UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

LUNEDÌ DI SETTUAGESIMA

 

I benefici di Dio.

Il serpente disse alla donna: "Perché Dio vi ha proibito di mangiare il frutto di tutte le piante del paradiso?". Così inizia il colloquio che la nostra progenitrice accondiscese di fare col nemico di Dio; e così la salute del genere umano è già in pericolo...

Vediamo di ricordare tutto ciò che accadde quel giorno. La potenza e l'amore di Dio creò due esseri, nei quali versò tutte le ricchezze della sua bontà. Aprì dinanzi a loro un destino d'immortalità, accompagnato da tutti i pregi d'una adeguata perfetta felicità. Tutta la natura era loro soggetta; sarebbe uscita da loro un'innumerevole discendenza che li avrebbe circondati d'una perpetua filiale tenerezza. Inoltre lo stesso Signore che li aveva creati trovava la sua compiacenza nel familiarizzare con loro, e nella loro innocenza non si meravigliavano dell'accondiscendenza divina.

Ma c'è di più. Dopo la prova che li avrebbe fatti degni e meritevoli, il Signore, da loro conosciuto solo attraverso benefici di un ordine inferiore, aveva loro preparato una felicità superiore ad ogni immaginazione, decretando di farsi conoscere da loro com'egli è, di associarli alla sua stessa gloria, di rendere la loro felicità infinita e nello stesso tempo eterna. Ecco ciò che fece Dio, ciò che aveva preparato a quelli che poco prima giacevano nel nulla.

In ricambio di tanti doni gratuiti e magnifici, Dio non chiese loro che una sola cosa: riconoscere il suo dominio su di essi. Non poteva esserci cosa più dolce, e nulla di più giusto. Tutto ciò ch'era dentro e fuori di loro era il frutto dell'inesauribile munificenza di Colui che li aveva tratti dal nulla; perciò tutta la loro vita non doveva essere che fedeltà, amore e riconoscenza. In segno di questa fedeltà, amore e riconoscenza, il Signore impose loro un solo precetto: astenersi dal frutto d'un solo albero. La facile osservanza di questo comandamento doveva costituire l'unica compensazione richiesta per l'elargizione dei suoi benefici e ciò sarebbe bastato alla sua sovrana giustizia. Essi pertanto la dovevano accettare con santo orgoglio, come l'unico mezzo col quale si potevano sdebitare con Dio, e come il dolce legame che li avrebbe uniti per sempre a lui.

 

La tentazione.

Ma guardate invece che accade. Una voce, che non è quella di Dio, la voce d'una vile creatura, si fa ascoltare dalla donna: "Perché Dio v'ha fatto questo comando?". E la donna indugia ad ascoltare quella voce, e il suo cuore non si ribella nel sentirsi chiedere perché mai il divino benefattore abbia dato questo o quell'ordine. Non s'affretta a fuggire inorridita chi osa sindacare i precetti divini; neppure gli rinfaccia che il solo porre una simile questione le sembra sacrilegio. La donna rimane e si prepara a rispondergli; l'onore di Dio non la commuove più. Quanto pagheremo caro tutti noi quest'incredibile imprudenza ed insensibilità.

Eva risponde: "Del frutto delle piante che sono nel paradiso ne mangiamo"; ma del frutto dell'albero ch'è nel mezzo del paradiso Dio ci ordinò di non mangiarne, e di non toccarlo, che forse non s'abbia a morire". Così la donna non solo si mette ad ascoltare i serpente, ma anche gli risponde e non teme d'intavolare un discorso con lo spirito perverso che la tenta. Si espone al pericolo, compromettendo così la sua fedeltà. Sebbene le parole che usa nel rispondere mostrino che non avesse affatto dimenticato l'ordine del Signore, tuttavia lasciano trapelare un'incertezza che sa di orgoglio e d'ingratitudine.

S'accorge lo spirito maligno che aveva destato nel cuore della donna l'amore alla propria indipendenza: se ora riesce a tranquillizzare la sua vittima che non le nuocerà il disobbedire, essa sarà sua. E con uguale audacia e perfidia continuò: "No, voi non morrete; anzi Dio sa bene che, in qualunque giorno ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, avendo la conoscenza del bene e del male". È la rottura completa con Dio che il serpente insinua alla donna, accendendo l'amore di sé, che è il male supremo della creatura, ma che non può soddisfare se non rompendo i legami che la tengono unita al Creatore. Il ricordo dei divini benefici, la voce della riconoscenza, il suo supremo interesse: tutto ha dimenticato. Come l'angelo ribelle l'uomo ingrato vuoi essere simile a Dio; come lui sarà castigato.

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 431-433

 

 

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