Messe latine antiche nelle Venezie
Venezia | Belluno | Bergamo | Bolzano | Brescia | Gorizia | Mantova | Padova | Pordenone | Treviso | Trieste | Udine | Verona | VicenzaVittorio Veneto

 

 

Enciclopedia Cattolica

voce   Croce nella liturgia

 

VII. LA C. NELLA LITURGIA. - 1. Le feste della S. C. I libri liturgici attuali ne hanno due: In Inventione S. Crucis (3 maggio) e In Exaltatione S. Crucis (14 sett.).

Le feste seguirono lo sviluppo della devozione alla reliquia della S. C., che ebbe origine col suo ritrovamento. L'anno di questo avvenimento resta incerto. La Cronaca alessandrina lo assegna al 320, il Lib. Pont. al 310 (I, p. 167), la Dottrina d'Addai la riporta addirittura al tempo di Tiberio (14-37). La Peregrinatio Aetheriae (ca. 394) la suppone avvenuta prima del 335, ma Eusebio nella Vita Constantini, scritta nel 337 non ne parla affatto. Il primo documento sicuro è la testimonianza di s. Cirillo di Gerusalemme nella Cathech., XIII, 4: PG 33, 775; scritta nel 347. Meno informati ancora si è sul giorno della Inventio. Da notarsi però che la Cronaca e la Peregrinatio danno il 14 sett. e questo è stato causa di non poca confusione per l'individuazione delle due feste nei documenti.

Storicamente la festa liturgica dell'Exaltatio precede quella della Inventio. L'origine è palestinese, anzi locale di Gerusalemme e deve ricercarsi nell'annuale celebrazione della dedicazione (avvenuta il 13 e 14 sett. 335) delle due basiliche costantiniane dell'Anastasis e del Martyrion. La festa giunse a grande celebrità. Alla fine del sec. IV la Peregrinatio parla di moltitudini di monachi, episcopi (fino a 40 e 50), clerici, saeculares, tam viri quam feminae, che per otto giorni continui accorrevano da tutte le parti dell'Oriente per prendervi parte. Essa non cedeva in nulla alle feste di Pasqua c dell'Epifania (Peregrinatio ad loca sacra, cap. 48, in Itinera, ed. Geyer, p. 100). Con il tempo s'incominciò a fare una solenne ostensione delle reliquie della vera C., sicché a poco a poco questo rito diventò l'oggetto principale della solennità, facendo dimenticare quasi del tutto la dedicazione. Alessandro di Cipro (sec. VI) la designa esattamente con il nome poi rimasto: Exaltatio praeclarae Crucis (PG 86, 2176).

Da Gerusalemme la solennità si diffuse in molte chiese orièntali, specie dove si possedeva una reliquia della vera C., come a Costantinopoli, ad Apamea e ad Alessandria.

Per l'Occidente la prima testimonianza d'una festa liturgica della S. C. si trova nella biografia di Sergio I (687-701), nella quale si legge: Qui etiam ex die illo pro salute humani generis ab omni populo christiano die Exhaltationis Sanctae Crucis in basilicam Salvatoris, quae appellatur Constantiniana, osculatur et adoratur (Lib. Pont., I p. 374).

Il testo lascia intendere che la festa era già celebrata prima di Sergio; probabilmente dapprima nell'oratorio della S. C. al Laterano, poi nella basilica Sessoriana Sanctae Crucis in Hierusalem. Ma non si deve andare molto indietro, come mostra l'incertezza dei documenti nel segnalarla: p. es., si trova nel Sacramentario gelasiano (metà sec. VIII; cf. ed. Wilson, p. 198), ma manca nel manoscritto di Epternach del Martirologio geronimiano, eseguito da un vescovo consacrato da Sergio I (cf. Lib. Pont., I, p. 387, nota 29). Alla festa Sergio dovette aggiungere la solenne ostensione e adorazione della C. conservata nel Sancta Sanctorum del Laterano di cui parla il testo riferito, cerimonia attestata ancora nell'Ordo di Cencio Camerario al principio del sec. XIII.

