UNA VOCE VENETIA

Messe latine antiche nelle Venezie

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A proposito di una "Via Crucis"

 

Di "Via Crucis" vera e propria ce n'è una sola. Solo per analogia si può parlare adi altre "Viae Crucis". La croce che ognuno deve portare non è la croce alla quale fu inchiodato Gesù. E ciò non solo e non tanto nel senso materiale quanto, piuttosto, nel senso della radicale sofferenza.

Non è, pertanto, legittimo proporre meditazioni della "Via Crucis" a seconda delle mode ideologiche delle varie epoche storiche, scambiando la sofferenza umana e il suo significato con la sofferenza e il significato cui Cristo liberamente si sottomise per riscattare ognuno di noi.

Già in passato fummo costretti a prendere posizione quando il venerdì santo in diverse chiese si identificava la passione di Cristo con i sacrifici della "classe" operaia. Oggi, passata la moda marxista, si sta diffondendo un'interpretazione "storico-antropologica" della "Via Crucis"; un'interpretazione che nasce da una "concezione" razionalistica del finito e, in ultima analisi, antibiblica della creazione: la creazione non sarebbe opera buona, ma malvagia. Ciò di cui l'uomo avrebbe bisogno sarebbe innanzitutto di "liberasi" dal finito, dalla sua condizione, dalla sua realtà. Da ciò la concezione della vita stessa come "Via Crucis"; una "Via Crucis" senza significato, per giunta, poiché nell'epoca della secolarizzazione non è possibile "credere" nell'esostenza dell'anima individuale aperta a un destino immortale. Ciò spiega, per esempio, la scelta delle varie "stazioni" della particolare "Via Crucis" organizzata a Pordenone il 29 marzo 1998: dall'ospedale civile di Pordenone alla caserma Zappalà di Avaino, con finale davanti alla "Base" USA. Come dire che la malattia, il servizio militare, e via dicendo sono tappe di una "Via Crucis" umana da cui ci si può e ci si deve "liberare". Insomma, il male dell'umanità non è conseguenza del peccato originale. Esso è, piuttosto, una condizione dalla quale l'uomo può uscire con un impegno collettivo più che con una conversione personale che richiede la grazia. Da qui la convinzione (almeno implicitamente) illuministica secondo la quale la "presa di coscienza" (vale a dire la consapevole conoscenza) del male sarebbe già segno del suo superamento. Il superamento sarebbe possibile anche per le creature, vale a dire non solo per ciò che deriva dall'uomo ma anche per l'uomo in sé. Si tratta di un'utopia. È l'utopia della gnosi cui credono ormai anche taluni preti e diverse religiose se a questa marcia dei "Beati i costruttori di pace" (ma di una pace "ideologica", vale a dire immaginata a modo loro) vi hanno partecipato. Anzi, molti hanno il sospetto che ci credano anche i Vescovi della regione Friuli-Venezia Giulia. Taluni partecipanti avrebbero dichiarato che è solo questione di tempo, di "cautele" umane. "Quest'anno - avrebbero ironizzato alcuni con riferimento al Vescovo di Concordia-Pordenone, Sennen Corrà - ha emesso un gemito, la prossima volta contiamo nella sua presenza". In verità "Il Popolo", organo della diocesi di Concordia-Pordenone, di domenica 29 marzo 1998, pubblicà una "presa di posizione" dei vescovi del Friuli-Venezia Giulia che nell'occhiello veniva legata alla "Via Crucis" promossa dai "Beati i costruttori di pace". La nota è firmata da mons. Sennen Corrà che dichiara di essere "in comunione con i Vescovi e le Commissioni Diocesane di Giustizia e Pace della Regione Friuli-Venezia Giulia". Nella Nota si propone un insegnamento noto ma non si tirano le conclusioni dovute. La violenza va certamente condannata, come la guerra. Non si può condannare, però, la legittima difesa che non è solo un diritto ma spesso un dovere. Chi si difende fa ricorso alla forza, non alla violenza. C'è di più. Giovanni Paolo II ha insegnato che l'intervento umanitario è spesso un dovere. Ora, l'intervento umanitario non si fa con i metodi della "nonviolenza", ma con l'uso della forza. Gli eserciti e le altre armi si chiamano "Forze armate", non "Violenze armate". Il che non esclude che talvolta siano state usate male, moralmente parlando. Ciò, però, va definito caso per caso.

Quello che a noi sembra inaccettabile nella Nota citata è l'invocazione della "sovranità": la sovranità non è un diritto e il suo pieno esercizio non è irrinunciabile. La sovranità, infatti, s'inscrive nella "logica" del mero potere. Sovrano è colui che dipende unicamente dalla sua spada, dice per esempio Bodin. Il che significa che ognuno è "legittimato" a fare quello che vuole se ci riesce. La sovranità è sinonimo di violenza anche se il suo esercizio non sempre è violento. Più propriamente la sovranità è sinonimo di nihilismo sul piano etico. Invocare la sovranità significa, inoltre, ammettere che ogni intervento umanitario è "illegittimo" in quanto ognuno dovrebbe essere lasciato libero di fare quello che vuole. Non solo. Ammettere l'intervento umanitario, proprio perché umanitario, significa far ricorso a un criterio che sia "oltre" la sovranità. Per vescovi cattolioci invocare la sovranità significa cadere in una doppia contraddizione: una razionale e una dottrinale. La "comunione" con singoli pastori non è un criterio di verità. Tanto meno la "comunione" con commissioni diocesane offre il criterio della garanzia di ortodossia.

Sarebbe opportuno, però, al di là di queste pur importanti questioni che i Pastori fossero più liberi da condizionamenti storico-ambientali e prima di "legittimare", sia pure "cautamente", talune iniziative come per esempio la "Via Crucis" citata, esercitassero il loro ruolo: quello di essere veramente Pastori.

Questa conclusione ci sambra legittima perché, anche a noi che siamo avversari di ogni forma di "americanismo", pare singolare che vescovi "riprendano" come fossero argomentazioni valide per opportsi al mantenimento delle Basi militari statunitensi in Italia, il problema dell'inquinamento ambientale ed acustico, unendo tutto alla tragedia di Cavalese i cui responsabili devono essere certamente puniti. Forse non è altrettanto inquinante sul piano ambientale ed acustico l'uso degli aerei per le vacanze esotiche o per viaggi "offerti" anche a vescovi e sacerdoti da enti pubblici per visite a comunità che hanno già i loro pastori? Forse non è inquinante l'uso scriteriato delle automobili? Possibile che solo i mezzi militari comportino effetti negativi su questo piano? Sono domande che siamo posti leggendo il Dossier curato dalla caritas della diocesi di Concordia-Pordenone per la XXXI giornata della pace dalle cui pagine sono prese pari pari talune affermazioni dei vescovi della regione Friuli-Venezia Giulia.

 

da "Instaurare omnia in Christo" 1/1998, pp. 3-4

 

 

 

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Inserito il 7 aprile 2003

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