Messe latine antiche nelle Venezie
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La semplificazione delle rubriche
del Messale e del Breviario

RIFLESSIONI SUL DECRETO GENERALE DELLA
S. CONGREGAZIONE DEI  RITI DEL 23 MARZO 1955 [*]

 

Il preambolo di questo decreto dichiara che, ai nostri giorni, i sacerdoti, soprattutto quelli che hanno cura d'anime, sono sempre più sovraccarichi degli impegni vari e nuovi dell'apostolato. Di conseguenza, i sacerdoti difficilmente possono essere liberi per la recitazione dell'ufficio divino con la tranquillità di spirito necessaria. Altrimenti detto, resta loro sempre meno tempo libero per la preghiera liturgica. Nello stesso tempo il Codex Juris Canonici di Benedetto XV, al can. 125, procura di rendere obbligatoria la preghiera non liturgica sotto forma di visita al S. Sacramento e di recita del rosario.

Bisognava dunque provvedere a eliminare una tale difficoltà, e almeno ad alleggerire l'ammasso delle rubriche. Questo lavoro fu affidato a una Commissione speciale di esperti che sono incaricati dello studio di una restaurazione generale della liturgia. Essi, tutto ben ponderato, hanno ritenuto di dover ridurre le rubriche attuali a norme più facili, da cui si possa trarre profitto in attesa di meglio.

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Semplificazione delle rubriche

TIT. I. REGOLE GENERALI

3. Le semplificazioni e le abbreviazioni introdotte si applicano alla recita pubblica e alla recita privata dell'ufficio divino.

L'ufficio privato trae tutta la sua ragion d'essere dall'ufficio pubblico, vale a dire corale. Un ufficio privato che non fosse lo stesso dell'ufficio corale riporterebbe all'aberrazione che fu il breviario del cardinal Quiñonez. In rapporto alla celebrazione dell'ufficio corale, l'ufficio privato è come la lettura, in camera o altrove, di una pièce di teatro. I motivi di abbreviare il breviario in privato valgono anche per la celebrazione corale? Ammettiamolo. In ogni caso, poiché l'ufficio deve essere unico, ne consegue che si dà l'impressione di mettere l'ufficio corale a rimorchio dell'ufficio privato.

TIT. II. CAMBIAMENTI DEL CALENDARIO

La semplificazione non tocca il calendario, se non indirettamente. Il calendario romano è ingombrato dal santorale, a danno del temporale. Vi si aggiungono senza posa feste di santi, feste di idea o di astrazione: come già san Pio X, nella sua bolla Divino afflatu del 1911, si vieta di diminuire, anche di poco, il culto dei santi, di ostacolare il corso di nuove devozioni.

1. Il grado o rito semidoppio è soppresso.

Tale soppressione era stata realizzata dal cardinal Quiñonez. Uno dei suoi ammiratori, il cardinal Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, la decantava di recente.

Poco importa la sparizione delle domeniche semidoppie, dal momento che la domenica sarà garantita ancor meglio di prima, e che essa conserverà la sua fisionomia di semidoppio.

L'abolizione delle feste semidoppie lascia poco rimpianto, soprattutto considerando la maniera fantasiosa con cui questo rito era distribuito tra le feste dei santi.

Il rito semidoppio conveniva più particolarmente ai giorni fra le ottave, giorni che sono meno una festa che la continuazione di una festa.

[176|177] 2. I giorni e le feste ai quali attualmente i calendari assegnano il rito semidoppio saranno celebrati col rito semplice. Si fa eccezione per la vigilia di Pentecoste, che è elevata al rito doppio.

Una vigilia di rito doppio ha qualcosa di contraddittorio, sia che si tratti di una vigilia penitenziale sia di una vigilia puramente introduttiva a una festa con il suo vangelo. Non sarebbe stato meglio rendere questa vigilia di rito semplice, ma debitamente privilegiata?  Gli esperti restauratori pensano che la vigilia della Pentecoste sia in tal modo risarcita della mutilazione che ha subito perdendo il suo rito battesimale, sotto il pretesto di dare maggior rilievo alla veglia pasquale?

a) Le domeniche

4. Quando la seconda, terza e quarta domenica di avvento occorre una festa di prima classe, sono permesse messe della festa, ma non la messa conventuale.

