UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

 

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PRIMA DELL'UFFICIO DELLA NOTTE

 

Il Mattutino.

I fedeli debbono sapere che, nei primi secoli della Chiesa, non si celebrava festa solenne senza prepararvisi con una Veglia laboriosa, durante la quale il popolo cristiano, rinunciando al sonno, gremiva la chiesa, e seguiva con fervore la salmodia e le letture il cui insieme formava fin d'allora quello che oggi chiamiamo il Mattutino. La notte era divisa in tre parti, designate con il nome di Notturni; e allo spuntar del giorno, si riprendevano i canti con maggiore solennità nell'Ufficio delle Lodi che ha conservato il nome di Laudi. Questo divino servizio, che occupava la parte migliore della notte, si celebra ancora ogni giorno, per quanto a ore meno penose, nei Capitoli e nei Monasteri, ed è recitato privatamente da tutti i chierici tenuti all'Ufficio divino, di cui forma la parte più considerevole. Il decadere delle usanze liturgiche ha a poco a poco disabituato le folle a prender parte alla celebrazione del Mattutino e nella maggior parte delle chiese parrocchiali e anche delle cattedrali, si è finito col cantarlo solo quattro volte all'anno, cioè negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, e nel giorno di Natale, nel quale almeno lo si celebra press'a poco alla stessa ora in cui veniva celebrato nell'antichità.

L'Ufficio della notte di Natale è sempre stato, fra tutti quelli dell'anno, celebrato e solennizzato con una devozione speciale: innanzitutto a motivo dell'ora nella quale la Santissima Vergine diede alla luce il Salvatore, e che è giusto attendere nelle preghiere e nei voti più ardenti; quindi perché la Chiesa non si contenta di celebrare in quella notte il Mattutino come d'ordinario, ma vi aggiunge, una accezione unica, e per meglio onorare la divina Nascita, l'offerta del santo Sacrificio della Messa nell'ora stessa di Mezzanotte, che è quella in cui Maria diede il suo augusto frutto alla terra. Vediamo pure che in molti luoghi, specialmente nelle Gallie, secondo la testimonianza di san Cesarlo di Arles, i fedeli passavano tutta la notte in Chiesa.

A Roma, per parecchi secoli, almeno dal settimo all'undicesimo, vi erano due Mattutini nella notte di Natale. Il primo si cantava nella Basilica di S. Maria Maggiore. Aveva inizio subito dopo il tramonto, non aveva Invitatorio, ed era seguito dalla prima Messa di Natale che il Papa celebrava a mezzanotte. Subito dopo, egli si recava con il popolo alla Chiesa di S. Anastasia, dove celebrava la Messa dell'Aurora. Il pio e religioso corteo si portava quindi, sempre con il Pontefice, alla Basilica di San Pietro, dove si iniziava subito il secondo Mattutino. Esso aveva un Invitatorio, ed era seguito dalle Laudi, cantate, come gli Uffici seguenti, alle debite ore, mentre il Papa celebrava la terza e ultima Messa all'ora di Terza. Amalario e l'antico liturgista del XII secolo che è conosciuto sotto il nome di Alcuino, ci hanno conservato questi particolari, che sono del resto resi sensibili dal testo degli antichi Antifonari della Chiesa Romana, pubblicati dal beato Giuseppe Tommasi e dal Gallicioli.

La fede era viva in quei tempi, ed essendo il sentimento della preghiera il legame più potente per i popoli nutriti senza posa dei divini misteri, le ore passavano presto per essi nella casa di Dio. Si comprendevano allora le preghiere della Chiesa ; le cerimonie della Liturgia, che ne sono l'indispensabile complemento, non erano come oggigiorno uno spettacolo muto, o tutt'al più soffuso d'una vaga poesia: le folle credevano e sentivano come gli individui. Chi ci restituirà quella comprensione delle cose soprannaturali, senza la quale tanti oggi ancora si vantano di essere cristiani e cattolici?

 

La veglia di Natale.

Tuttavia, grazie a Dio, questa fede pratica non è ancora del tutto spenta presso di noi; speriamo anzi che riprenda un giorno la sua antica vita. Quante volte ci siamo compiaciuti di ricercarne e completarne le tracce in seno a quelle famiglie patriarcali, ancora numerose oggi nelle nostre cittadine e nelle nostre campagne! È qui che abbiamo visto - e nessun ricordo d'infanzia ci è più caro - tutta una famiglia, dopo il frugale pasto della sera, raccogliersi attorno a un grande focolare, aspettando solo il segnale per alzarsi e recarsi alla Messa di Mezzanotte. Le vivande che dovevano essere servite al ritorno, e la cui ricerca semplice ma succulenta doveva completare la gioia di quella notte santa, erano preparate in anticipo; e al centro del focolare un robusto tronco d'albero, decorato del nome di ciocco di Natale, ardeva scoppiettante, e diffondeva un potente calore in tutta la stanza. Il suo destino era di consumarsi lentamente durante le lunghe ore dell'Ufficio, onde offrire al ritorno un salutare braciere per riscaldare le membra dei vecchi e dei bambini intorpidite dal freddo.

