UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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Don Rigon, contiamola giusta...

Che nella vecchia messa il sacrificio "si compisse" nell'Offertorio, non sappiamo chi potesse pensarlo veramente: somiglia più a un pretesto per giustificare di avere tolto quelle preghiere. Ora per don Rigon è giusto averle tolte, ma dice, se ben intendiamo, che dobbiamo recuperare la dottrina cattolica che esse esprimevano perfettamente. Bene, mettiamoci a studiare per imparare quello che si è sempre saputo (quando c'era l'antico rito)? Comunque, che ogni sacrestia abbia la sua liturgia non potrà mai giustificare gravi abusi, e soprattutto impedire che qualcuno possa celebrare la messa latina antica. Don Rigon, il quale forse non dice tutto quello che pensa, mostra di sapere bene che l'unità nel rito nuovo in realtà non esiste, ma allora se tutti fanno quello che vogliono, perché non si può fare anche il rito tridentino?

Fabio Marino

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Rassegna stampa

Messa in latino

"Tra potus spiritalis
e bevanda di salvezza"

 

Ho letto la lettera di Luciana Cuppo, pubblicata il 17 dicembre. Non entro nel merito della "Messa in latino" cui si fa riferimento anche perché non sono a conoscenza della petizione firmata dai 673 firmatari (comunque, a tal proposito, chi mi conosce sa benissimo che - senza chiedere il ritorno del "vecchio rito", per celebrare il quale occorre un indulto - mi sono sempre dichiarato favorevole ad un uso un po' più ampio della lingua che ha caratterizzato il culto cattolico per molti secoli e che il Concilio Vaticano II non ha voluto spazzare via e osteggiare come taluni si ostinano a far credere!). Mi limito solo alla questione posta dalla signora Cuppo: l'espressione ''potus spiritalis" (bevanda di salvezza) che il sacerdote usa al momento di presentare il calice durante il cosiddetto "offertorio", non è troppo debole? Si ha paura di dire che è il "Sangue di Cristo"? Vorrei, su questo punto, tranquillizzare chi avesse dei dubbi circa la dottrina della Chiesa. Nel corso dei secoli la Liturgia relativa al momento della Preparazione dei doni (oggi si preferisce usare questa espressione, oppure anche "preparazione e presentazione dei doni", anziché "offertorio") aveva assunto dei significati che andavano al di là del suo contenuto effettivo e che si prestavano ad equivoci.

Questi testi, infatti, potevano far pensare che qui si compisse già il sacrificio della Chiesa (si usavano - infatti - termini quali: Suscipe, Offerimus, Veni sanctificator, Suscipe Sancta Trinitas ... Nella riforma di questa parte della Messa, giustamente, si è voluto ristabilire le proporzioni e ridare centralità alla Prece Eucaristica (il Canone) che inizia subito dopo il momento della preparazione dell'altare, dei doni, e della presentazione dei medesimi: è solo nel contesto di quella grande Preghiera (sbrigativamente diciamo "la Consacrazione", che però è solo un parte di essa), mentre il sacerdote ripercorre le grandi tappe della storia della salvezza, pronuncia le parole di Gesù e ripete i gesti compiuti nell'Ultima Cena, che avviene la "transustanziazione" (il pane diventa il Corpo del Signore e il vino il suo Sangue).

Al termine di detta preghiera, dunque, c'è la vera "elevazione" (quella dopo la consacrazione sarebbe più esatto chiamarla "estensione" ... è un semplice "mostrare" l'ostia consacrata al popolo) e quindi "l'offertorio" (a Dio si offre il Corpo e il Sangue del Signore, la sua vita, la sua obbedienza, la sua dedizione per amore nostro, e non tanto il pane e il vino!). Non è dunque cambiato nulla della dottrina cattolica: la "bevanda di salvezza" è esattamente "il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza". Mi auguro che in quest'anno dell'Eucaristia non ci si limiti a qualche ora di adorazione in più... tanto per poter dire: "abbiamo fatto qualcosa". Il Papa e la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti invitano anzitutto a riscoprire la natura, il valore e anche (perché no?) la corretta "modalità di esecuzione" dei riti della messa. Basterebbe (il Santo Padre e la citata Congregazione suggeriscono proprio questo) prendersi in mano e studiare bene i Principi e norme del Messale Romano (la nuova denominazione è "Ordinamento Generale del Messale Romano"). Trattasi il documento con cui si apre il Messale Romano e che - lo constato spesso - è sconosciuto e quindi disatteso. Non oso pensare male (anche se - peccando, come dice argutamente il senatore Andreotti, spesso s'indovina -) e quindi affermare che si faccia deliberatamente il contrario in nome di una presunta "creatività liturgica" della quale (tanti semplici fedeli me lo dicono...) non si avverte assolutamente il bisogno. Sicché - direbbe il beato card. Ildefonso Schuster, che di queste cose sapeva assai bene -"ogni sacrestia... ha la sua Liturgia...". E quindi, come nelle migliori sacrestie, alla fin fine non si sa bene chi comanda...

Ciò che s'impone - e su questo, per fortuna, sembrano essere d'accordo teologi, pastori e liturgisti "rigidi", "moderati", "progressisti" - è una solida formazione liturgica (e la Liturgia non è questione di cerimonie opinabili ma è manifestazione della fede e della dottrina della Chiesa tutta) del popolo santo di Dio: di cui facciamo parte, meglio dirlo a scanso di equivoci, anche noi preti! 

don Pierangelo Rigon Sandrigo

 

da "Il Giornale di Vicenza", 12 gennaio 2005

 

 

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