Messe latine antiche nelle Venezie
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Anche domenica è stata officiata a S. Ilario, mentre il Papa sta per "liberalizzarla"

La Messa roveretana in latino
esce dall'ombra

Si aprono la Chiesa che nessun parroco utilizza e tre volte al mese si raccolgono attorno a un sacerdote dell'istituto

 

ROVERETO. In fondo si chiama "rito tridentino", la Messa latina che fu codificata da Papa Pio V e sopravvisse fino alla "rivoluzione" del Concilio Vaticano II. E proprio nelle terre dell'altro Concilio, quello della Controriforma, i nostalgici della Messa all'antica si ritrovano regolarmente dietro l'altare: un cenacolo un po' catacombale, quanto meno appartato e sotto traccia, che anche domenica scorsa è stato officiato nella chiesa a S. Ilario, all'uscita nord della città. Lo fanno tre volte al mese e non esultano nemmeno all'annuncio che Benedetto XVI si appresterebbe a "liberalizzare" il vetusto rito.

C'è sempre tanta destra - e nemmeno di quella "sdoganata" da Fiuggi - davanti alla chiesa, quando un noto avvocato roveretano "di area" gira il chiavistello e spalanca il portone sulla piccola navata in penombra. Chiesa consacrata, quella vicina alla scuola Marconi, ma non utilizzata dal parroco di San Giuseppe, anche perchè proprietà della Provincia. Domenica alle 18 - per il rito che i tradizionalisti sono venuti a cercare - si forma una piccola folla: alcune decine di uomini, donne e qualche bambino prendono posto, il primo atto è la Confessione. Ci sono Paolo Motta ed Emilio Giuliana della Fiamma Tricolore, ma c'è anche una coppia venuta da Tione e qualche appassionato di canto gregoriano (che le preghiere in latino possono solo evocare, mancando coro e organo funzionante).

Dalla sacrestia esce don Ugolino Giugni, venuto apposta da Torino: giovane, sconosciuto qui in città ma popolare nei siti internet degli "ultracattolici", predicatore di spicco dell'Istituto Mater Boni Consilii. Disconosce l'autorità dei Papi successivi al Concilio di Giovanni XXIII - questa organizzazione - ma nel propugnare una restaurazione delle antiche ritualità, non rinnega il primato della Chiesa romana in quanto tale. Non si tratta insomma di veri scismatici, ma certo non si preoccupano di essere privi dell'autorizzazione vescovile prevista da Papa Wojtyla per ogni deroga al Novus Ordo Missae.

Don Ugolino guarda verso il Santissimo e volge le spalle al popolo dei fedeli: lui solo appare titolato a partecipare fino in fondo alla sacra rievocazione dell'ultima cena di Cristo. È proprio quello che il "Papa buono" volle riformare, per tornare alla familiare e corale intimità del rapporto tra Dio e gli uomini. Causa invece della grave crisi della chiesa nel mondo moderno, secondo gli oltranzisti più o meno lefebvriani.

Torniamo a don Ugolino, che si volge ai banchi solo per l'omelia: è pronunciata in italiano, la "predica" a commento delle letture, ma del resto anche prima degli anni Sessanta l'officiante abbandonava la lingua aulica per farsi capire almeno nell'austera orazione dal pulpito.

C'è un compunto silenzio. Ci si inginocchia spesso, si riceve l'Ostia rigorosamente sulla lingua. Formalità? Forse, ma si portano dietro un mondo di idee riguardo alla fede e alla vita cristiana.

Lo sanno, i fedeli raccolti nella chiesetta di Sant'Ilario, che Papa Ratzinger sta un po' "dalla loro parte", sanno che già prima di salire al soglio pontificio, il cardinale tedesco aveva pubblicato un volume sul valore teologico del rito cosiddetto tridentino. La notizia che ora il santo padre - motu proprio, si dice - sta per ridare pari dignità al Missale Romanum rispetto alla Messa in italiano (e magari con le chitarre), li soddisfa ma non li esalta. "Non credo - ci dice Motta - che si arriverà a ridare centralità al rito latino. Ma noi che seguiamo la forma antica, le nostre Messe le abbiamo. E tanto ci basta".

La prossima sarà tra due domeniche, stessa chiesa. (l.z.)

 

da "Trentino", 18 ottobre 2006

 

 

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Inserito il 27 ottobre 2006

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