UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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Cultura?

Dopo la messa secondo l'antico rito celebrata il 7 febbraio 2004, è uscito sulla  Gazzetta di Mantova questo commento di Carlo Prandi, qualificato come "storico delle religioni", il quale - quasi nel tentativo di una difesa d'ufficio di chi definisce "uno dei più autorevoli teologi moralisti italiani" - fa riferimento a un precedente  intervento di monsignor Pompeo Piva  (Il rito tridentino? Archeologia pura ). Per considerazioni sul mirabolante contenuto dei due pezzi, rinviamo a Archeologia o archeologismo? di don Ivo Cisar.

Che dire di più? Prandi: ristrutturare le liturgie, dare a chi vuole il latino "una seria e programmata risposta in italiano". Bellissimo. Forse fra un po' ci faremo un giretto domenicale nelle chiese mantovane per dare un'occhiata a questa "serietà". Ma Prandi parla, forse, a nome della diocesi di Mantova, o solo per sé? Sui fondamenti della" ristrutturazione", peraltro,  si deve nutrire qualche dubbio, nel vedere, per esempio, come lo stesso Prandi cita in modo omissivo e sostanzialmente scorretto il n. 36 della Sacrosanctum Concilium (quello noto perché al § 1 recitava: "la lingua latina sia conservata nei riti latini"). È una conferma: il Concilio Vaticano II nessuno lo legge, se ne parla tanto per cercare di metterci dentro qualsiasi cosa passi per la testa.

Il discorso sulla "cultura", di destra o meno, ce lo risparmieremmo. Se cultura e storia equivale a contare balle sui giornali, preferiamo essere incolti e magari credere anche ai significati magici (?) della lingua latina.

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Rassegna stampa

Il parere dello storico delle religioni

Rispondere in italiano 
alla magia del latino

di Carlo Prandi

 

Sembra un destino, ma la cultura di destra italiana, laica e religiosa, se si escludono alcune personalità di spicco - Evola, de Felice - produce talora cascami che sì fanno notare soprattutto per la grossolanità delle loro dichiarazioni. Con la calata del "Principe Eugenio" a Mantova, che rivendica tra l'altro, e non è poco!, l'interpretazione corretta del terzo segreto di Fatima, si è scatenato un dibattito che se da un lato pone in luce ancora una volta l'ignoranza proterva dei cosiddetti "tradizionalisti" aggrappati alla Lega, dall'altro può anche invitare a ricordare l'evangelica ammonizione (perché non dirla in latino?): "Oportet ut scandala eveniant".

Partiamo dal Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Liturgia, cap. 36: "Dato che nella Messa e nella Liturgia, non di rado l'uso della lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo, si può concedere alla lingua volgare una parte più ampia. Spetta all'autorità ecclesiastica territoriale decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua volgare". Nel 1969 Paolo VI, sulla base di queste indicazioni, promulgava la riforma del messale tridentino di Pio V con l'introduzione delle lingue locali. In un mondo in cui il latino risulta, al pari del greco, del geroglifico e di altre lingue delle civiltà classiche, una lingua antica, e nel quale il cristianesimo non può non adeguarsi alle lingue dei popoli che sono oggetto della sua azione missionaria, questa riforma non fu soltanto necessaria, ma perfino tardiva. Tutto ciò sì collocava su un preciso vettore teologico: la celebrazione comunitaria della Messa, di cui un elemento visibile era la posizione frontale del celebrante    rispetto all'assemblea. Tutte queste cose ha cercato di precisare, con la sua sapienza teologica, monsignor Pompeo Piva sulla "Gazzetta" del 5 febbraio. Ebbene, l'ignoranza degli alfieri del "Principe Eugenio" è arrivata a cogliere nell'intervento di uno dei più autorevoli teologi moralisti italiani, una singolare combinazione tra Buddha e Lutero: due personalità religiose che possono coesistere soltanto nella testa di chi non sa nulla dell'uno e dell'altro.

Dicevo all'inizio, a volte "è opportuno che accadano gli scandali". Credo che sia giunto il momento per fare una riflessione seria sulla liturgia - sulle liturgie (qualcuno in diocesi lo sta già facendo) - per ristrutturarle, dar loro una coerenza interna, per organizzarle nelle fasi e nell'uso dei canti e della musica, per riqualificare l'omelia (talora stanca, improvvisata, scontata), in modo che l'assemblea partecipi in prima persona e, consapevolmente, allo svolgimento dell'evento eucaristico.

A chi invoca il latino come ritorno ad una lingua dai significati magici, occorre dare una seria e programmata risposta in italiano.

 

da "Gazzetta di Mantova", 8 febbraio 2004

 

 

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sulla messa del 7 febbraio 
2004 a Mantova

 

 

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