Messe latine antiche nelle Venezie
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PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

 

Lettera Prot. N. 500/90

 

Le scrivo quale fratello nell'episcopato, cui il Santo Padre ha affidato il compito di applicare le disposizioni contenute nel Motu proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988. Lo scopo per cui mi rivolgo a Lei è appunto di aiutarLa nell'esercizio del ministero pastorale nei confronti di coloro che legittimamente richiedono la celebrazione della santa messa secondo il Messale Romano nell'edizione tipica del 1962.

Al proposito potrà essere utile uno sguardo agli sviluppi che hanno portato alla pubblicazione di Ecclesia Dei.

1. Il 3 ottobre 1984 la Congregazione del culto divino pubblicava Quattuor abhinc annos, in cui il Santo Padre dava ai vescovi diocesani "la possibilità di usufruire di un indulto, in base al quale sacerdoti e fedeli, ... possono celebrare la messa, usando il Messale Romano secondo l'edizione del 1962".

Venivano stabilite le seguenti condizioni: a) che coloro che richiedono il permesso non "mettano in dubbio la legittimità e l'esattezza dottrinale del Messale Romano promulgato dal papa Paolo VI"; b) che "la celebrazione sia fatta soltanto per l'utilità di quei gruppi che la richiedono, … non, però, nelle chiese parrocchiali, a meno che il vescovo lo abbia concesso in casi straordinari… e alle condizioni fissate dal vescovo"; c) che "la celebrazione si svolga secondo il messale del 1962 e in lingua latina"; d) che sia "evitata ogni mescolanza tra i riti e i testi dei due messali"; ed e) che ogni vescovo informi la congregazione sulle "concessioni da lui date e, trascorso un anno dalla concessione dell'indulto, riferisca sull'esito della sua applicazione".

2. Una speciale Commissio cardinalitia ad hoc ipsum instituta (istituita espressamente a questo scopo) si riuniva nel dicembre 1986 con il compito di esaminare in che modo si era fatto uso dell'indulto. In tale circostanza i cardinali giunsero concordemente alla conclusione che le condizioni stabilite in Quattuor abhinc annos fossero eccessivamente restrittive e dovessero essere attenuate.

3. Come Ella certamente sa, quale reazione alle consacrazioni episcopali senza mandato avvenute il 30 giugno 1988 a Ecône, e nella premura di salvaguardare i princìpi fissati nel corso del precedente dialogo con mons. Marcel Lefebvre, dialogo purtroppo rimasto senza esito, il 2 luglio 1988 il Santo Padre ha pubblicato il Motu proprio Ecclesia Dei.

Nell'affermare che la radice dell'atto scismatico di mons. Lefebvre si trova "in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione", la quale "non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione" (n. 4), il Pontefice ha ribadito con pari vigore che "occorre che tutti i pastori e gli altri fedeli prendano nuova consapevolezza non solo della legittimità ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità di carismi, tradizioni di spiritualità e di apostolato" (n. 5a).

Rivolgendosi "a tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina", e non solo ai seguaci di mons. Lefebvre, egli esprime la sua volontà di "garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni" (n. 5c). Allo scopo di prendere le misure necessarie per il rispetto di tali giuste aspirazioni dei fedeli, egli ha costituito questa commissione, e ha esposto il suo intendimento circa lo scopo di quest'ultima affermando: "Dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962" (n. 6c).

Pertanto desideriamo fare appello alla Eccellenza Vostra affinché voglia rendere possibile una autentica e reverente celebrazione dei riti liturgici secondo il Messale Romano del 1962 ovunque ne sussiste una vera esigenza da parte di sacerdoti e fedeli. Ciò non deve essere inteso come la pretesa di questo messale contro quello promulgato otto anni dopo, ma soltanto come misura pastorale con cui vengono rispettate le "giuste aspirazioni" di coloro che desiderano che la messa venga celebrata, come lo è stata per secoli, secondo la tradizione latina.

