UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
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L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

Missale Romanum

 

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

 

La Domenica della gioia.

Questa Domenica chiamata Laetare, dalla prima parola dell'Introito della Messa, è una delle più celebri dell'anno. In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della Messa non parlano che di gioia e di consolazione; si fa risentire l'organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti; il diacono riveste la dalmatica e il suddiacono la tunicella; è consentito sostituire i paramenti violacei coi paramenti rosa. Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l'Avvento, nella terza Domenica chiamata Gaudete. Manifestando oggi la Chiesa la sua allegrezza nella Liturgia, vuole felicitarsi dello zelo dei suoi figli; avendo essi già percorso la metà della santa quaresima, vuole stimolare il loro ardore a proseguire fino alla fine [1].

 

La Stazione.

La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme, una delle sette principali chiese della città eterna. Disposta nel IV secolo nel palazzo Sessoriano, per cui venne pure chiamata Basilica Sessoriana, essa fu arricchita delle più preziose reliquie da sant'Elena, la quale voleva farne come la Gerusalemme di Roma. Con questo proposito, ella vi fece trasportare una grande quantità di terra prelevata sul Monte Calvario, e depositò in questo tempio, insieme ad altri cimeli della Passione, l'iscrizione sovrapposta sulla testa del Salvatore mentre spirava sulla Croce; tale scritta ivi ancora si venera sotto il nome del Titolo della Croce. Il nome di Gerusalemme legato a questa Basilica ravviva tutte le speranze del cristiano. perché gli ricorda la patria celeste, la vera Gerusalemme dalla quale siamo ancora esiliati. Per questo fin dall'antichità i sovrani Pontefici pensarono di sceglierla per l'odierna Stazione. Fino all'epoca della residenza dei Papi in Avignone veniva benedetta fra le sue mura la rosa d'oro, cerimonia che ai nostri giorni ha luogo nel palazzo dove il Papa ha la sua attuale residenza.

 

La Rosa d'oro.

La benedizione della Rosa è dunque ancora oggi uno dei particolari riti della quarta Domenica di Quaresima, per la quale ragione viene anche chiamata la Domenica della Rosa. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia coi sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere nei suoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell'abbazia di S. Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla Rosa d'oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme (PL 217, 393). Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetta la Rosa, seguiva in corteo tutto il sacro Collegio, verso .a chiesa della Stazione, portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella Basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla Rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa; terminata la quale, i1 Pontefice ritornava al palazzo Lateranense, attraversando la pianura che separa le due Basiliche, sempre con la Rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa ed aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la Rosa, oggetto di tanto onore.

Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la Rosa d'oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro Crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d'un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella Cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo Sacrificio la rosa viene posta sull'altare e fissata sopra un rosaio d'oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al Pontefice, il quale all'uscire dalla Cappella la tiene sempre fra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la Rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una Chiesa che vien fatta oggetto di una tale distinzione.

 

Benedizione della Rosa d'oro.

Daremo qui la traduzione della bella preghiera con la quale il sovrano Pontefice benedice la Rosa d'oro: essa aiuterà i nostri lettori a meglio penetrare il mistero di questa cerimonia, che aggiunge tanto splendore alla quarta Domenica di Quaresima: "O Dio, che tutto hai creato con la tua parola e la tua potenza, e che ogni cosa governi con la tua volontà, tu che sei la gioia e l'allegrezza di tutti i fedeli; supplichiamo la tua maestà a voler benedire e santificare questa Rosa dall'aspetto e dal profumo così gradevoli, che noi dobbiamo oggi portare fra le mani, in segno di gioia spirituale: affinché il popolo a te consacrato, strappato al giogo della schiavitù di Babilonia con la grazia del tuo Figliolo unigenito, gloria ed allegrezza d'Israele, esprima con sincero cuore le gioie della Gerusalemme di lassù, nostra madre. E come la tua Chiesa, alla vista di questo simbolo, sussulta di felicità per la gloria del Nome tuo, concedigli, o Signore, un appagamento vero e perfetto. Gradisci la sua devozione, rimetti i suoi peccati, aumentane la fede; abbatti i suoi ostacoli ed accordagli ogni bene: affinché la medesima Chiesa ti offra il frutto delle sue buone opere, camminando dietro ai profumi di questo Fiore, il quale, uscito dalla pianta di Gesse, è misticamente chiamato il fiore dei campi e il giglio delle convalli; e ch'esso meriti di godere un giorno la gioia senza fine in seno alla celeste gloria, in compagnia di tutti i Santi, col Fiore divino che vive e regna teco, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen".

 

La moltiplicazione dei pani.

