Messe latine antiche nelle Venezie
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LA MESSA,
IL RITO ROMANO ANTICO
E IL MONDO CONTEMPORANEO

di Pietro Giuseppe Grasso

 

"pel cattolico non è morta
la lingua con cui la Chiesa
parla al suo Dio; la lingua
con cui si rannoda ai suoi
padri; …la lingua per cui i
fedeli adunati da remotissime
terre comunicar possono fra
loro i pensieri ed affetti."
(padre Luigi Taparelli,

Saggio teoretico di dritto
naturale appoggiato sul
fatto, CXXVII, 20).

 

 

Preminenti sono le ragioni di ordine religioso che ispirano il Motu proprio pontificio, in forza del quale, con efficacia di accenti, è riproposta la piena legittimità e l'opportunità della celebrazione della Santa Messa secondo il rito romano antico. Oltre quelle ragioni preminenti, pare consentito considerare se il ritorno al rito più antico presenti pure qualche aspetto rilevante per la vita sociale e l'ordine civile. Indicative in talesenso paiono da ritenere le attenzioni dedicate in periodici accreditati alle questioni concernenti lo stesso Motu proprio. Oltre la ricognizione dei fatti concreti, per altro indispensabile a ogni ulteriore ragionamento, sono da considerare anche gli aspetti più generali delle stesse questioni.

In limine è da tenere presente che, ai nostri giorni, è dato di assistere a una riscoperta del latino per molti rapporti diversi dalla non mai interrotta attenzione, nelle scuole, per i grandi monumenti letterari e giuridici tramandati da Roma. Per vero nell'antico sermone, da più parti, si ricercano le nozioni preliminari necessarie per la formazione dei giovani, chiamati all'esercizio delle professioni e degli uffici più elevati, alle ricerche più approfondite anche nelle scienze mediche, matematiche e naturali. Tanto si riscontra in particolare nei Paesi anglosassoni, quindi in società avanzate nelle invenzioni e nelle applicazioni delle tecnologie. Informazioni chiare in proposito si possono leggere in un preciso articolo del professore Maurizio Ferrera, ordinario nell'Università di Milano, pubblicato nel "Corriere della sera" del 2 Settembre u. s. Avverte l'autore che nell'apprendimento di quella "lingua morta", da molti è visto oggi uno strumento efficace al fine di coltivare le attitudini di ragionamento e lo spirito di osservazione in un periodo, come il nostro, segnato da incessanti incalcolabili mutamenti e dall'incerto futuro.

 

* * *

 

È importante notare come l'esigenza di una tale "riscoperta" sia da riscontrare anche per i rapporti politici, istituzionali, giuridici, nelle condizioni storico-spirituali proprie di un'epoca di transizione, fatta palese dalla decadenza degli Stati nazionali e dalle spinte verso la fondazione di un ordinamento intereuropeo, ancora ben lontano dall'attuazione. Esemplare riesce in argomento il titolo di un rigoroso saggio giuridico, Lingua latina fundamentum et salus Europae, scritto dal professore Fritz Sturm, emerito dell'Università di Losanna; saggio inserito nel primo volume di un'importante opera collettiva, A l'Europe du troisième millenaire. Studi in onore di Giuseppe Gandolfi (ed. Giuffrè, Milano 2004, I, p. 441). L'insigne professore elvetico tratta delle difficoltà che nelle istituzioni e negli alti uffici dell' Unione europea conseguono dalla mancanza di un linguaggio unico e dalla prescrizione di usare come ufficiali contemporaneamente le diverse lingue degli Stati aderenti alla stessa Unione.

Sennonché il titolo Fundamentum et salus Europae può venire inteso pure in un'accezione più estensiva, come segno di massima considerazione per l'importanza che l'idioma di Roma aveva avuto nella formazione della civiltà venuta a stabilirsi fra i popoli dell'Antico Continente, dopo la fine dell'epoca classica. In tanta parte, la conservazione di quell'idioma fu dovuta all'azione della Chiesa, che ne aveva fatto la propria lingua ufficiale. A quanto pare, il riferimento a tali vicende storiche torna utile a comprendere il senso delle discussioni sorte in tempi recenti a proposito delle richieste d'inserire nel Preambolo dell'ultimo progetto di Trattato per la costituzione dell'ordinamento continentale un richiamo alle "radici giudaico-cristiane", proprie della civiltà dell'Europa. In limine va osservato che si tratta di questione ben diversa a confronto delle dichiarazioni contenute in diverse costituzioni, soprattutto meno recenti, circa la religione ufficiale dello Stato, ovvero della qualificazione in senso confessionista, trattandosi di riconoscere la nozione storico-spirituale di Europa ovvero la cosiddetta "identità" europea. È appena il caso di ricordare che il riferimento ai contenuti culturali è riguardato come essenziale al fine di evitare che la costruzione giuridica dell'Europa sia ridotta a delimitare uno "spazio economico" ovvero "una zona di libero scambio". A sommesso avviso di chi scrive, le ideologie e le istituzioni dell'odierna Unione europea sono informate dalle concezioni illuministico-liberali, così come le teorie e le istituzioni del costituzionalismo europeo continentale. L'ispirazione di fondo consegue dalla pretesa di costruire un governo esclusivo degli uomini sulla terra, indipendenti da qualsiasi autorità trascendente.