Alla luce del motu proprio del Santo Padre presentiamo le seguenti direttive e proposte:

a) Non vi è alcuna ragione per cui la c. d. messa tridentina non possa essere celebrata in una chiesa parrocchiale, ove ciò rappresenti un servizio pastorale per i fedeli che lo richiedono. Bisogna naturalmente curare un armonico inserimento della celebrazione negli orari delle funzioni parrocchiali già esistenti.

b) La regolarità e la frequenza della celebrazione di questa liturgia, se debba avvenire la domenica e le feste e/o i giorni feriali, dipenderà dalle necessità dei fedeli. Raccomandiamo che nei luoghi in cui i fedeli hanno espresso l'esigenza di una celebrazione regolare della messa secondo il messale del 1962, questa venga fissata ogni settimana, le domeniche e i giorni festivi, in un punto centrale e in orario adeguato, e ciò come esperimento per alcuni mesi. In seguito potrà avvenire una rinnovata considerazione ed eventuale adattamento.

c) Naturalmente i celebranti della c. d. messa tridentina, nella predicazione e nei rapporti con i fedeli che partecipano a tali messe, non dovranno trascurare di dare espressione alla propria unione con le leggi della Chiesa universale e al proprio riconoscimento del valore dogmatico e canonico della liturgia come è stata riveduta dopo il Concilio Vaticano II. A dette condizioni appare non necessario, ma anzi inopportuno e doloroso, imporre a coloro che partecipano a tali celebrazioni restrizioni ulteriori.

Già il solo fatto che essi non approfittano delle possibilità loro offerte da gruppi scismatici, e desiderano invece andare alle celebrazioni concesse dal vescovo diocesano, dovrebbe essere considerato come segno della loro buona volontà e del loro desiderio di piena unità con la Chiesa.

d) Anche se il Santo Padre ha conferito a questa pontificia commissione il potere di concedere l'uso del Messale Romano nella sua edizione tipica del 1962 a tutti coloro che ne fanno richiesta, dopo averne informato l'ordinario competente, noi preferiremmo di molto che i permessi vengano dati dall'ordinario stesso, in modo da rinforzare il legame dell'unità della Chiesa tra quei sacerdoti e fedeli e i loro pastori locali.

e) In base alla "ampia e generosa applicazione" dei princìpi contenuti in Sacrosanctum Concilium n. 51 e 54, il nuovo lezionario in lingua moderna potrebbe essere utilizzato nelle messe celebrate secondo il messale del 1962 come una via "affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza". Riteniamo tuttavia che tale modo di procedere non possa essere imposto a quelle comunità che sostengono con decisione il mantenimento della tradizione liturgica nel suo complesso, come è previsto nel Motu proprio Ecclesia Dei. Una tale misura appare anche meno idonea a ricondurre alla piena comunione con la Chiesa coloro che frequentano le celebrazioni degli scismatici.

f) Vi è un gran numero di sacerdoti anziani e a riposo, ai quali è propria una stima profonda della tradizione liturgica latina, che si sono rivolti al proprio ordinario e anche a questa commissione per richiedere il permesso per l'uso del messale del 1962: ora sarebbe particolarmente opportuno avvalersi ove possibile dei servigi di questi sacerdoti per le celebrazioni. Anzi ci si renderà conto che anche ecclesiastici a riposo, i quali non hanno proposta tale domanda, sarebbero nondimeno pronti a esercitare questa speciale forma di cura pastorale a beneficio di coloro che richiedono l'antica liturgia.

In conclusione, Eccellenza, è mio sincero augurio che questa lettera fraterna possa rappresentare per noi, in quanto membri del collegio episcopale, un incitamento conforme al n. 23 della costituzione Lumen gentium: "I singoli vescovi preposti alle chiese particolari esercitano il loro governo pastorale sulla porzione di popolo di Dio che è stata affidata a loro, non sulle altre chiese né sulla Chiesa universale. Ma in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, i vescovi sono tenuti, per istituzione e per comando di Cristo, ad avere sollecitudine per tutta la Chiesa: sollecitudine che, sebbene non esercitata mediante atto di giurisdizione, contribuisce tuttavia sommamente al bene della Chiesa universale. Tutti i vescovi infatti devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa".

Sono lieto di cogliere l'occasione per porgerLe i miei migliori auguri per l'esercizio del Suo ministero sul gregge a Lei affidato, e assicurarLe la mia piena collaborazione affinché sotto ogni aspetto Iddio sia glorificato nel culto della sua Chiesa.

Augustin card. Mayer

 

da "Origins" del 18 luglio 1991; traduzione nostra

 

 

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Inserito il 30 ottobre 2001

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