UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

17 NOVEMBRE

SAN GREGORIO TAUMATURGO, VESCOVO E CONFESSORE

 

Mosè e Gregorio.

Mosè, istruito nella sapienza egiziana, potente in opere e in parole (At 22) si ritira nel deserto. Gregorio, dotato dei migliori doni di nascita e di natura, retore brillante, dotto in tutte le scienze, rifiuta al mondo la sua fiorente giovinezza, per correre ad offrirla in gradito olocausto a Dio, nella solitudine. L'uno e l'altro speranza dei loro popoli, si sottraggono al popolo, per immergersi nella contemplazione dei misteri del cielo e intanto il giogo di Faraone si fa più pesante sui figli di Giacobbe e intanto le anime periscono, mentre una parola ardente le strapperebbe al dominio delle false divinità. La fuga in tali circostanze non sarebbe diserzione?

Non deve l'uomo proclamarsi salvatore, quando Gesù stesso non si attribuì tale nome da sé (Mt 1,21; Ebr 5,5). Mentre il male ovunque andava crescendo, l'operaio di Nazareth si fece scrupolo di attardarsi per trent'anni nel nascondimento, prima di iniziare il suo breve ministero? O dottori dei nostri tempi pieni di febbre, che andate sognando nuove gerarchie tra le virtù e considerate la carità in modo diverso dai nostri padri, non sono della progenie dei salvatori di Israele coloro che sulla salvezza sociale non la pensano esattamente come il Salvatore del mondo (1Mac 5,62).

Come Mosè, appartenne invece a quella stirpe Gregorio. Amici e nemici concordavano nell'affermare che Gregorio ricordava il legislatore degli Ebrei, per eccellenza di virtù e per i prodigi strepitosi operati (Basil. De Spir. S. XXIX). Pari era lo zelo dell'uno e dell'altro nel conoscere Dio, nel farlo conoscere agli uomini che dovevano condurre a lui e, per chi è guida di popoli, il dono più prezioso è la pienezza della dottrina, mentre la mancanza di essa è la peggiore delle insufficienze (Mt 15,14).

Alla domanda di Mosè Dio risponde Io sono Colui che è e con questa formula, che esce dal roveto ardente, gli affida la missione che lo spinge fuori del deserto (Es 3). Quando suona per Gregorio l'ora di entrare di nuovo nel mondo, in nome di Dio la Vergine benedetta, della quale il roveto ardente dell'Oreb era figura (Antif. Rubum quem viderat Moyses) appare abbagliante ai suoi occhi nella notte profonda, mentre egli sta implorando luce; e Giovanni, che segue la Madre di Dio, lascia cadere dalle sue labbra di evangelista questa nuova formula, che completa la prima ad uso dei discepoli della legge dall'amore: "Un Dio solo, Padre del Verbo vivente, della Sapienza sussistente e potente, che è l'espressione eterna di se stesso, principio perfetto del Figlio unico e perfetto, che egli genera. Un solo Signore, unico Figlio di Colui che è unico, Dio da Dio, Verbo efficace, Sapienza, che abbraccia e comprende l'universo, potenza creatrice di tutte le creature, Figlio vero di vero Padre. Un solo Spirito Santo, che ha da Dio l'essere divino, rivelato agli uomini dal Figlio, cui è perfettamente eguale, vita, causa di vita, santità che genera santità. Trinità perfetta, immutabile nella gloria, nell'eternità, nella dominazione di tutto" (Greg. di Nissa. Vita Greg. Thaumaturg.).

Il messaggio che il santo dovrà portare alla sua nazione è questo simbolo, che nella Chiesa di Dio conserverà il suo nome. Con la sua fede nel primo dei misteri sposterà le montagne, respingerà i flutti, spodesterà l'inferno e caccerà dal Ponto il paganesimo. Quando, verso il 240, egli, fatto vescovo, prende la via di Neocesarea, vede dappertutto templi degli idoli e, per passare la notte, si arresta presso un santuario famoso. Al mattino gli idoli sono in fuga e rifiutano di tornare, ma il santo rimette al sacerdote dell'oracolo un ordine per loro così concepito: Gregorio a Satana: ritorna (ibid.). Una sconfitta più bruciante ancora attendeva la infernale coorte, perché costretta ad arrestarsi nella sua precipitosa ritirata dovette assistere alla rovina del proprio dominio sulle anime che possedeva. Il sacerdote per primo si affidò al vescovo, ne diventò il diacono e tosto, sulle macerie dei templi, ovunque abbattuti, si alzò la Chiesa di Cristo, unico Dio.

Felice Chiesa, così fermamente stabilita che superò nel secolo seguente la tempesta dell'eresia ariana sotto i colpi della quale molte altre Chiese caddero. Al dire di san Basilio, i successori di Gregorio, eminenti essi pure, formavano a Neocesarea come un ornamento di pietre preziose (Basilio Lett. XXVIII, lin. 62), una corona di fulgide stelle (Id. Lett. CCIV, lin. 75). Tutti gli illustri vescovi, dice Basilio, si onoravano di conservare il ricordo del grande predecessore e non tolleravano che nei sacri riti, atti, parole e modi di fare si sovrapponessero alle tradizioni da lui lasciate (Basil. De Spirit. S. XXIX).