Mentre a Roma s'affermava la festa dell'Exaltatio, fissata al 14 sett., nelle Gallie s'era introdotta, e con successo, una festa Inventionis Sanctae Crucis stabilita al 3 maggio. Pare che essa entrasse nelle chiese gallicane nella prima metà del sec. VIII: non si trova nei Sacramentari leoniano (sec. VI) e gregoriano (sec. VII), non ne fa cenno Gregorio di Tours (593-94), così abbondante in simile materia, manca nel Lezionario di Luxeuil (fine sec. VII). La riportano invece i manoscritti del Martirologio geronimiano di Wolfenbüttel (772) e di Berna (di poco posteriore), i calendari mozarabici, i Sacramentari gelasiani del sec. VIII (cf. P. de Puniet, Le Sacramentaire romaine de Cellone, Roma [1938], pp. 92*-93*; Sacramentarium Pragense, ed. A. Dolci, Beuron 1949, p. 71).

La data del 3 maggio fu suggerita, a quanto sembra, dalla leggenda di Giuda Ciriaco, vescovo di Gerusalemme (BHL, 7022). Il Missale Gothicum (secc. VII-VIII) e quello di Bobbio (sec. VIII) mettono la festa tra l'ottava di Pasqua e le Rogazioni, senz'altra indicazione. Il Reg. 316 e il Pragense hanno già la data del 3 maggio. In sostanza i due calendari, il romano e il gallicano, avevano una propria festa della S. C. in date diverse e ambedue sono rimaste nei libri liturgici quando questi, emigrati in Gallia, ritornarono a Roma con le note aggiunte c trasformazioni.

Anche il formolario liturgico delle due feste ha risentito delle loro vicende. L'ufficiatura della Exaltatio è di evidente fattura romana: lo mostra tra l'altro l'antifona: O magnum pietatis opus, tratta dall'epigrafe metrica di papa Simmaco (498-514) per l'oratorio della S. C. in S. Pietro, e l'altra Salva nos, Christe, che ricorda lo stemma della medesima basilica (cf. U. Mannucci, Per la storia dell'ufficio della S. C., in Rass. Gregor., 1910, col. 249). Le lezioni narrano il recupero della S. C. dalle mani dei Persiani, avvenuto nel 665 sotto Eraclio.

L'ufficiatura dell'Inventio, invece, è gallicana. Le antifone del sec. XII accennavano alla leggenda di Giuda Ciriaco e furono soppresse da Clemente VIII (1592-1605) "quia historiam continebant dubiam" e sostituite dalle attuali (v. l'antico formolario in Tommasi, Opera, t. IV, p. 250). Le lezioni rimaste raccontano il ritrovamento della C. fatto da s. Elena. La Messa è di classico tipo gallicano (cf. G. Manz, Ist die Messe de Inventione S. Crucis im Sacram. Gelas. gallischen Ursprungs?, in Ephem. lit., 47 [1938], pp. 192-96).

Nel 1741 la Commissione nominata da Benedetto XIV per la riforma del Breviario stabili di sopprimere la festa del 3 maggio, ma l'intero progetto, com'è noto, fallì e anche le due feste della S. C. sono rimaste finora al loro posto.

 

Bibl.: A. Holder, Inventio S. Crucis, Lipsia 1889; P. Bernadakis, Le culte de la Croix chez les grecs, in Echos d'Orient, 5 (1902), pp. 193 sgg., 257 sgg.: L. De Combes, La vraie Croix perdue et retrouvée, Parigi 1902, p. 265-73; id., De l'invention à l'exaltation de la S. Croix, Parigi 1903; J. Straubinger, Die Kreuzauffindungslegende, Paderborn 1912; K. A. H. Kellner, L'Anno ecclesiastico, Roma 1914, p. 285 sgg.; H. Leclercq, Croix (invention de la), in DACL, III, coll. 3131-39; A. Kleinclausz, Eginhard, Parigi 1942, pp. 175-99, 249-55.

