Messe latine antiche nelle Venezie
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se chiedesse messa in latino

Vicenza: tenterebbero
"di far ragionare" anche il Papa

 

Fu anche l'amaro commento del card. Siri al congresso liturgico di Udine del 1970 a porre bene in evidenza il problema che si sarebbe incontrato: "È da prendere atto che con tutto quello che si è fatto, non si è fatto andare a messa una persona in più". Parole dure che indicano come la questione centrale, lo diceva anche il venerabile cardinale Dalla Costa di Firenze, ma vicentino di nascita, è la santa messa, che non può mai essere un semplice incontro tra fedeli, un ritrovarsi assembleare, insomma un atto sociale seppur importante. Nella messa i sacerdoti e i fedeli si ritrovano per assistere al sacrifico di N. S. Gesù Cristo. E ciò richiede una partecipazione speciale, diversa da quella con  la quale incontriamo nella vita di tutti i giorni anche altri cattolici.

Una difficoltà, quella denunciata dal cardinale Siri, che perdura, e la ragione è probabilmente ancora quella. Non si è continuata la grande missione della Chiesa: evangelizzare, proporre e illustrare l'identità cristiana, che si rivolge alla persona umana, a tutto quanto le è interiormente connesso. In fondo ha ragione quella signora che lamentava che i sacerdoti non sanno parlare al cuore e poco alla mente. Non parlano di fede né di ragione che comprende la fede. Mancano le ali di cui parlava Giovanni Paolo II. Troppi sacerdoti impegnati in altro che nella predicazione, nella vicinanza con i fedeli.

A Vicenza abbiamo toccato il massimo quando il neodesignato rettore del Seminario per prima cosa si è manifestato pubblicamente non andando a suscitare la voce di Dio, cioè ricercando le vocazioni, ma si è preoccupato di andare insieme con altri sacerdoti a protestare presso il commissario Costa per l'allargamento della base militare americana Ederle, come se questo fosse il suo primario compito.

Se a questa prospettiva aggiungiamo che di fronte al Motu proprio di Benedetto XVI sul Messale del 1962 (cfr. Il Giornale di Vicenza, 19 settembre 2007, p. 19) un sacerdote, don Giampaolo Merlo, parroco di S. Zeno ad Arzignano (Vi) non si è preoccupato di comprendere e attuare la suprema potestà del vicario di Cristo di cui lui semplice presbitero deve essere esecutore, in forza dell'ordinazione episcopale, la quale stessa dipende dal papa, ma se gli fosse richiesto di celebrare secondo l'antico rito afferma "tenterei di farli ragionare" quei fedeli. Ciò soprattutto perché lui non sarebbe "in grado di recitarla". A questo ultimo punto basterebbe che si applicasse e sarebbe certo in grado di recitarla, anche se con la sua dichiarazione afferma che non intende fare fatica per i fedeli.

Ma un altro punto è grave, è quello che un presbitero si dichiara non disponibile per la comunità, per anche una sola pecorella e non certamente smarrita se chiede la messa secondo la possibilità concessa dal Papa. Forse sarebbe  bene provocare una riflessione sul ruolo attuale dei presbiteri, soprattutto di coloro che sono sui giornali per le loro prese di posizione politiche, e per quelle contro i fedeli che magari si azzarderebbero a chiedere una messa in latino.

L'autorità del papa è messa in discussione da questi presbiteri, non si lamentino se i fedeli sono stanchi di questi loro modi di fare e le gratificazioni che interessati politici fanno nei loro confronti sanno più di leninismo, che non di compartecipazione al valore della fede cattolica.

Italo Francesco Baldo

 

 

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Inserito il 14 novembre 2007

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