È, fatte le debite proporzioni, quello che diceva la bolla Divino afflatu, Tit. X, n. 3. Non se vede il beneficio, né per il celebrante né per i fedeli.

5. Tutte le domeniche dell'anno sono elevate al rito doppio; nondimeno non si duplicano le antifone

Esse conservano dunque opportunamente la loro fisionomia di semidoppio quanto al canto.

6. L'ufficio e la messa di una domenica impedita per mancanza di posto non sono anticipati.

Tale anticipazione, soprattutto nel modo assai discutibile con cui era stata innovata sotto san Pio X, non rispondeva ad alcun bisogno.

Non si riprende la messa di una domenica impedita.

Questo non può essere un divieto. La prima domenica dopo l'Epifania è impedita dalla S. Famiglia (soppressa da san Pio X, ristabilita da Benedetto XV); la prima dopo la Pentecoste è impedita dalla Ss. Trinità; ma la loro messa resta nondimeno la messa delle feria della loro settimana, e non c'è nessuna ragione per privarsene, poiché le rubriche lo permettono.

7. Se nelle domeniche nell'anno occorre una festa di qualsiasi titolo o mistero del Signore, questa festa tiene luogo della domenica, di cui si fa solo la commemorazione.

[177|178] Non si vede come una festa tenga luogo della domenica che essa stessa impedisce; non la abolisce, poiché se ne fa la commemorazione. Il temporale, fondato sui fatti, sarà dunque dominato dalle feste di titolo o di idea. Strano modo di salvaguardare la domenica, dichiarata pressoché intangibile.

b) Le vigilie

9. Le vigilie comuni sono quelle dell'Ascensione, dell'Assunzione, di san Giovanni Battista, dei S.S. Pietro e Paolo, di S. Lorenzo.

Piacerebbe sapere perché san Lorenzo conserva la sua vigilia, mentre gli apostoli perdono la loro. La vigilia di san Lorenzo ha sì la sua messa propria, ma anche la vigilia di diversi apostoli aveva la sua. San Lorenzo aveva un'ottava, ma non c'è l'ha più.

Al di fuori di queste vigilie, cui si aggiungono le due privilegiate di Natale e della Pentecoste, tutte le altre, generali o particolari, sono soppresse.

Queste vigile non complicavano molto la liturgia. La maggior parte delle loro messe non mancavano di interesse.

Le vigilie comuni che cadono in domenica non sono anticipate al sabato, ma sono omesse.

L'anticipazione delle vigilie era fondata sul digiuno, che è escluso dalla domenica. La vigilia sparirà con il ricordo del digiuno.

c) Le ottave

11. 12. 13. Hanno un'ottava le sole feste di Natale, Pasqua e Pentecoste, essendo soppressa ogni altra ottava, universale o particolare. I giorni fra l'ottava di Pasqua e della Pentecoste sono elevati al rito doppio: escludono ogni festa e commemorazione. I giorni fra l'ottava di Natale, pur elevati al rito doppio, si celebrano come prima.

Probabilmente la festa più colpita di tutte sarà il Corpus Domini che, il 2 e 24 luglio 1911, ha avuto la sua ottava privilegiata al pari di quella dell'Epifania, come compensazione per la perdita del precetto, perdita che durò da allora fino alla pubblicazione del Codex Juris Canonici nel 1917.

L'abolizione delle ottave renderà liberi parecchi giorni nel corso [178|179] dell'anno, a condizione che non siano riempiti di nuove feste.

Ai loro inizi, i francescani, quando adattarono il breviario a loro modo, avevano reso di rito doppio tutti i giorni fra le ottave. Ciò in seguito fu corretto.

Non è detto se i semidoppi elevati al rito doppio conservano l'aspetto di semidoppio, come fanno le domeniche. È da sperarlo.

16. Il 13 gennaio si fa la commemorazione del battesimo di Cristo, di rito doppio maggiore; ufficio e messa come per il giorno ottavo dell'Epifania. Se questa commemorazione cade di domenica, si celebra la festa della sacra Famiglia, senza alcuna commemorazione.

Il titolo della sacra Famiglia (non il mistero che non c'è) prevale su un avvenimento, come al n. 7 per le domeniche.

18. 19. Tutti i giorni delle ottave soppresse del Corpus Domini e del Sacro Cuore diventano ferie ordinarie. Alle domeniche che erano fra l'ottava dell'ascensione, del Corpus Domini e del sacro Cuore, l'ufficio resta quello di adesso.

