UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

24 NOVEMBRE

SAN GIOVANNI DELLA CROCE, CONFESSORE

 

La Chiesa porta oggi l'omaggio riconoscente del mondo al Carmelo e noi la seguiamo. Sulle orme di santa Teresa di Gesù, sorse a tracciare per le anime in cerca di Dio un cammino sicuro san Giovanni della Croce.

I trattati di orazione.

Nel secolo XVI la pietà era seriamente minacciata dalla tendenza dei popoli ad abbandonare la preghiera sociale e la Bontà divina suscitò dei santi, che con la parola e gli esempi di santità provvidero ai bisogni nuovi del tempo. La dottrina non muta e l'ascetica e la mistica del secolo XVI hanno trasmesso ai secoli posteriori l'eco dei secoli precedenti; ma l'esposizione è diventata più didattica, l'analisi più serrata e il loro procedimento adatto alla urgenza di soccorrere le anime, che correvano il rischio di molte illusioni per il loro isolamento. Sotto l'azione dello Spirito Santo sempre feconda, la psicologia degli stati soprannaturali si è fatta più diffusa e più precisa.

I cristiani dei tempi precedenti pregavano con la Chiesa e vivevano giorno per giorno della vita liturgica della Chiesa e, nelle personali relazioni con Dio, risentivano di questo contatto continuo con la Chiesa. Seguendo docilmente la Madre, lasciandosi portare fra le sue braccia sicure, i cristiani assimilavano senza fatica la santità stessa della Chiesa, perché la sua influenza continua e trasformante li rendeva partecipi delle sue grazie di luce e di unione e di tutte le benedizioni. Ai cristiani si potevano allora applicare le parole del Signore: Se non diventerete come piccoli bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3).

 

Le scuole di spiritualità.

Non bisogna stupire se presso quei cristiani non si trova così spesso come oggi l'assistenza di un direttore spirituale particolare. Le guide particolari sono meno necessario quando si cammina in carovana o si fa parte di un'armata. Ne hanno bisogno i viaggiatori isolati, essi non possono farne a meno e tuttavia avranno sempre minore sicurezza di coloro che seguono la carovana o l'armata.

Gli uomini di Dio dei secoli più recenti, ispirandosi alle varie attitudini delle anime e comprendendo bene quello che abbiamo detto sopra, hanno dato il loro nome a scuole identiche per il fine, ma differenti quanto ai mezzi proposti per fronteggiare i pericoli dell'individualismo. In tale campagna di raddrizzamento, diremmo, e di salvezza, contro il nemico più temibile, che era l'illusione, Giovanni della Croce fu immagine vivente del Verbo di Dìo, penetrando meglio di una spada tagliente fino alla divisione dello spirito e dell'anima, delle giunture e delle midolle, scrutando le intenzioni e i pensieri dei cuori (Ebr 4,12-13). Ascoltiamolo: sebbene moderno, egli è figlio degli antichi.

 

La notte oscura.

"L'anima, egli scrive, dovrà giungere ad avere un sentimento ed una cognizione molto sublime e saporosa intorno a tutte le cose divine ed umane: le mirerà con occhio tanto diverso da quello di prima quanto differisce la luce e la grazia dello Spirito Santo dal senso, il divino dall'umano... (Opere di san Giovanni della Croce, Ediz. della Postulaz. Gen. O.C.D., Roma, La notte oscura dell'anima, i, II, c. IX n. 5). Prima di pervenire alla luce divina della perfetta unione di amore, come in questo mondo è possibile, l'anima deve attraversare la notte oscura, affrontare di solito tenebre così profonde che l'intelligenza umana non comprende e la parola non sa esprimere (ibid., La salita del Monte Carmelo, Proemio n. 1).

Il passaggio che fa l'anima per giungere alla divina unione possiamo chiamarlo notte per tre ragioni. La prima, da parte del termine donde l'anima si muove, poiché deve andare priva del gusto di tutte le cose mondane che possedeva, rinunziando ad esse: questa rinunzia e privazione è come una notte per gli appetiti e i sensi dell'uomo.

La seconda, da parte del mezzo o della via che l'anima deve percorrere, ossia la via della fede, la quale è anch'essa oscura, al par della notte, alla nostra intelligenza.

La terza, da parte del termine di arrivo, che è Iddio, il quale, essendo incomprensibile e infinitamente superiore ad ogni umano intendimento, può dirsi oscura notte per l'anima nella presente vita.