Intanto si parlava con santa allegrezza del mistero della grande notte; ci si univa ai patimenti di Maria e del suo dolce Figlio esposti in una stalla abbandonata a tutti i rigori dell'inverno; si intonava qualcuna di quelle dolci Pastorali, al cui canto si erano già passate tante commoventi serate in tutto il corso dell'Avvento. Le voci e i cuori erano concordi nell'eseguire le melodie campestri composte in giorni migliori. Quegli ingenui cantici ricordavano la visita dell'Angelo Gabriele a Maria, e l'annuncio di una maternità divina fatta alla nobile fanciulla; l'angoscia di Maria e di Giuseppe che percorrevano le strade di Betlemme quando cercavano invano un posto negli alberghi della città ingrata; il parto miracoloso della Regina del ciclo; la dolcezza del Neonato nell'umile culla; l'arrivo dei pastori, con semplici doni, la musica piuttosto rozza, e la fede candida dei loro cuori. Ci si animava passando da una lode all'altra; tutte le preoccupazioni della vita erano sospese, tutti i dolori addolciti, ogni anima tranquilla. Quando l'improvvisa voce delle campane, risuonando nella notte, veniva a por fine a quei rumorosi e amabili concerti, ci si metteva in cammino verso la chiesa. Fortunati allora i bambini che l'età meno tenera permetteva di far partecipare per la prima volta alle ineffabili gioie di quella solenne notte le cui sante e forti emozioni dovevano durare tutta la vita.

Ma dove ci trasporta la dolcezza di questi ricordi? Vorremmo soprattutto suggerire a coloro che ci vogliono leggere e che vogliono impiegare utilmente gli ultimi istanti che precedono l'andata alla casa di Dio, alcune considerazioni con l'aiuto delle quali potranno entrare ancora più intimamente nello spirito della Chiesa, fissando il cuore e l'immaginazione su oggetti reali e consacrati dai misteri di questa santa notte.

 

La grotta di Betlemme.

Orbene, vi sono tre luoghi nel mondo che il nostro pensiero deve cercare soprattutto in quest'ora. Betlemme è il primo, e in Betlemme è la grotta della Natività che ci chiama. Accostiamoci con un santo rispetto, e contempliamo l'umile asilo che il Figlio dell'Eterno, disceso dal cielo, ha scelto per sua prima residenza. La stalla scavata nella roccia, è situata fuori della città; misura circa quaranta piedi di lunghezza e dodici di larghezza. Il bue e l'asino annunciati dal profeta sono lì presso la mangiatoia, muti testimoni del divino mistero che la casa dell'uomo ha rifiutato di accogliere.

Giuseppe e Maria sono scesi in quell'umile rifugio; il silenzio e la notte li circondano; ma il loro cuore si effonde in lodi e adorazioni verso il Dio che si degna riparare così completamente l'orgoglio dell'uomo. La purissima Maria dispone le fasce che debbono avvolgere le membra del celeste Bambino, e attende con ineffabile pazienza l'istante in cui i suoi occhi vedranno finalmente il frutto benedetto del suo casto seno, potrà coprirlo dei suoi baci e delle sue carezze e nutrirlo del suo virgineo latte.

Frattanto il divin Salvatore, presso a varcare la barriera del seno materno, e a fare il suo ingresso visibile in questo mondo di peccato, si china davanti al Padre celeste, e, secondo la rivelazione del Salmista spiegata dal grande Apostolo nell'Epistola agli Ebrei, dice: "Padre mio, tu non vuoi più i rozzi olocausti che ti si offrono secondo la legge; le vane oblazioni non hanno appagato la tua giustizia; ma tu mi hai dato un corpo; eccomi, io vengo ad immolarmi, vengo a compiere la tua volontà" (Ebr 10,5-7).

Tutto ciò avveniva press'a poco a quest'ora, nella stalla di Betlemme, e gli Angeli del Signore erano rapiti d'ammirazione perla grande misericordia di un Dio verso le creature ribelli, mentre consideravano estatici la nobile e graziosa bellezza della Vergine purissima aspettando anch'essi l'istante in cui la Rosa mistica sarebbe alfine sbocciata e avrebbe effuso il suo divino profumo.

Beata Grotta di Betlemme che fu testimone di tali meraviglie! Chi di noi, in quest'ora, non rivolgerebbe il cuore? Chi di noi non la preferirebbe ai più sontuosi palazzi dei re? Fin dai primi giorni del cristianesimo, la venerazione dei fedeli la circondò dei più teneri omaggi fino a quando la grande sant'Elena, suscitata da Dio per riscoprire e onorare sulla terra le orme del passaggio dell'Uomo-Dio, fece costruire a Betlemme la magnifica Basilica che doveva custodire nelle sue mura questo trofeo dell'amore d'un Dio per la sua creatura.