Veniamo ora a parlare d'un altro appellativo che si da alla quarta Domenica di Quaresima, e che si riferisce alla lettura del Vangelo che la Chiesa oggi ci presenta. Questa Domenica infatti, in parecchi antichi documenti, è indicata col nome di Domenica dei cinque pani; il miracolo ricordato da questo titolo, mentre completa il ciclo delle istruzioni quaresimali, aumenta anche la gioia di questo giorno. Dimentichiamo per un istante la Passione imminente del Figlio di Dio, per occuparci del più grande dei suoi benefici: perché sotto la figura di questi pani materiali moltiplicati dalla potenza di Gesù. la nostra fede scopra quel "pane di vita disceso dal cielo che dà al mondo la vita" (Gv 6,33). La Pasqua s'avvicina, dice il Vangelo, e fra pochi giorni lo stesso Salvatore ci dirà: "Ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua" (Lc 22,15). Prima di lasciare questo mondo per il Padre, egli vuole sfamare la folla che segue i suoi passi, e per questo si appella a tutta la sua potenza. Con ragione voi rimanete ammirati davanti a questo potere creatore, cui bastano cinque pani e due pesci per dar da mangiare a cinque mila uomini, così che dopo il pasto ne avanza da riempire dodici sporte. Un sì strepitoso prodigio basta senza dubbio a dimostrare la missione di Gesù; ma voi vi vedete solo un saggio della sua potenza, solo una figura di ciò che sta per fare, non una o due volte solamente, ma tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli; e non in favore di cinque mila persone, ma di una moltitudine innumerevole di fedeli. Contate sulla faccia della terra i milioni di cristiani che prenderanno posto al banchetto pasquale; colui che abbiamo visto nascere in Betlemme, la Casa del pane, sta per dare se stesso in loro alimento; e questo cibo divino mai si esaurirà. Sarete saziati come furono saziati i vostri padri; e le generazioni che verranno dopo di voi saranno, come voi, chiamate a "gustare e a vedere quanto è soave il Signore" (Sal 33,9).

È nel deserto che Gesù sfama questi uomini, figura dei cristiani. Tutto un popolo ha lasciato il chiasso della città per seguirlo; bramando d'udire la sua parola, non ha temuto né la fame, né la stanchezza; ed il suo coraggio è stato ricompensato. Similmente il Signore coronerà le fatiche del nostro digiuno e della nostra astinenza al termine di questo periodo, di cui abbiamo già passato la metà. Rallegriamoci, dunque, e passiamo questa giornata confidando nel prossimo nostro arrivo alla mèta. Sta per arrivare il momento in cui l'anima nostra, saziata di Dio, non si lamenterà più delle fatiche del corpo; perché, insieme alla compunzione del cuore, queste le avranno meritato un posto d'onore nell'immortale banchetto.

 

L'Eucarestia.

La Chiesa primitiva non mancava di presentare ai fedeli il miracolo della moltiplicazione dei pani come l'emblema dell'inesauribile alimento eucaristico: ed anche nelle pitture delle Catacombe e sui bassorilievi degli antichi sarcofaghi cristiani lo si riscontra frequentemente. I pesci dati a mangiare insieme ai pani, pure apparivano in questi antichi monumenti della nostra fede, essendo soliti i primi cristiani figurare Gesù Cristo sotto il simbolo del Pesce, perché in greco la parola Pesce è formata di cinque lettere, ognuna delle quali è la prima delle parole: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.

In questo giorno, ultimo della settimana Mesonèstima, i Greci onorano san Giovanni Climaco, celebre Abate del monastero del Monte Sinai, del VI secolo.

 

MESSA

EPISTOLA (Gal 4,22-31). - Fratelli: Sta scritto che Abramo ebbe due figlioli: uno dalla schiava e uno dalla libera; e mentre quello della schiava nacque secondo la carne, quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico. Rappresentano le due alleanze: una del monte Sinai che genera schiavi, e sarebbe Agar: infatti il Sinai è un monte dell'Arabia, ed ha molta relazione con la Gerusalemme attuale, che è schiava coi suoi figlioli. Ma la Gerusalemme superiore è libera, essa è la nostra madre; sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile che non partorisci, prorompi in grida di gioia, tu che non divieni madre, perché molti sono i figlioli dell'abbandonata, e più numerosi di quelli di colei che ha marito. Quanto a noi, o fratelli, siamo come Isacco, figlioli della promessa, e come allora quello nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così pure succede ora. Ma che dice la Scrittura? Caccia la schiava e il suo figliolo, perché non dev'essere il figlio della schiava erede col figlio della libera. Pertanto, o fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera, per quella libertà con la quale Cristo ci ha liberati.

 

La vera libertà.

