UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

14 NOVEMBRE

SAN GIOSAFAT, VESCOVO E MARTIRE

 

Unità della Chiesa.

Abbiamo festeggiato all'inizio dell'anno liturgico un vescovo martire dell'unità della Chiesa, san Tommaso da Cantorbery. "Dio, egli diceva, niente ama in questo mondo quanto la libertà della sua Chiesa ", libertà che è completa indipendenza di fronte a qualsiasi potenza secolare e in vista della sua missione di salvezza per tutti gli uomini. Si potrebbe dire con altrettanta verità che "Dio nulla ama in questo mondo quanto l'unità della sua Chiesa".

La veste inconsutile di Cristo, che egli non permise fosse divisa dai soldati ai piedi della Croce, era simbolo di questa unità della quale parla spesso agli Apostoli e al Padre celeste, chiedendo che "tutti siano una cosa sola, come il Padre e Lui sono una cosa sola e tutti siano perfezionati nella unità".

Perché spiacevoli malintesi e miserabili passioni umane sono venute a spezzare il desiderio di Cristo e a rendere vana la sua ardente preghiera? Le Chiese d'Oriente, che ricevettero per prime la buona novella della Redenzione e la divulgarono nel mondo intero, che brillarono per la santità e la dottrina dei loro vescovi e per il martirio di tanti loro fedeli, dopo secoli si sono in parte separate dall'unità cattolica e non vogliono più riconoscere l'autorità del Pontefice romano.

I Papi non si sono mai rassegnati a questo stato di cose così doloroso e hanno moltiplicato gli appelli, impegnato gli sforzi, perché lo scisma cessi. Soprattutto da Leone XIII in poi, ascoltiamo si può dire in modo incessante la loro voce, che chiama le Chiese separate a rientrare nell'unità romana, affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore.

La Chiesa nota con consolazione numerosi ritorni, li conta ogni anno con gioia materna e prega i suoi figli di sostenere in tutti i modi possibili le opere, che possono affrettare l'ora in cui tutti si stringeranno attorno a lei, in unità perfetta di spiriti e di cuori, ma sa che gli sforzi umani saranno inefficaci, se non si appoggiano alla preghiera.

La festa di oggi deve essere per noi occasione di ricordare il desiderio di Cristo, di unire le nostre preghiere alle preghiere della Chiesa, i nostri sacrifici ai sacrifici, alle sofferenze e alla morte del martire dell'unità, san Giosafat.

 

Il vescovo dei Ruteni.

Sono molti davvero i meriti di questo santo vescovo per la causa dell'unità cattolica. Dopo un'infanzia trascorsa in perfetta castità ed eroica mortificazione, si fece monaco e si impegnò nella riforma dell'antico Ordine Basiliano. Zelo, scienza, santità gli meritarono di essere designato all'episcopato. Egli moltiplicò allora i suoi sforzi, da vero pastore delle anime. Predicazione, scritti, ministero, appoggiati alla preghiera, furono da Dio tanto benedetti che molti scismatici si convertirono e ciò gli attirò l'odio dei nemici e minacce di morte. Ma la morte, anche la morte violenta, non intimorisce i veri servi di Dio. Egli non fuggì, ma attese tranquillo i suoi carnefici e cadde sotto i loro colpi, levando la mano per benedirli e perdonarli.

 

VITA. - Giosafat Kuncewicz nacque a Wlodimir, nella Volinia, da genitori cattolici e nobili nel 1584. Mentre fanciullo ascoltava la madre, che gli parlava della passione del Signore, un dardo partito dal fianco dell'immagine di Gesù crocifisso lo colpì al cuore e, acceso di amore divino, si dedicò alla preghiera e alle opere pie in modo da diventare esempio a tutti i suoi compagni, superiori in età. A venti anni abbracciò la regola monastica nel monastero basiliano della Trinità a Wilna e fece tosto progresso meraviglioso nella perfezione evangelica. Camminava a piedi nudi nei giorni freddi dell'inverno in quelle regioni rigidissimo, non si cibava mai di carne né beveva vino, se non quando ve lo costringeva l'obbedienza. Portò sulle carni, fino alla morte, un ruvido cilizio e conservò il fiore della purezza che, adolescente, aveva consacrato alla Vergine Madre di Dio. La fama delle sue virtù e della sua scienza fu presto tale che, nonostante la giovane età (1613), fu messo a capo del monastero di Byten e quindi fatto archimandrita di Wilna (1614) e poi, suo malgrado e con gioia di tutti i cattolici, proclamato arcivescovo di Polock nel 1617.