 

Le tre notti.

Abbiamo una figura di queste tre notti nel libro di Tobia, ove leggiamo che l'Angelo comandò al giovane Tobia che lasciasse passare tre notti prima di unirsi alla sua sposa (Tb 6,18). Nella prima notte gli comandò di bruciare nel fuoco il cuore del pesce, simbolo del cuore affezionato e attaccato ai beni mondani, il quale per intraprendere il cammino che lo mena a Dio si deve bruciare e purificare da tutto ciò che è creatura, mediante il fuoco dell'amore divino. In questa purificazione si discaccia il demonio che ha potere sull'anima per l'affetto che ella porta ai gusti delle cose di quaggiù.

Nella seconda notte l'Angelo disse a Tobia che sarebbe stato ammesso alla compagnia dei santi Patriarchi, che sono i Padri della fede. Dopo esser passata per la prima notte, nella privazione di tutti gli oggetti del senso, l'anima subito entra nella seconda, restandosene sola nella fede, straniera alle cose che cadono sotto i sensi.

Nella terza notte l'Angelo promise a Tobia che avrebbe conseguita la benedizione, cioè Dio stesso. Mediante la seconda notte che è la fede, Iddio si va comunicando all'anima in modo tanto intimo e segreto da sembrarle un'altra notte, anzi, finché dura la detta comunicazione, una notte molto più oscura delle precedenti. Passata questa terza notte, ossia finita tal sorta di comunicazione di Dio nello spirito, il che avviene ordinariamente in mezzo a fitte tenebre, subito segue l'unione con la sposa, che è la sapienza di Dio; come appunto disse l'Angelo a Tobia che, passata la terza notte, si sarebbe unito con la sua sposa nel santo timor di Dio, il quale timore, quando è perfetto, va congiunto anche al perfetto amore divino che consiste nella trasformazione dell'anima in Dio per amore" (Salita del Monte Carmelo, l. I, cap. II, nn. 1-4).

 

Vantaggi della purificazione.

"O anima spirituale! quando vedrai il tuo appetito offuscato, i tuoi affetti aridi, le tue potenze rese inabili a qualunque esercizio inferiore, non ti prendere pena di ciò, anzi tienlo per buona sorte. Sappi che allora Iddio ti va liberando da te medesima, togliendoti ogni maniera di attività naturale, con la quale, per quanto ti andassero bene le faccende, a causa dell'impurità e lentezza delle tue potenze non opereresti in modo sì giusto, perfetto e sicuro come adesso che Iddio, prendendoti per mano, ti guida come se fossi un cieco, tra le tenebre e per dove tu non sai, né giammai sapresti passare, per quanto bene camminassi con i tuoi piedi e ad occhi aperti" (Notte oscura, l. II, cap. XVI, n. 7).

Lasciamo che i santi stessi ci descrivano le vie da loro percorse, la meta raggiunta, la ricompensa ottenuta per la loro fedeltà, perché sono le guide riconosciute dalla Chiesa. Ora aggiungiamo che "nelle tribolazioni di questo genere bisogna evitare di eccitare la commiserazione del Signore, prima che l'opera sua sia compiuta. Non è possibile ingannarsi: tali grazie che Dio fa all'anima non sono necessarie alla salvezza, ma bisogna pagarle a un certo prezzo e, se riveliamo troppe difficoltà, potrebbe avvenire che il Signore, per riguardo alla nostra debolezza, ci lasci ricadere in una via inferiore e per la fede sarebbe rovina irreparabile.

 

Necessità di avere dei santi.

Che cosa conta questo, dirà qualcuno, se l'anima può tuttavia salvarsi? È vero; ma la nostra intelligenza non potrebbe mai stimare la superiorità di un'anima che potrebbe diventare emula dei cherubini o dei serafini su quella che si adatta ad essere simile alle gerarchie inferiori. In queste cose, modestia o amore della mediocrità non sono ragionevolmente ammissibili" (La vita spirituale e l'Orazione secondo la sacra Scrittura e la Tradizione monastica, Marne, 1950, c. XIV).

"Che le anime contemplative si facciano sulla terra numerose, interessa la Chiesa e la gloria di Dio più di quanto sia possibile dire, perché esse sono l'energia nascosta, il motore che sulla terra dà movimento a tutto ciò che costituisce la gloria di Dio e il regno del suo Figlio. È inutile moltiplicare le opere, le industrie, i sacrifici stessi, se la Chiesa militante non possiede dei santi, che la sostengano nel suo stato di via, scelto dal Maestro, per la redenzione del mondo: tutto resterebbe sterile. Tante forze e fecondità sono inerenti alla vita presente, e essa ha così poche attrattive che era cosa opportuna metterne in rilievo il valore" (ivi c. XIX).

