Messe latine antiche nelle Venezie
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La chiesa di S. Toscana in Verona

 

Per chi viene da Vicenza, dopo aver attraversato la cinquecentesca Porta Vescovo, trova la chiesa di S. Toscana, un centinaio di metri più avanti, alla sua destra, dove una piazza le fa da vestibolo.

Da qui si entra nel sagrato dall’armonioso acciottolato, un tempo camposanto, cintato da un lato da pareti di case e dagli altri due da uno spesso muro, seguito da un robusto cancello con al centro lo stemma con la croce a coda di rondine del Sovrano Ordine Militare di Malta.

La chiesa di S. Toscana si chiamava un tempo del S. Sepolcro. Le storie riportano che fu la profanazione del Sepolcro di Cristo a Gerusalemme, ordinata dal califfo Hakim nel 1009, il motivo della diffusione del culto del santo Sepolcro in tutta la cristianità. Un documento veronese del 1037, infatti, ricorda che anche "a Verona si edifica una chiesa extramurana, lungo la Postumia orientale del S. Sepolcro" (cfr. C. G. Mor, Dalla caduta dell’Impero al Comune, in Verona e il suo territorio, II, Verona, Istituto per gli studi storici veronesi, 1964, p. 178). La chiesa dava il nome anche alla vicina porta della città, che veniva costruita nel 1176, quando Verona era ancora stretta tra l’ansa dell’Adige e le mura romane di Gallieno.

Adiacente al tempio, si trovava l’ospedaletto dei cavalieri di S. Giovanni, con una chiesuola. L’intero complesso, probabilmente per ordine del vescovo di Verona Teobaldo II (1135-1157), veniva posto alle dipendenze dei conversi gerosolimitani. Questo piccolo luogo sacro diventava così un rifugio ospitale per i crociati di ritorno dalla Palestina, che qui trovavano conforto nel corpo e nello spirito, come quel "Bonifacio Barone alemano … da mortale infermità oppresso (che) nello spedale del S. Sepolcro ricoverato, in questo finì ancora i suoi giorni addì 3 settembre 1174, assistito, come dicono, dall'abate di S. Nazaro. Questo Bonifacio se ne ritornava in Germania, avendo militato oltra mare nella guerra contro de' Saraceni per l'acquisto di Terra Santa, e seco avendo recato le ossa di san Biagio vescovo di Sebaste, insieme con quelle di due santi giovani suoi discepoli… prima di morire donnole al detto abate, onde da Ognibene nostro vescovo furon riposte nella chiesa di S. Nazaro" (G. B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, I, Verona, Scolari, 1749 [rist. Bologna, Forni, 1977], 273).

La società veronese, sul finire del secolo XIII, viveva una fase di grande sviluppo economico e sociale: la civitas vera e propria a destra dell’Adige veniva collegata da tre ponti con quella in espansione a sinistra del fiume. Fu in questo periodo di crescita della città che Alberto di Castelberto cinse di "buone mura" Verona dalla Porta del Sepolcro al fiume. Non era solo un baluardo di difesa, ma anche una dimostrazione dell’orgoglio cittadino.

In questo momento di fervore edilizio, a Jepeto (oggi Zevio), borgo della campania Veronensis, nasceva tra il 1280 e il 1290, dal casato nobiliare dei De’ Crescenzi, Toscana (presso la Biblioteca capitolare di Verona, nel Codice CXIII, vi è un manoscritto originale sulla vita di santa Toscana compilato dal monaco benedettino Celso dalla Falci nel 1474, ove in una nota a margine scritta con altro carattere si riporta la data del 1280: altri storici locali propendono per il 1290). Per trame misteriose della Divina Provvidenza, all’aprirsi del secolo d’oro del ‘300 veronese, si combinava la nascita della santa con la scalata al potere dei signori Della Scala: accanto al "grande veltro" viveva l’umile santa.