Trasportiamoci col pensiero in quella chiesa che ancora oggi esiste, osserviamo, in mezzo agli infedeli e agli eretici, i religiosi che hanno cura del santuario, e che si preparano a cantare, nella nostra lingua latina, gli stessi cantici che presto sentiremo. Quei religiosi sono figli di san Francesco, eroi della povertà, discepoli del Bambino di Betlemme; e appunto perché sono piccoli e deboli sostengono da soli, da oltre cinque secoli, le battaglie del Signore, nei luoghi della Terra Santa che la spada dei Crociati aveva smesso di difendere. Preghiamo insieme ad essi questa notte; e baciamo con essi la terra in quel punto della grotta dove si leggono a lettere d'oro queste parole: HIC ME DE VIRGINE MARIA IESUS CHRISTUS NATUS EST.

Tuttavia, cercheremmo invano oggi a Betlemme la beata Mangiatoia che ricevette il divino Bambino. Da dodici secoli essa ha lasciato quei luoghi colpiti dalla maledizione; è venuta a cercare un asilo nel centro della cattolicità, a Roma, la Sposa favorita del Redentore.

 

La Basilica del Presepio.

Roma è dunque il secondo luogo del mondo che il nostro cuore deve cercare in questa beata notte. Ma nella città santa, vi è un santuario che richiede in questo momento tutta la nostra venerazione e tutto il nostro amore. È la Basilica del Presepio, la splendida e radiosa chiesa di Santa Maria Maggiore. Regina di tutte le numerose chiese che la devozione romana ha dedicata alla Madre di Dio, essa si eleva con magnificenza sull'Esquilino, tutta risplendente di marmo e d'oro, ma soprattutto beata di possedere nel suo seno, con il ritratto della Vergine Madre attribuito a san Luca, l'umile e glorioso Presepio che gli impenetrabili decreti del Signore hanno tolto a Betlemme per affidarlo alla sua custodia. Una folla immensa gremisce la Basilica, aspettando il momento solenne in cui il meraviglioso monumento dell'amore e dell'abbassamento d'un Dio apparirà portato a spalla dai ministri sacri, come un'arca della nuova Alleanza, la cui vista tanto desiderata rassicura il peccatore e fa palpitare il cuore del giusto. Dio ha dunque voluto che Roma, la quale doveva essere la nuova Gerusalemme, fosse anche la nuova Betlemme, e che i figli della sua Chiesa trovassero in questo centro immutabile della loro fede l'alimento vario e inesauribile del loro amore.

 

Il nostro cuore.

Visitiamo infine il terzo santuario in cui deve compiersi questa notte il mistero della nascita del divino Figlio di Maria. Questo terzo santuario è proprio vicino a noi; è in noi: è il nostro cuore. Il cuore è la Betlemme che Gesù vuoi visitare, nella quale vuoi nascere, per stabilirvi e crescervi fino all'uomo perfetto, come dice l'Apostolo (Ef 4,13). Se egli visita la stalla della città di David è solo per giungere più sicuramente al nostro cuore che ha amato di un amore eterno, fino a discendere dal cielo per venire ad abitarlo. Il seno purissimo di Maria l'ha custodito solo per nove mesi; egli vuole risiedere eternamente nel nostro cuore.

O cuore del Cristiano vivente a Betlemme, preparati, e gioisci. Tu ti sei già disposto mediante la confessione delle tue colpe, la contrizione delle tue offese, la penitenza dei tuoi peccati all'unione che il divino Bambino desidera contrarre con te. Ora sta attento: egli verrà a mezzanotte. Fa' che ti trovi pronto, come trovò la stalla e la mangiatoia e le fasce. Tu non puoi offrirgli le pure e materne carezze di Maria, le tenere cure di Giuseppe: presentagli almeno l'adorazione e l'amore semplice dei pastori. Come la Betlemme dei tempi attuali, tu abiti in mezzo agli infedeli, a coloro che ignorano il divino mistero d'amore: che i tuoi voti siano segreti e sinceri come quelli che saliranno questa notte al cielo dal fondo della gloriosa e santa grotta che raccoglie i fedeli attorno ai figli di san Francesco. Nel gaudio di questa santa notte, diventa simile alla radiosa Basilica che custodisce in Roma il deposito del santo Presepio e il dolce ritratto della Vergine Madre. Che i tuoi affetti siano puri come il marmo bianco delle sue colonne; la tua carità risplendente come l'oro che brilla sulle sue pareti; le tue opere luminose come i mille ceri che dentro di essa illuminano la notte di tutti gli splendori del giorno. Infine, o soldato di Cristo, impara che bisogna combattere per meritare di avvicinarsi al divino Bambino: combattere per conservare in sé la sua presenza piena di amore; combattere per arrivare al giorno beato che ti farà tutt'uno con lui nell'eternità. Conserva dunque caramente queste impressioni; che esse ti nutrano, ti consolino e ti santifichino, fino al momento in cui l'Emmanuele discenderà in te. O vivente Betlemme, ripeti senza stancarti le dolci parole della Sposa: Vieni, Signore Gesù, vieni!

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 119-124

 

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