Quando Clemente XII, come abbiamo veduto, stabilì per la Chiesa universale la festa di santa Gertrude, la fissò a questo giorno, in cui continuano a celebrarla i Benedettini. Ma, dice Benedetto XIV, dato che il 17 novembre è da molti secoli dedicato al ricordo di Gregorio taumaturgo, è parso opportuno ammettere che colui che cambiava posto alle montagne, non dovesse perdere il posto per lasciarlo alla vergine e così dal 1739, che seguì la istituzione della nuova festa questa fu, per l'avvenire, celebrata il 16 dello stesso mese.

Leggiamo ora il breve riassunto che la Liturgia dedica al grande Taumaturgo:

 

VITA. - Gregorio nacque a Neocesarea verso il 213. Fu discepolo di Origene e vescovo della sua città natale. Illustre per dottrina e santità, lo fu maggiormente per il numero e lo splendore dei miracoli straordinari, che gli meritarono il nome di Taumaturgo e lo resero degno di essere paragonato a Mosè, ai profeti e agli Apostoli. Con la preghiera spostò una montagna, che gli impediva di fondare una Chiesa, uno stagno, causa di discordie tra fratelli, fu da lui prosciugato, arrestò lo straripamento del Lieo, che devastava le campagne, piantando sulla riva il suo bastone, che tosto mise radici e crebbe in grande albero formando una barriera che il fiume non poté più varcare.

Cacciò sovente i demoni dagli idoli e dai corpi, compì numerosi altri prodigi, che portarono alla fede di Cristo moltitudini di pagani e possedette inoltre lo spirito di profezia per cui presagiva il futuro. Quando sul punto di morire chiese il numero di infedeli rimasti nella sua diocesi di Neocesarea, gli risposero che ve ne erano ancora 17 ed egli, rendendo grazie a Dio, disse: È il numero dei fedeli che avevo all'inizio del mio episcopato. Scrisse parecchie opere, che illustrarono la Chiesa di Dio come i suoi miracoli, e morì tra il 270 e il 275.

 

La fede.

La tua fede, o Pontefice santo, spostando le montagne, domando i flutti giustifica la promessa del Signore (Mc 11,22-24). Insegnaci a fare onore al Vangelo, evitando noi pure ogni dubbio a riguardo della divina parola e dell'aiuto che ci assicura contro Satana, nel quale oggi la Chiesa ci presenta la orgogliosa montagna che bisogna gettare a mare (Omelia di san Beda) e contro lo scatenarsi delle passioni e lo sconvolgimento di un mondo del quale i tuoi scritti ci rivelano, col Savio della Scrittura, la vanità (Metaphrasis in Ecclesiasten Salomonis). Insegnaci a non dimenticare dopo la vittoria l'aiuto ricevuto dal cielo e preservaci dall'ingratitudine, che ti fu tanto odiosa.

Conserviamo ancora l'elogio commovente che la tua riconoscenza ti dettò per l'illustre maestro al quale dovevi, dopo Dio, la fermezza e lo splendore di fede, che furono tua gloria (In Origenem oratio panegyrica). È una lezione preziosa e pratica per tutti. Magnificando la divina Provvidenza nell'uomo, che per te fu suo strumento predestinato, non dimentichi il dovuto omaggio all'Angelo di Dio, che tenne il tuo passo lontano dagli abissi nella notte del paganesimo in cui passasti i primi anni; celeste custode sempre vigile in una attiva divozione, illuminato, perseverante, che supplisce alle nostre manchevolezze, nutre, istruisce ciascuno di noi, ciascuno di noi conduce per mano, preparando alle anime, nel tempo e nello spazio, gli incontri preziosi che trasformano la vita e assicurano la eternità (In Origenem oratio panegyrica).

 

Ringraziamento.

Noi creature peccatrici, come potremo ringraziare degnamente l'autore di tutti i beni, l'Essere infinito che procura all'uomo gli angeli suoi e i visibili intermediari quaggiù della sua grazia divina? Abbiamo confidenza intanto, perché nostro capo è il suo Figlio, il Verbo, che salvo le anime nostre e governa l'universo. Egli solo può rendere al Padre, continuamente ed eternamente, grazie, per sé come per noi tutti e per ciascuno, senza pericolo di dimenticare o di ignorare qualche cosa nella sua lode, senza pericolo di imperfezione alcuna nel suo canto di lode. A lui perciò, a Dio Verbo, o Gregorio, sul tuo esempio lasciamo l'incarico di perfezionare i sentimenti della nostra gratitudine per le ineffabili premure del Padre che è nei cieli, perché il Verbo è per noi, come fu per te, l'unica via della pietà; della riconoscenza e dell'amore (ibid.). Egli susciti oggi pastori che ricordino le tue opere, risvegli le antiche Chiese d'Oriente delle quali tu sei la gloria.

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1287-1291

 

 

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