UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

MARTEDÌ DI QUINQUAGESIMA

 

Separazione dal mondo.

Secondo il Vangelo, il principio fondamentale della condotta cristiana consiste nel vivere fuori del mondo, nel separarsi dal mondo, nel far guerra al mondo. Il mondo è questa terra infedele, dalla quale Abramo, il nostro modello, s'allontanò per ordine di Dio; è questa Babilonia che ci tiene schiavi e il cui soggiorno è pieno d'insidie e pericoli.

Il Discepolo prediletto ci grida: "Non amate il mondo, né le cose del mondo: se uno ama il mondo, non è in lui la carità del Padre" (1Gv 2,15). Ricordiamo anche la terribile parola che il Salvatore, pure così misericordioso, pronunciò mentre andava ad offrire il suo Sacrificio per tutti noi al Padre: "Non prego per il mondo" (Gv 17,9).

Anche noi giurammo odio al mondo, quando fummo segnati dal glorioso indelebile carattere di cristiani, rinunciando alle sue opere ed alle sue vanità e rinnovando più volte quell'impegno solenne.

 

L'uso legittimo delle creature.

Ma tutto ciò vuoi forse dire che per essere buoni cristiani dobbiamo fuggire in un deserto ed isolarci dalla convivenza dei nostri simili? Non è questa l'intenzione di Dio, perché nello stesso libro dove ci ordina di fuggire il mondo e di odiarlo, c'impone dei precisi doveri verso le creature umane, sanzionando e benedicendo quei legami che la disposizione della sua divina Provvidenza ha stabilito fra essi e noi. Il suo Apostolo ci ammonisce di usare del mondo come se non ne usassimo (1Cor 7,31); dunque non ce ne viene proibito l'uso. Allora che vuoi dire odiare il mondo? c'è forse una contraddizione della celeste dottrina? o siamo condannati ad errare nelle tenebre?

Niente di tutto questo. Tutto è chiaro, se teniamo nel giusto conto le creature che ci circondano. Se intendiamo con la parola mondo tutte le cose create dalla potenza e bontà di Dio, non è indegno del suo autore questo mondo visibile, ch'egli fece per la sua gloria ed il nostro servizio; se anzi ne useremo fedelmente, le creature sono una serie di gradini che ci fanno salire al Creatore. Usiamone mostrandoci grati a lui, ma non riponiamo in esse le nostre speranze; non affezioniamoci ad esse con un amore che dobbiamo solo a Dio; infine non dimentichiamo i nostri immortali destini che non troveranno il loro compimento quaggiù.

 

La perversità del mondo.

Ma intanto la maggior parte degli uomini non hanno questa prudenza; invece d'elevarsi in alto, il loro cuore si ferma al basso, a tal punto che quando l'autore di questo mondo si degnò di venirlo a salvare, il mondo non lo volle conoscere (Gv 1,10). A causa di questa ingratitudine il Signore ha condannato gli uomini chiamandoli il mondo, applicando loro il nome dell'oggetto della loro cupidigia, perché hanno chiuso gli occhi alla luce e sono diventati tenebre.

In questo senso maledetto, dunque, il mondo è tutto ciò che si oppone a Gesù Cristo; sono tutti coloro che si rifiutano di conoscerlo e non si lasciano governare da lui. È quell'insieme di massime tendenti a distruggere o comprimere lo slancio soprannaturale delle anime a Dio, a far apparire più vantaggioso tutto ciò che incatena il nostro cuore coi lacci di questa fuggevole vita, a disprezzare o respingere tutto ciò che eleva l'uomo al disopra della natura imperfetta e viziata, ad incantare e sedurre la povera imprudenza umana con l'esca delle soddisfazioni pericolose che, invece d'avvicinarci al nostro ultimo fine, ci abbagliano per sviarci dalla retta via.

 

Necessità della lotta.

Ora questo mondo reprobo è dappertutto, ed ha le sue intese nel nostro cuore, che a causa del peccato è tutto compenetrato del mondo esterno che pure è opera di Dio. Noi dobbiamo vincere e calpestare il mondo, se non vogliamo perire con lui; è indispensabile che usciamo dal dilemma che ci viene imposto: o suoi nemici o suoi schiavi. Ai nostri giorni il mondo trionfa, ed ha assicurato il suo impero in moltissimi cristiani, che pure lo ripudiarono così solennemente il giorno che furono incorporati alla milizia di Gesù Cristo. Compiangiamoli, preghiamo per loro e tremiamo per noi; ed affinché non venga mai meno il nostro giuramento, meditiamo, ora che n'è il tempo, sulle consolanti parole del Signore a proposito dei discepoli, nell'ultima Cena: "Padre mio, io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come neanch'io sono del mondo. Non chiedo che tu li levi dal mondo, ma che tu li guardi dal male" (Gv 17,14-15).

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 460-462

 

 

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