Messe latine antiche nelle Venezie 
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Il "Breve esame critico"
è valido e attuale?

di don Ivo Cisar

 

Il Breve esame critico del "Novus ordo missae", stilato, su impulso di Cristina Campo, da un gruppo di teologi e liturgisti, firmato dai Cardinali Ottaviani (tutore dell'ortodossia cattolica) e Bacci (latinista) e presentato a Paolo VI il 25 settembre 1969, ebbe come risultato la correzione della definizione della messa come sacrificio (cfr. Una immensa vittoria, in "Una Voce Notiziario" n° 2, 1970, pp. 3-4) definizione che si ritrova anche nell'Institutio generalis Missalis Romani III del 2000 (n. 7).

Di esso riferisce Cristina De Stefano nel libro Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002, p. 133, una presunta valutazione di un gruppo di teologi della Congregazione per la dottrina della fede riportata da Annibale Bugnini (cit. ivi, p. 206), secondo la quale esso conterrebbe "molte affermazioni superficiali, esagerate, inesatte, appassionate e false". Ciò suona come Cicero pro domo sua e resta una stroncatura generica e imprecisa che non specifica.

In realtà, l'esame è severo, ma non infondato, e tanto meno falso. E severo doveva essere, per essere vero. Appassionato può esserlo: Zelus domus tuae comedit me (Gv 2,17). Dio è geloso (Es 20,5; Gc 4,5).

Si pone una duplice domanda: la "critica" è fondata, giusta? Le sue affermazioni sono vere, ortodosse? Il quesito sottostante e fondamentale è: risponde la "nuova messa" alla definizione dell'eucaristia come sacrificio? E conseguentemente, quale è in essa il ruolo del sacerdote, ministro di Cristo? La nuova Institutio generalis insiste sulla continuità con la dottrina del Concilio di Trento; le novità sarebbero soltanto una accomodatio ad novas rerum condiciones. Quale è, dunque, la differenza tra la messa tridentina e la "nuova messa"? di poco conto? del tutto marginale? Probabilmente tale doveva essere secondo le intenzioni del Concilio Vaticano II. Ma esse sono state largamente oltrepassate. La messa è stata resa in lingua volgare (già questo per nefas rispetto al Concilio), non solo, ma le differenze sono strutturali, si tratta di un rito nuovo che si è avvicinato pericolosamente alle posizioni protestanti.

Nella prima parte il Breve esame rileva l'equivoca confusione tra lo studio della liturgia (movimento liturgico) ossia tra l'interesse alla liturgia da parte del popolo cristiano e il desiderio, non mai espresso, di cambiarla. Per una maggiore partecipazione bastava un'opportuna catechesi. Neppure il Concilio Vaticano II ha voluto una sovversione della tradizione, ma solo una semplificazione e chiarificazione dell'Ordinario della messa (SC 50).

Nella II parte il Breve esame critica la definizione della messa data al n. 7 come "cena" che il popolo di Dio celebra, sotto la presidenza del sacerdote, come memoriale del Signore. Tale definizione della messa come cena, poi ripetuta più volte, trascura l'aspetto della presenza reale, del sacrificio, della sacramentalità del sacerdozio (ministeriale). Il riferimento al testo di Mt 18,20 è fuorviante. Viene criticata la divisione paritetica della messa in liturgia della parola e quella eucaristica. La messa è memoriale della passione e morte di Cristo, non precisamente della risurrezione che ne è il frutto. Tutto ciò trascura l'insegnamento del Concilio Tridentino sulla messa.

La III parte si occupa delle finalità della messa. È scomparsa nel Novus ordo la finalità ultima, quella della lode della Ss. Trinità; la finalità ordinaria, che è quella di propiziazione per i peccati, mentre l'accento cade sulla nutrizione e santificazione dei presenti; la finalità immanente che è quella di offerta che deve essere gradita e accettata da Dio, mentre specialmente l'offertorio risulta mutilo e limitato a un indeterminato aspetto conviviale.

La IV parte rileva la messa in ombra dell'aspetto sacrificale consistente nel rinnovamento del sacrificio della croce attraverso la transustanziazione e la presenza reale di Cristo: vari riti relativi sono stati soppressi, l'altare stesso è diventato "mensa", soprattutto è stata ridotta l'anamnesi dalla funzione di principio a quello del termine o effetto dell'azione consacratoria che assume un carattere di commemorazione storica al posto di quella di Cristo in cui persona agisce hic et nunc il sacerdote; tanto più che l'acclamazione del popolo dopo la consacrazione risulta ambigua.

La V parte rileva la preminenza data al popolo o all'assemblea nella celebrazione eucaristica, la minimizzazione del ruolo del sacerdote che si confonde con quello del popolo, l'impoverimento del dogma della comunione dei santi rispetto alla chiesa purgante e quella trionfante; in particolare è rilevata la "mania concelebratoria".

Nella VI parte si accenna alla brevità della "nuova messa", alla soppressione del latino, al carattere sperimentale e pluralistico della riforma liturgica.

La parte VII fa riflettere sulla ricchezza delle liturgie orientali che contrasta con la povertà della "nuova messa".

La VIII parte conclusiva ricorda la condanna da parte di Pio XII dell'"insano archeologismo" liturgico (enciclica Mediator Dei). Il Missale Romanum non è più strumento di unità nella Chiesa cattolica come aveva voluto il Concilio Tridentino.

Impossibile riassumere un documento già assai stringato, nel quale vengono rilevati punto per punto errori, lacune, equivoci dottrinali nelle formulazioni, oggi complicate anche dalla presenza di più preci eucaristiche, e nei riti. La "semplificazione" e "chiarimento" sono stati surrogati da una "ricchezza" che è in realtà frantumazione e consente arbitri disorientanti, che oggi, dopo 33 anni dal 1969, appaiono sempre più evidenti.

Dopo tanta "sperimentazione", fallimentare nei risultati pastorali, sarebbe il momento di ricuperare il Canone romano latino, la cui traduzione, oltre che inopportuna, è in certi punti disastrosa, la centralità del sacerdote e dell'altare, l'attenzione al carattere sacrificale e propiziatorio della messa, anche nelle orazioni. La diffusione dei foglietti e l'uso dei microfoni consente oggi di seguire senza difficoltà l'azione del sacerdote. La partecipazione spirituale, non "attivistica" deve essere favorita dal ricupero del gregoriano e dalla composizione di canti dignitosi e dottrinalmente sicuri. Bisognerebbe ridurre la dispersività e l'inaccessibilità di molti componenti dei lezionari. Curare di più la predicazione che deve essere più catechistica, altrimenti la liturgia non si capirà mai.

Il Breve esame critico è una miniera di stimolanti spunti per evitare la strisciante protestantizzazione dello spirito cattolico che certamente non era nelle intenzioni del Concilio Vaticano II e dell'ecumenismo.

Si ha l'impressione che la Institutio generalis e il Messale Romano nella sua terza edizione tipica si siano messi timidamente su questa strada di recupero per il bene della Chiesa e della salvezza delle anime.

Anche se non tutte le affermazioni e i rilievi del Breve esame presi singolarmente hanno uguale peso, nel loro insieme formano un quadro organico di valido e attuale richiamo.

 

 

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Inserito il 17 giugno 2002

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