Queste tre domeniche, per lasciargli l'ufficio delle festa precedente, sono associate come fossero simili. Ma non manca la differenza tra di esse. I giorni e la domenica dopo l'Ascensione, anche privata dell'ottava, costituiscono un tempo liturgico che continua l'Ascensione e si conclude alla Pentecoste; sono anelli della catena formata dagli avvenimenti della vita di Cristo. Dunque nulla di sorprendente che l'ufficio della domenica dopo l'Ascensione sia della feste in luogo della domenica.

Le due altre domeniche non hanno niente di analogo, non hanno rapporto con la festa che le precede. Il Corpus Domini e soprattutto il Sacro Cuore non producono un tempo liturgico continuato, non costituiscono anello di congiunzione; il loro tempo è puramente convenzionale. Fino a Pio XI, autore della nuova e terza festa, l'ufficio e la messa del Sacro Cuore si trovavano nel santorale, non senza ragione. Insomma, la domenica dopo il Corpus Domini e dopo il Sacro Cuore non si perderebbe nulla a dire l'ufficio della domenica, come se ne dice la messa.

[179|180]

d) Le feste di santi

22. Nelle ferie di quaresima e di passione, dalle Ceneri fino alle Palme, quando occorre una festa che non sia di prima o seconda classe, sia l'ufficio (nella recitazione privata) sia la messa si possono dire della feria o della festa.

La riforma di san Pio X permetteva la messa privata della festa, e comandava la messa conventuale della feria. Dava alla festa il suo ufficio e alla feria la sua messa, sotto pretesto che la messa feriale è più speciale che l'ufficio feriale; pretesto poco valido, perché ai nostri giorni l'ufficio della feria è più speciale, meno comune che l'ufficio delle feste. L'ideale sarebbe che ogni feria che ha la messa propria avesse anche l'ufficio feriale. Ora, ecco che le feria resta saldamente in possesso della sua messa, mentre è gratificata del suo ufficio, ma solo nella recitazione privata. Tutto sommato, l'ufficio privato ha ragione, l'ufficio corale ha torto, per timore di maltrattare le feste.

TIT. IV. CAMBIAMENTI NEL BREVIARIO

a) Inizio e fine delle ore.

1. 2. 3. Tutte le ore canoniche, sia all'ufficio pubblico che a quello privato, non sono più precedute da Pater, Ave e, rispettivamente, dal Credo. Esse cominciano dunque con Domine labia mea, o Deus in adjutorium, o Jube Domne benedicere. Terminano senza le stesse preghiere. Finiscono dunque con Fidelium animae; a prima e a compieta con la benedizione.

Questo passerà inosservato nella recita privata, ma andrà molto meno bene nell'ufficio corale. L'intonazione del Deus in adjutorium seguirà immediatamente all'Amen del Fidelium animae denoterà sempre una precipitazione poco rispettosa. È esattamente per questo motivo che, da un tempo assai risalente, le ore erano state separate da una breve pausa, che divenne un Pater, con l'aggiunta successivamente di Ave e Credo. La recita privata non fa legge per interdire al coro una pausa di qualche secondo. Che cosa si direbbe si musicisti che attaccassero insieme due pezzi?

[180|181]

c) Alcune parti dell'ufficio

7. 8. Quando l'ufficio è della feria, le preci finali si dicono soltanto a vespri e a lodi del mercoledì e venerdì di avvento, quaresima e passione, inoltre il mercoledì, venerdì e sabato delle quattro tempora, a eccezione di quelli della Pentecoste. Tutte le altre preci sono soppresse.

Queste preghiere feriali, di cui il Kyrie eleison prova l'antichità, sfuggono per un soffio alla distruzione; viene a essere designato il loro ultimo rifugio.

d) Altri cambiamenti.

11. Le feste di prima e seconda classe, e le domeniche sono le sole ad avere i primi vespri, sia interi, sia dal capitolo, sia commemorati...

Si era sempre insegnato che le feste, fossero semplici, semidoppie o doppie di prima classe cominciano ai primi vespri. Una festa di rito semplice non aveva i secondi vespri, ma aveva i primi. Gli autori competenti mostrano che questo metodo risale agli ebrei, e che i cristiani vi si conformavano quanto al riposo. Il  Caeremoniale Episcoporum (l. 2, c. 1. n. 1 et 3) enuncia che le solennità cominciano ai primi vespri, e che questi sono più solenni dei secondi. Si potrà sapere il motivo e il vantaggio di un tale cambiamento?

