Messe latine antiche nelle Venezie
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Enciclopedia Cattolica

voce  Vigilia

 

VIGILIA. - È il giorno che precede come preparazione le grandi feste del Signore (Natale, Epifania, Pasqua, Pentecoste) e quelle dei santi (della Madonna, di s. Giovanni, degli Apostoli, di s. Lorenzo ecc.).

Si distinguono in privilegiate e comuni; le privilegiate sono di I e II classe; le prime, Pasqua e Pentecoste, non cedono ad alcuna festa; le seconde, Epifania, cedono solo ad una festa di rito superiore od uguale e ad una festa del Signore; quelle comuni vengono soltanto commemorate in occorrenza di una festa di rito doppio. Se cadono nella domenica, vengono celebrate o commemorate al sabato precedente. Hanno un proprio nell'Ufficio e nella Messa. Il CIC prescrive il digiuno, oltre al Sabato Santo (fino allo scioglimento delle campane), alle v. di Natale, di Pentecoste, dell'Assunzione di Maria S.ma e di Tutti i Santi.

Ha origine dalla v. pasquale, "la madre di tutte le vigilie" (s. Agostino, Serm., 219), anticamente una pannuchia, celebrazione per tutta la notte in letture tratte dai Libri Santi, alternate con il canto responsoriale dei salmi, cantici e relative collette; seguiva la Messa. Una tale v. si svolgeva anche a Pentecoste, nelle domeniche delle Quattro Tempora e si estendeva alle feste dei martiri principali: degli apostoli Pietro e Paolo, di s. Lorenzo ecc. A Milano una simile v. precedeva la festa dei ss. Pietro e Paolo, la traslazione delle reliquie dei ss. Gervasio e Protasio e la dedicazione della Basilica Ambrosiana (s. Ambrogio, De virginitate, XIX, 124; Ep., 22, 2). Similmente a Cartagine precedeva la festa di s. Cipriano (s. Agostino, Enarr. in ps., 32, XI, 1, 5; 85, 24). a Tolosa si faceva alla tomba di s. Saturnino. Da questa v. pubblica con partecipazione del clero e dei fedeli si distingue la privata, quella che, p. es., i fedeli facevano presso la tomba di qualche martire, ma senza la celebrazione eucaristica. Più tardi, forse già al principio del sec. V, le v. cimiteriali, fuori della città alle tombe dei martiri, si facevano al tramonto della sera precedente (cf., ad es., la messa I di s. Lorenzo nel Leoniano: "praevenientes natalem"). Le altre v. della Pasqua, di Pentecoste, delle domeniche delle Quattro Tempora vennero portate alla sera del sabato nel sec. VII. Distintivo per queste v. era che si iniziavano la sera precedente la festa o la domenica e finivano prima di mezzanotte. Poi furono di nuovo anticipate al tempo di Nona e ricevettero un Ufficio proprio per il coro e per la Messa. La liturgia originale si conserva nella veglia del Sabato Santo, della Pentecoste e dei Sabati delle Quattro Tempora.

L'ORA NOTTURNA DELL'UFFICIO. - Questa V. trae origine non dalla v. come pannuchìa, ma dalla preghiera privata dei fedeli a mezzanotte, fatta in comune dai monaci e di conseguenza anche dalle Chiese (V. Mattutino; Notturno; Ufficio). Alle ferie si faceva con un Notturno di 9 salmi e 3 lezioni (nell'Ufficio monastico in 2 Notturni con 6 salmi ciascuno e con 3 lezioni nel primo Notturno). Alle domeniche aumentavano il numero delle lezioni (9 nell'Ufficio delle Chiese, 12 in quello monastico), divisi i salmi c le lezioni per 3 Notturni.

Il numero di 3 Notturni non deriva dalle veglie militari, ma da necessità pratica: si faceva una pausa, un respiro tra o dopo 3 o 4 lezioni; non si consideravano tre distinte veglie, perché le singole v. non si chiudevano con una relativa Colletta, ma terminavano come se fossero una sola v., con un'unica colletta. Da notare che questa v. si faceva sempre dopo mezzanotte (in contrapposto all'altra v. di cui sopra), "a primo gallo" (verso le tre) e combinava con quell'Ufficio mattutinale, detto oggi le Lodi. L'anticipazione prima della mezzanotte o alla sera precedente incomincia dal sec. XII.

Recentemente J. M. Hanssens ha affermato che la v. non ha origine dalla preghiera di mezzanotte, ma è considerata come un'amplificazione dell'Ufficio propriamente mattutinale delle Lodi, premettendo da parte dei monaci la recita consueta del Salterio da sola o intercalata da lezioni, come si faceva per passare devotamente una veglia notturna totale o parziale in preparazione di quella mattutinale.

Bibl.: C. Callewaert, De vigiliarum origine, in Sacris Erudiri, Steenbrugge 1940, pp. 329-33; M. Righetti, Man. di stor. liturg., II, Milano 1946, pp. 416-21 ; I. A. Jungmann, Die Entstehung der Matutin, in Zeitschr. für kath. Theol., 72 (1950), pp. 66-79; J. M. Hanssens, Aux origines de la prière liturg. Nature et genèse de l'Office des Matines (Anal. Gregor., 57), Roma 1952, pp. 33-40.

Pietro Siffrin

 

da Enciclopedia Cattolica, XII, Città del Vaticano, 1954, coll. 1414-1415

 

 

 

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