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Messe latine antiche nelle Venezie 
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Liturgie

La messa non è uno show che
ha bisogno di registi e di attori
di talento. Lo dice Benedetto XVI

di Francesco Agnoli

 

Entrando in una chiesa cattolica non moderna lo sguardo è portato naturalmente, dalle strutture architettoniche, dalla linea delle colonne o dei pilastri, dall'attrazione "gravitazionale" dell'abside e della cupola, verso l'altare. È lì il centro, il punto di incontro, per il credente, tra Cielo e Terra. Eppure quel punto, quel luogo, dopo la riforma liturgica postconciliare, ha perso la sua evidenza, la sua bellezza, la sua, appunto, centralità. Lo sguardo vi giunge, assetato, e rimane deluso: vede solo una tavola, magari di una semplicità dimessa, quasi spoglia. Per questo scivola via: non trova ciò che cercava. È l'evidenza più tangibile di come una nuova liturgia possa modificare la percezione degli spazi sacri, delle priorità, dello stesso rapporto tra l'anima e Dio. Nelle chiese prima del Novus Ordo Missae del 1969, infatti, l'altare è di pietra, sottolineato dal suo essere posto su di un piano rialzato, delimitato da una balaustra, incorniciato da un ciborio, da un baldacchino, da una struttura barocca che lo sostiene e lo slancia, gradualmente, potentemente, verso l'alto.

Romanico, gotico e barocco hanno come baricentro l'altare, e su di esso l'esposizione dell'Eucarestia, sospesa nel cielo, magari dentro un contenitore a forma di colomba, o conservata in un sontuoso tabernacolo. Lo sguardo, per chi entra, giunge dunque, subito, al cuore della fede: la presenza fisica, nella Chiesa, di Cristo. La nuova liturgia post conciliare, invece, ha determinato un capovolgimento delle priorità: il corpo di Cristo è conservato in un lato, in un angolo, talvolta addirittura in sacrestia. Il "padrone di casa" è come emarginato, accantonato. Tanto è vero che non ci si rivolge più, tutti, sacerdote e fedeli, a Lui, ma si "dialoga" tra ministro ed assemblea, in una atmosfera più "democratica", ma assai meno sacra. Si dialoga al punto, talora, che l'officiante si trasforma in un intrattenitore, alla cui fantasiosa e creativa performance (compito ingrato, poveretto!) è affidato il "successo" della celebrazione: essa cambia, così, spesso, da ministro a ministro, da chiesa a chiesa, da paese a paese. Inoltre, essendo vissuto essenzialmente come momento assembleare, il rito perde i momenti di silenzio, la preparazione compita e stupita al realizzarsi del mistero, e acquistano centralità la parola, l'omelia, le chiacchiere più o meno dotte, più o meno sante, del predicatore. Quasi che Cristo si fosse fatto parola, e non carne!

 

Il divieto del messale antico

Nella liturgia preconciliare, al contrario, l'omelia è secondaria: il fedele assiste, tra canti gregoriani, canti popolari, e pause di silenzio, precipuamente, al miracolo dell'Eucarestia. È il sacerdote a realizzarlo, pronunciando il canone in modo attualizzante, come se fosse lo stesso Cristo in persona, e non in tono narrativo, come se si trattasse di un semplice racconto, di un memoriale, di un qualcosa accaduto ormai nel lontano passato. Tutto il rito latino tende dunque al momento della Consacrazione, lo prepara, ma in esso non si esaurisce. All'incontro con Cristo, infatti, non segue, quasi immediatamente, l'Ite missa est, come nel Novus Ordo, ma, al contrario, il soffermarsi ad accogliere, comunitariamente e individualmente, il Divin Ospite.

Ecco, in breve, alcune delle differenze tra la liturgia latina cattolica, in vigore per tanti secoli, e quella degli ultimi quarant'anni. Su di esse il cardinal Ratzinger, oggi Benedetto XVI, si è più volte pronunciato, elogiando l'antico messale di San Pio V, il gregoriano, e il latino, lingua nobile e universale, "che garantisca la possibilità di ritrovarci in qualcosa che ci unisce", tra cattolici di tutti i continenti. Da tanti anni, infatti, in più occasioni, ha messo in guardia da "certa liturgia postconciliare, fattasi opaca o noiosa per il suo gusto del banale e del mediocre, tale da dare i brividi". Ha scritto addirittura che "siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da se stessi la liturgia domenicale. Il risultato è certamente il frutto dell'inventiva, ma in questo modo viene meno il luogo in cui mi si fa incontro il totalmente Altro, in cui il sacro ci offre se stesso in dono… La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento… non vive di sorprese simpatiche, di trovate accattivanti, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero, ma il mistero del sacro". Per questo, nella sua autobiografia, "La mia vita", sosteneva: "Rimasi sbigottito per il divieto del Messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale…". Ma non lo era affatto.

 

da "Il Foglio", 21 aprile 2005

 

 

 

 

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Inserito il 27 aprile 2005

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