 

VITA. - Giovanni della Croce nacque il 24 giugno 1524 a Fontiveros, in Spagna. La Vergine Santissima gli mostrò il suo amore salvandolo da un pozzo in cui da bambino era caduto. Giovanissimo, cominciò a mortificarsi e, dopo aver compiuti gli studi nel collegio di Medina, nel 1555 passò a servire i malati nell'ospedale della stessa città. L'anno appresso studiò filosofia presso i Gesuiti e nel 1563 fu accolto dai Carmelitani mitigati che lo mandarono a studiare a Salamanca. Un desiderio di vita più perfetta stava orientandolo verso i Certosini, ma santa Teresa, conosciuta la cosa, gli chiese un colloquio e gli propose la riforma del Carmelo. Egli allora si stabilì con un compagno a Duruelo prima e poi a Mancera. L'opera di riforma gli procurò fatiche e prove, che egli accettò con serenità e ammirabile carità. Fondò numerose case di stretta osservanza, scrisse di Teologia mistica in libri pieni di sapienza, e, premio alle sue fatiche, chiese al Signore di soffrire e di essere disprezzato per Lui. Il Signore accolse il suo desiderio e nel giugno del 1591 cadde in disgrazia del suo Ordine e il 14 dicembre morì a Ubeda in età di 49 anni. Alla morte un globo di fuoco splendente accolse l'anima sua e il corpo emanò odore soavissimo. Il corpo è conservato incorrotto a Segovia. Benedetto XIII lo canonizzò e Pio XI lo dichiarò Dottore della Chiesa.

 

La vita divina.

Nel Carmelo e sui monti, come nelle pianure e nelle vallate, si moltiplichino le anime che riconciliano cielo e terra, attirano benedizioni e allontanano i castighi! Noi, santi per vocazione (Rm 1,7), chiediamo di essere capaci, sul tuo esempio e per la tua preghiera, o Giovanni della Croce, di lasciare agire in noi la grazia divina con tutte le sue possibilità di purificazione e deificazione, per poter dire un giorno insieme con te:

"O tocco delicato, Verbo Figlio di Dio, che per la delicatezza del tuo essere divino penetri sottilmente la sostanza dell'anima mia e toccandola delicatamente in te tutta l'assorbì in soavi delizie divine, non mai udite nella terra di Canaan, né mai viste in Teman (Bar 3,22). O tocco del Verbo, delicatissimo oltre ogni dire, e per me tanto più delicato, in quanto che, avendo tu scosso i monti e spaccato le pietre dell'Oreb con l'ombra del tuo potere e la forza che ti precedeva, ti lasciasti sentire più soavemente e fortemente dal Profeta nel sibilo di un'aura leggera (3Re 19,11-12). O aura delicata, giacché sei tale, dimmi: Come mai tocchi sì sottilmente e delicatamente, o Verbo Figlio di Dio, pur essendo sì terribile e potente? O felice, felicissima l'anima che toccherai dolcemente. Di' questo al mondo; ma no, non dirlo al mondo, che niente sa di aura delicata, e non ti sentirà, perché non è capace di ricevere e vedere te (Gv 14,17). Ma ben ti vedranno, mio Dio e mia vita, e sentiranno il tuo tocco delicato coloro che, alienandosi dal mondo, si renderanno simili a te nella purezza: essi solo ti potranno sentire e godere. E tanto più delicatamente li toccherai, quanto più nascosto farai dimora nella loro anima, essendo questa già raffinata, pura, libera da tutte le creature e da ogni vestigio e tocco di esse. Ed in tal guisa li celerai, o Signore, nel nascondiglio del tuo volto (che è il Verbo), proteggendoli dalle molestie degli uomini (Sal 30,21).

... Tanto delicato poi è l'effetto, l'impronta che lasci in lei, che ogni altro tocco di qualsivoglia cosa, alta o bassa che sia, le sembra grossolano e impuro; anzi il solo considerarlo l'offende, e il trattarlo le riesce di grave pena e tormento" (Fiamma viva d'amore, strofa II, nn. 17-18).

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1313-1318

 

 

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