Rallegriamoci, figli di Gerusalemme e non più del Sinai ! La madre che ci ha generati, la santa Chiesa, non è schiava, ma libera; ed è per la libertà che ci ha dati alla luce. Israele serviva Dio nel timore; il suo cuore, sempre inclinato all'idolatria, aveva bisogno d'essere incessantemente frenato, con un giogo che doveva pungolare le sue spalle. Ma noi, più fortunati, lo serviamo nell'amore; e per noi "il suo giogo è soave, e leggero il suo carico" (Mt 11,30). Noi non siamo cittadini della terra: solo l'attraversiamo; la nostra unica patria è la Gerusalemme di lassù. Lasciamo quella di quaggiù al Giudeo, che non gusta se non le cose terrene, e nella bassezza delle sue speranze, misconoscendo il Cristo, si prepara a crocifiggerlo. Troppo tempo abbiamo strisciato con lui sulla terra, schiavi del peccato; ma più le catene della sua schiavitù si appesantivano sopra di noi, più aspiravamo d'esserne liberi. Arrivato il tempo favorevole ed i giorni della salvezza, docili alla voce della Chiesa, abbiamo avuto la sorte di entrare nei sentimenti e nelle pratiche delle santa Quarantena. Oggi il peccato ci sembra come il giogo più pesante, la carne come un peso pericoloso, il mondo come un crudele tiranno; cominciamo a respirare, e l'attesa della prossima liberazione c'infonde una viva contentezza. Ringraziarne con effusione il nostro liberatore, che, togliendoci dalla schiavitù di Agar, ci risparmia i terrori del Sinai, e sostituendoci all'antico popolo, ci apre col suo sangue le porte della celeste Gerusalemme.

 

VANGELO (Gv. 6,1-15). In quel tempo: Gesù andò al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e lo seguiva gran folla, perché vedeva i prodigi fatti da lui sugl'infermi. Salì pertanto Gesù sopra un monte ed ivi si pose i sedere con i suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, la solennità dei Giudei. Or avendo Gesù alzati gli occhi e vedendo la gran turba che veniva a lui, disse a Filippo: Dove compreremo il pane per sfamare questa gente? Ma ciò diceva per metterlo alla prova; egli però sapeva quanto stava per fare. Gli rispose Filippo: Duecento danari di pane non bastano neanche a darne un pezzetto per uno. Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente? Ma Gesù disse: Fateli mettere a sedere. C'era lì molta erba. Si misero pertanto a sedere in numero di circa cinque mila. Allora Gesù prese i pani, e, rese le grazie, li distribuì alla gente seduta; e così pure fece dei pesci, finché ne vollero. E, saziati che furono, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. Li raccolsero adunque; e riempirono dodici canestri dei pezzi che erano avanzati a coloro che avevan mangiato di quei cinque pani d'orzo. Or quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: Questo è davvero il profeta che deve venire al mondo. Ma Gesù, accortosi che stavano per venire a rapirlo per farlo re, fuggì di nuovo solo sul monte.

 

Regalità spirituale del Cristo.

Questi uomini che il Salvatore aveva sfamati tanto amorosamente e con una potenza così miracolosa, hanno un solo pensiero: proclamarlo loro re. Una tale potenza e bontà riunite in Gesù lo fanno giudicare degno di regnare sopra di loro. Che faremo allora noi cristiani, che abbiamo sperimentato questo doppio attributo del Salvatore incomparabilmente meglio dei poveri Giudei? Perciò invochiamolo che presto il suo regno venga dentro di noi. Abbiamo visto nell'Epistola ch'egli venne a portarci la libertà, col liberarci dai nostri nemici. Ora tale libertà non la possiamo conservare, se non entro la legge. Gesù non è un tiranno, come il mondo e la carne; l'impero suo è dolce e pacifico, e noi siamo più figli suoi che sudditi. Alla corte di questo gran re, servire è regnare. Veniamo quindi ai suoi piedi a dimenticare tutte le passate schiavitù; e se c'impediscono ancora delle catene, affrettiamoci a romperle; la Pasqua è infatti la festa della liberazione, e già l'alba di questo giorno spunta all'orizzonte. Camminiamo decisi verso la mèta; Gesù ce ne darà il riposo e ci farà ristorare sull'erbetta, come fece alla moltitudine del Vangelo; e il Pane che ci avrà preparato ci farà subito dimenticare ogni fatica sostenuta durante il cammino.

 

PREGHIAMO

Fa', o Dio onnipotente, che noi, giustamente afflitti a causa delle nostre colpe, respiriamo per l'abbondanza della tua grazia.

 


[1] Siccome anticamente la Quaresima non cominciava il Mercoledì delle Ceneri, ma la prima Domenica di Quaresima, ne seguiva che la quarta Domenica segnava esattamente metà del periodo quaresimale. Era la Domenica di Metà-Quaresima. Più tardi si anticipò la Quaresima di quattro giorni, e la Metà-Quaresima venne trasportata dalla Domenica al Giovedì. Ma niente di tutto ciò figurava nei testi liturgici.

 

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 586-592

 

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