La moderna idea di Europa non ebbe però origine dal nulla, quasi novità assoluta radicale, ma fu elaborata dopo che fra i popoli dell'Antico Continente era venuta a stabilirsi nei secoli la convinzione del sussistere di numerosi rapporti e legami aventi carattere ideale e spirituale. Tanto era derivato principalmente dal permanere dell'adesione di tutti al magistero e ai comandi della Chiesa. Un simbolo universale e anche un mezzo per garantire quell'unità superiore ai particolarismi era rappresentato proprio dal latino, conservato come lingua ufficiale della Chiesa, pure dopo che nei diversi Paesi erano venute a imporsi le proprie lingue nazionali. In una siffatta continuità dell'originaria lingua ufficiale della Chiesa, a rigore, sembra giustificato discernere un ulteriore indizio, se non prova, a favore di coloro che riconoscono l'esistenza di "radici cristiane" dell'Europa. Si [15|16] può aggiungere che molti concetti del pensiero politico moderno sono derivati da concetti teologici secolarizzati, per trasformazione quindi di un patrimonio culturale preesistente.

 

* * *

 

Vi è ancora un argomento al quale torna utile accennare. Si tratta di una considerazione enunciata con riferimento specifico ai fedeli e alle loro manifestazioni corali, ma che pare rilevante anche per diversi rapporti della vita sociale. Sia consentita in proposito una citazione desunta da un'opera famosa di un sommo pensatore cattolico, padre Luigi Taparelli, voce autorevole della Compagnia di Gesù. Nel suo Trattato di dritto naturale appoggiato sul fatto (CXXVII, 17) si possono leggere le argomentazioni che seguono: "Una Chiesa che abbraccia tutti i popoli, abbisogna di una lingua universale, ma non ha motivo per adottare la lingua di questo più che di quello: ogni preferenza sarebbe ingiuria. Una Chiesa che dura fino alla consummazione dei secoli, abbisogna di una lingua che attraverso ai secoli corra inalterabile: e tali sono le lingue morte". Le parole riferite paiono acquistare nuovo straordinario significato se riesaminate in relazione ai movimenti tuttora in corso designati col neologismo "globalizzazione". Pure se in modo approssimato con un siffatto neologismo s'intendono denotare le evoluzioni nel senso di pervenire a rapporti economici, culturali, politici sempre di più stretti fra popoli e Stati diversi, ancorché lontani. Aspetto essenziale della stessa "globalizzazione" è rappresentato dal crescente predominio di una determinata lingua "viva" nelle relazioni internazionali e anche all'interno di singoli Stati, come effetto dell'egemonia di una Superpotenza non cattolica, forte di denaro e di armi. Alcuni avvertono segni tali da indurre a pensare che le lingue nazionali abbiano a scadere, in un futuro alquanto prossimo, a idiomi delle classi subalterne, meno istruite, non più riconosciuti prioritari dai giovani e dai ceti emergenti. Pure nell'esperienza quotidiana si avvertono sintomi di possibili effetti della "globalizzazione" anche per le relazioni tra i fedeli, come per quanto concerne l'esercizio del culto. Per vero sono assai cresciute le occasioni di viaggi in terre di altri e d'incontri fra genti di Paesi diversi. Fuori di casa, a molti capita di dover assistere alla Santa Messa enunciata in un idioma straniero, non sempre facile a comprendersi. Più frequenti poi sono divenuti gli incontri di cattolici provenienti da tante parti del mondo, insieme chiamati alla preghiera e a partecipare alla Santa Messa. Non del tutto ingiustificato pare quindi pensare che, almeno per numerosi rapporti, un giorno possa imporsi l'esigenza di rimettere in auge "la lingua per cui i fedeli adunati da remotissime terre comunicar possono fra loro i pensieri ed affetti". Pare altresì appropriato concludere con un altro insegnamento del già menzionato padre Taparelli, il quale sempre nel contesto qui riferito faceva richiamo a un passo della Genesi, Erat terra labi in unius, con l'aggiunta di un brevissimo commento: "il Cattolico anche per questo capo torna allo stato primitivo di universal società, sciolta dall'orgoglio dell'uom ribelle".

 

da "Instaurare omnia in Christo" 3/2008, p. 15-16
www.instaurare.org

 

 

 

 

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Inserito il 31 gennaio 2009

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