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Messe latine antiche nelle Venezie
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Riceviamo e pubblichiamo

Appello ai Vescovi esitanti

 

Cari Padri Vescovi,

"non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!" (Giovanni Paolo II, 22 ottobre 1978). Nella santa messa è Cristo che rinnova il Suo sacrificio redentore, da due millenni. Nella santa messa è Cristo che ci viene incontro (cfr. Gv 1,36-51) come "unico Mediatore tra Dio e gli uomini" (1Tm 2,5).

Voi siete nostri Padri e Pastori in Cristo, "buon Pastore" (Gv 10,11), che devono essere "disposti a qualsiasi opera buona" (2Tm 2,21), in grado di meglio provvedere al bene dei fedeli, premurosi verso tutti (CD 16).

Noi ci rivolgiamo a Voi che dovrete rendere conto delle nostre anime al supremo Pastore (1Pt 5,4), consapevoli dei nostri obblighi e diritti garantiti dal diritto canonico che ci concede di "manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri" (can. 212 § 2 CIC), avendo "il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa" (can. 213 CIC).

In ciò siamo confortati dalle disposizioni date dal Santo Padre che vi esorta ad "un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla sede apostolica, per l’uso del Messale romano secondo l’edizione tipica del 1962" (Mp. Ecclesia Dei, 2 luglio 1988: EV 11,1204; cfr. Congr. per il Culto divino, Lett. circ. Quattuor abhinc annos, 3 ottobre 1984: EV 9,1034 s.).

Non mettete le mani avanti, non nascondete la nostra richiesta in fondo alle pile delle pratiche per rinviare la concessione sine die, non date una concessione pro forma soltanto emarginando la "messa tridentina" nello spazio e nel tempo.

Non abbiate paura! Nessuno contesta la vostra autorità, anzi, forse nessuno è tanto devoto e rispettoso, nella fede, della vostra successione apostolica e della vostra dignità. Nessuno viola l'unità della Chiesa, minacciata non dalla varietà e ricchezza dei riti, nello spirito del Concilio Vaticano II che esprime la stima per tutti i riti legittimamente riconosciuti (SC 4), ma dagli errori nella fede e dalla disobbedienza nella morale; non sono i riti, ma le eresie che dividono la Chiesa e disorientano i fedeli.

Nella stessa messa "nuova" vi è una varietà notevole, nelle Preci eucaristiche, nelle letture, nella stessa possibilità della scelta della comunione sulla lingua o sulla mano… Oggi nelle chiese l’abbigliamento ed il comportamento non sono sempre conformi alla sacralità del luogo e dei riti; lo stesso battere le mani non è espressione della fede, ma spesso un segno puramente "umano". Le genuflessioni sono cadute in disuso. Si conversa facilmente. Tutto ciò non esprime né favorisce la pietà, mentre il Concilio Vaticano II insegna che "i sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede" (SC 59).

Perché dovrebbe essere proibito - e in linea di principio non lo è - rendere culto a Dio? Oggi si autorizzano nelle nostre chiese le celebrazioni degli orientali ortodossi, dei protestanti, varie manifestazioni a carattere anche profano, concerti…, soltanto la santa messa celebrata in un rito scevro di qualsiasi errore dogmatico, ricco, bello, pastoralmente edificante e fecondo - perché nutre la vera pietà - dovrebbe essere evitato?

La riforma postconciliare ha largamente oltrepassato lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II che prescrisse una riforma moderata della santa messa (SC 50), che non abolì del tutto la lingua latina (SC 54), che non introdusse una concelebrazione indistinta (SC 57; cfr. can. 902 CIC), che volle la conservazione del canto gregoriano (SC 116) e l’uso dell’organo (SC 120), senza parlare dell’introduzione postconciliare e non obbligatoria dell’altare versus populum (vedi Le renouveau liturgique, 30 giugno 1965: EV 2,396), della comunione sulla mano (vedi, per contro, Paolo VI, Instr. Memoriale Domini, 29 maggio 1969: EV 3,1273 ss.), di "chierichette", dell'inflazione dei "ministri straordinari dell'Eucaristia".

Esitare nella concessione dell’indulto già autorizzato dal successore di Pietro potrebbe diventare un peccato contro lo Spirito Santo (cfr. 1Ts 5,19-21; Ef 4,30).

un socio di Una Voce

 

 

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Inserito il 30 dicembre 2002

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