Annibale Bugnini

 

2. La C. dell'altare. - Nei primi secoli, soltanto la materia del sacrificio poteva essere posta sull'altare. La C. e i candelieri, portati in testa alla processione, venivano collocati o dietro l'altare o ai suoi lati. Talvolta la C. era pendente sotto il ciborio o scolpita sul frontone dello stesso: tuttavia nessun testo ci dice la ragione precisa della sua presenza. Con il sec. XI viene ornata del Crocifisso fiancheggiato talvolta dalla Madonna e s. Giovanni Evangelista; un foro nell'altare od apposito piedistallo permette di fissarla sull'altare stesso durante la celebrazione del S. Sacrificio. L'introduzione e il propagarsi delle Messe private non è escluso abbiano influito a porla definitivamente sull'altare.

Il Cerimoniale dei vescovi, ordinando che la "Crux Domini" sia sull'altare, stabilisce il suo basamento alto quanto il più vicino dei candelieri voluti d'altezza varia, perché, con il loro ascendere, maggiormente siano d'ornamento alla C. La sua presenza sull'altare, come i ripetuti inchini e gli sguardi ad essa rivolti dal sacerdote celebrante la S. Messa, vogliono inculcare essere questa la reale rappresentazione del sacrificio della C. Pertanto è sempre necessaria, salvo durante l'esposizione del S.mo Sacramento, perché l'immagine cede alla realtà.

 

Bibl.: J. Braun, Das christliche Altargerät, Friburgo in Br. 1932, pp. 466-92; C. Callewaert, De Missalis Romani liturgia, I, Bruges 1937, n. 442.

Enrico Cattaneo

 

3. La C. pettorale. - È una piccola C. d' oro o di altro metallo dorato, ornata spesso di pietre preziose, che i vescovi portano appesa al collo come proprio distintivo con nell'interno una reliquia che spesso è della S. C. La usano anche gli abati regolari, i canonici di molti Capitoli cattedrali e collegiali, alcuni dignitari ecclesiastici per speciale indulto apostolico, e qualche badessa come segno del proprio grado. Pio X la concesse ai cardinali diaconi. Vi sono due specie di C. pettorale: una è appesa ad una catena d'oro od altro metallo dorato, che si usa con le vesti ordinarie, l' altra pende da un cordone di seta rossa per i cardinali e verde per i vescovi, e si porta nelle funzioni sacre e sulla mozzetta. Il Cerimoniale dei vescovi fa cenno solo di questa seconda, e la considera come ornamento pontificale, mentre della prima non parla affatto.

L'origine della C. pettorale si riallaccia molto probabilmente agli encolpi ed a quegli oggetti sacri che i cristiani portavano sul petto. Gli scrittori antichi non ne parlano: ciò significa che in origine si trattava solo di una devozione personale. Più tardi i papi fecero di essa un ornamento sacro, imitati successivamente dai vescovi e dagli abati. I primi esempi risalgono ca. al sec. IX. Alla C. pettorale, come ornamento liturgico del papa, accenna Innocenzo III nel De sacro altaris sacrificio, I, cap. 2. Un Pontificale del sec. XII enumera fra i paramenti liturgici del vescovo la "Crux pectoralis, si quis ea uti velit" (E. Martène, De ant. Eccl. rit., 1, Anversa 1736, cap. 4, art. 12, ordo 23).

 

Bibl..: A. Du Saussay, Panoplia episcopalis, seu de sacro episcoborum ornatu, VII, Parigi 1646, pp. 294-329; L. Thomassinus, Vetus et nova Ecclesiae disciplina, II, Napoli 1769, cap. 58, nn. 4-5; J. L. Ferraris, Cruz, in Prompta bibliotheca canonica, Parigi 1858, nn. 51-55: A. Fivizzani, De ritu S. Crucis, Roma 1892, cap. 7, p. 53; F. Eygen, in Liturgia, Parigi 1935, p. 342; M. Righetti, Storia liturgica, Milano 1945, pp. 519-20.

Silverio Mattei

 

da Enciclopedia Cattolica, IV, Città del Vaticano, 1950, coll. 960-964

 

 

 

Inizio Pagina

Torna a Vocabolario Liturgico