La nuova dignità non gli fece mutare la sua regola di vita e tutto il suo cuore fu per il culto divino e per la salvezza delle pecore a lui affidate. Campione instancabile dell'unità cattolica e della verità, dedicò le energie alla conversione degli eretici e degli scismatici. Empi errori e calunnie impudenti erano diffuse contro il Sommo Pontefice e la pienezza dei suoi poteri ed egli non mancò mai al dovere di difenderli, nei discorsi e negli scritti ricchi di pietà e di dottrina. Rivendicò i diritti vescovili e i beni della Chiesa usurpati da laici e il numero di eretici ricondotti da lui alla Madre comune è incredibile. Fu promotore inimitabile dell'unione della Chiesa greca con la Chiesa latina, lo attestano dichiarazioni esplicite del supremo pontificato. Le rendite del suo vescovado furono da lui impegnate nel restaurare il culto divino, lo splendore dei templi, gli asili delle vergini consecrate a Dio e mille opere pie. La sua carità verso i miserabili era così viva che un giorno, non avendo mezzi per soccorrere una povera vedova, impegnò il suo omoforio o pallio episcopale. Visti gli enormi progressi della fede cattolica, uomini perversi cospirarono, nel loro odio, contro l'atleta di Cristo, per provocarne la morte, cosa che egli annunciò in un discorso al suo popolo. In occasione della visita pastorale, i congiurati invasero la sua casa, spezzando e ferendo quanto e quanti incontravano ed egli spontaneamente intervenne con dolcezza dicendo: Perché picchiate i miei, o figliuoli? se avete qualche cosa contro di me, sono qui. Fu allora aggredito, ucciso, trafitto, finito con un colpo d'ascia e gettato nel fiume. Era il 12 novembre del 1623 e Giosafat aveva 43 anni. Il suo corpo, avvolto da una luce miracolosa, fu ripescato dal fiume. Il suo sangue giovò subito anche ai parricidi, perché, condannati a morte, tutti abiurarono lo scisma e detestarono il delitto commesso. La morte del grande vescovo fu seguita da miracoli strepitosi, che indussero Papa Urbano VIII a dichiararlo Beato. Il 29 giugno del 1867, nella solennità centenaria del principe degli Apostoli, presente il Collegio dei Cardinali e circa 500 Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi di tutti i riti, convenuti da ogni parte del mondo nella basilica Vaticana, Pio IX iscrisse nell'Albo dei Santi il grande difensore dell'unità della Chiesa. Fu il primo degli orientali glorificato con tanta solennità. Leone XIII ne estese alla Chiesa intera l'Ufficio e la Messa.

 

Preghiera.

"Degnati, o Signore di ascoltarci e suscita nella tua Chiesa lo Spirito di cui fu pieno il. Beato Giosafat, tuo vescovo e martire" (Colletta della Messa). La Chiesa prega così e il Vangelo esprime in modo ancora più completo il suo desiderio di ottenere dei capi che ti rassomiglino (Gv 10,11,16). Il testo sacro ci parla di falsi pastori, che fuggono quando vedono venire il lupo, ma l'omelia che lo commenta nell'Ufficio della notte, bolla di mercenario non solo colui che fugge, ma anche il guardiano che, senza fuggire, permette al nemico di consumare la rovina dell'ovile (San Giovanni Crisostomo, Omelia LIX). Preservaci, o Giosafat, da uomini simili, flagello del gregge, che pensano solo a pascere se stessi (ibid.). Possa rivivere il Pastore divino, tuo modello, fino alla fine (Gv 13,1), fino alla morte per le pecorelle (ivi 10,11), in tutti coloro che egli si degna chiamare come Pietro ad essere partecipi di un più grande amore! (ivi 21,15-17).

Asseconda, o apostolo dell'unità i voti del sommo Pontefice, che richiama all'unico ovile le pecore disperse (ivi 10,16). Gli Angeli che vegliano sulla famiglia slava applaudirono alla tua lotta: dal tuo sangue sono germogliati altri eroi e le grazie meritate dalla effusione di quel sangue sostengano sempre l'ammirabile, umile e povero popolo di Rutenia e sconfiggano lo scisma strapotente. Possano quelle grazie straripare sui figli dei persecutori e condurre anche quelli a Roma, che, sola, anche per essi ha le promesse del tempo e dell'eternità.

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1275-1277

 

 

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