: Sì, anche. Ci sono molti in Nigeria che vedono dietro a quello che è accaduto ragioni politiche e non principalmente religiose. L'anno prossimo ci saranno le elezioni federali, statali e locali. E ci sono quelli che vogliono creare problemi al governo centrale, oppure vogliono guadagnare qualche punto nei governi locali. Bisogna ricordare che nel nord della Nigeria l'introduzione della sharia non è promossa dai leader religiosi, ma dai politici, con la speranza di guadagnare il voto dei fedeli islamici. Per quanto riguarda i disordini, poi, bisogna pensare che la maggior parte dei giovani che vi hanno partecipato sono senza lavoro, senza un futuro sorridente per la loro vita, e quindi sono facilmente strumentalizzabili…

La guerra che potrebbe scatenarsi in Iraq può essere considerata un effetto dello scontro tra civiltà cristiana e musulmana?

ARINZE: I cristiani in Iraq dicono di godere di abbastanza libertà. Ora, quelli che vogliono la guerra contro l'Iraq devono dirci esattamente perché la vogliono, e che cosa vogliono. Non sono affatto convinto che una guerra sia necessaria. Sono convinto invece che una guerra potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti, musulmani e cristiani, come per i soldati che vi parteciperebbero e per i civili che ne pagherebbero le conseguenze… Io vengo dall'Africa, dove gli occidentali, europei e nordamericani, si presentano come popoli civilizzati. Allora chiedo loro: se voi siete effettivamente civilizzati, perché con tutti i mezzi moderni che avete a disposizione non riuscite a trovare altro che non sia il mezzo barbaro della guerra per risolvere i problemi internazionali? Questa è la semplice domanda di un cardinale del terzo mondo. La guerra, anche questa guerra che si sta preparando, è una sconfitta per l'umanità.

 

da 30Giorni n. 11/12 - 2002

 

 

 

 

 

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Inserito il 26 giugno 2003

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