Nonostante ceri autori, aggiungiamo che la domenica, come tale, non ha i primi vespri. La domenica è preceduta dai vespri del sabato  che se avvalgono più o meno. I vespri del sabato meno che mai sono i vespri della domenica, perché sono seguiti dalla compieta del sabato dal 1911.

12. b) Alle feste di seconda classe, e alle feste doppie del Signore e della santa Vergine  i salmi del mattutino, delle lodi e dei vespri sono del proprio o del comune; i salmi delle ore minori sono della feria; quelli della compieta sono della domenica.

Questo numero rincara la bolla Divino afflatu a favore dei salmi della feria. Comunque si apprende con piace[181|182]re perché i salmi di compieta restano quelli della domenica; perché compieta è anch'essa un'ora minore, non essendo maggiore.

13. Le lezioni scritturali occorrenti, con il loro responsorio, se non possono essere dette il giorno assegnato, sono omesse, anche se si tratta dell'Incipit di un libro.

L'idea di anticipare o rinviare parti di un libro della scrittura, come quella di fare leggere l'inizio di ciascuna profezia nelle ultime settimane dopo la Pentecoste avevano un ben scarso risultato, considerando quello che sono le lezioni al giorno d'oggi. Comunque lo spostamento dell'Incipit di un libro non esigerebbe grande sforzo intellettuale. Anticamente l'Incipit era una necessità, perché il titolo dei libri non si leggeva che al loro inizio, non si ripeteva nel seguito. Un resto di questo uso si vede ancora nel primo notturno di Natale, ove la lezione di Isaia non ha titolo, in quanto questo libro è in lettura dall'avvento.

 

TIT. V. CAMBIAMENTI NEL MESSALE.

a) Le orazioni.

1. Le orazioni assegnate per i diversi tempi sono abolite.

Questo significa dichiarare per via indiretta che ogni messa, sia essa di una festa di rito semplice o di una feria, non comporta mai più di una orazione, in luogo di due o di tre. Nondimeno, l'eccezione arriva senza ritardo perché al numero 2, la messa bassa votiva dei morti ammette tre orazioni.

4. Le orazioni imperate dall'Ordinario si omettono seguendo le rubriche in vigore; ma inoltre tutte le domeniche e ogni volta che la messa è cantata; infine quando le orazioni prescritte dalle rubriche raggiungono il numero di tre.

Ciò fa pensare a certe diocesi ove le orazioni ad petendam pluviam e quelle ad postulandam serenitatem o ad repellendas tempestates si succedono praticamente per tutto l'anno e nelle quali non si tiene quasi nessun conto delle litanie maggiori e delle rogazioni.

[182|183] Si cerca di accorciare la messa dal di dentro, ma continua a essere allungata dal di fuori.

b) Alcuni altri cambiamenti.

9. A qualsiasi messa l'ultimo vangelo è sempre l'Initium di san Giovanni, eccettuata la terza messa di Natale e la messa delle Palme.

Ecco che si rimette l'ultimo vangelo nel suo limitato ruolo, che si abolisce una cattiva innovazione introdotta in Additiones et variationes ad normam bullae "Divino afflatu", IX, 3, in base alla quale il vangelo di una festa si diceva come ultimo vangelo.

Si cercherebbe invano un rapporto intrinseco, sia di importanza sia di correlazione, tra la nona lezione dei mattutini, in una domenica o in una feria, e la lettura, alla fine della messa, del vangelo corrispondente.

La semplificazione relativa all'ultimo vangelo, anzi la sua abolizione, non sarà in nessun modo da rimpiangere.

 

                                                                                                                             Léon GROMIER,

Canonico di S. Pietro in Vaticano,

Consultore della S. Congr. dei Riti


[*] I numeri rinviano a quelli del Decreto.

 

da: "Revue de Droit Canonique" 5, 1955, p. 175-183. Titolo originale La simplification des rubriques du missel et du bréviaire, traduzione italiana di Fabio Marino.

 

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L'abolizione della Veglia di Pentecoste. Mons. Gromier: "Si fa mentire il messale nel Canone", di Francesco G. Tolloi

 

 

 

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Inserito l'8 agosto 2007

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