Certamente Toscana percorreva strade diverse dal signore di Verona: dal paesello nativo di Zevio, che diede i natali anche ai due celebri pittori Altichiero e Stefano, nel 1314 veniva ad abitare a Verona, sul colle di S. Zeno in Monte, con il marito, il nobile cavaliere Alberto dagli Occhi di Cane, "uomo caritatevole e vero cristiano, ricco di virtù e di fede", che moriva di lì a quattro anni, lasciando la giovane sposa ancor bella da sola a lottare contro l'avversità del mondo. Ella, dopo la morte del marito, si rifugiava nella chiesa del S. Sepolcro - dove il priore le concedeva una piccola stanza come abitazione - e vestiva l’abito gerosolimitano, un’ampia tonaca nera crociata di bianco.

La santa si dedicava ai malati e ai poveri. Talvolta lasciava il luogo di sofferenza per recarsi a pregare sulla tomba di santa Teuteria, in un sacello situato dall’altra parte della città. La storia locale non ha registrato l’incontro, ma è esaltante pensarlo verosimile: quando in un freddo gennaio del 1320, ella forse incrociava sul suo cammino Dante Alighieri che trafelato si recava nella chiesa di S. Elena a disputare la Quaestio de aqua et terra.

Nel corso del primo ‘300 la città di Verona era spettatrice di alcuni avvenimenti tragici: un terremoto che abbatteva molte case, la morte di Cangrande della Scala (1329) e il 14 luglio 1343 la fine terrena di Toscana.

Nello stesso anno della morte, il 29 settembre (così L. Castellani, Sul culto di santa Toscana, Verona, 1836, p. 23: la chiesa "si nomava S. Giovanni Battista, ma trasferite in questa le ceneri di santa Toscana l'anno 1343 il volgo le mutò il nome…", allo stesso modo A. G. Vesentini, Santa Toscana, Verona, 1940, p. 79; invece M. R. Bonamini, in S. Vertuani, Zevio storia cronaca e tradizione, Zevio, s. d., p. 96, riferisce la traslazione della salma sempre il 29 settembre, ma dell'anno 1344), i veronesi che la veneravano già come una santa, a testimonianza della loro devozione, nonostante fosse stata sepolta, come suo desiderio, nella pubblica via, la traslavano in un'arca di marmo all'interno della chiesa. Una seconda volta la salma veniva traslata dietro l'altar maggiore, e infine una terza l'urna di marmo rosso veniva posta dal vescovo Ermolao Barbaro il 14 luglio 1464 nell'attuale cappella, appunto, di S. Toscana, dopo avere ispezionato la salma con grande concorso di popolo. "Alla vista del corpo si rinnovavano gli antichi prodigi e la cosa veniva narrata da chi era presente" (Celso dalle Falci, cit.). L’urna è posta nella cappella a destra nella navata, sotto l’altare sul quale un polittico del Liberale, rappresenta la santa tra il Battista e san Pietro, mentre nella predella, sette quadretti raccontano alcuni episodi della sua vita. Nel 1489 la chiesa del S. Sepolcro era dedicata al titolo di S. Toscana.

È doloroso ammetterlo, ma dopo il XVI secolo, la chiesa va incontro ad un lungo periodo di declino, non solo, nel 1713 veniva anche profanata dalla soldatesca e, come ricorda una lapide murata a destra del presbiterio, solo dopo dieci anni la chiesa era riconciliata. Il deplorevole abbandono continuava per tutto l’ottocento: il prefetto napoleonico di Verona, il 18 giugno 1806, la chiudeva al culto, ma il 6 dicembre dello stesso anno era costretto a consentirne la riapertura su insistenza dei veronesi.

Passano dieci anni e nel 1816 le autorità comunali decidevano l’abbattimento della chiesuola di S. Giovanni per ampliare e spianare la strada. Del complesso sacro restava solo la chiesa di S. Toscana, con a fianco l'abitazione del sacerdote.

Quello che oggi si vede internamente all'edificio, dopo vari rimaneggiamenti, è un’opera architettonica incompiuta. Nella celletta dove un tempo viveva la santa, lungo la navata sinistra, vi è ora un notevole Compianto ligneo a grandezza naturale, di stile quattrocentesco e di autore incerto, dal forte espressionismo nei gesti e nei volti dei personaggi che attorniano il Cristo morto. Affreschi del XVI secolo ornano, inoltre, la volta a vela della cappella adiacente. Di fronte, sul lato destro, si apre come a formare un transetto, la cappella di S. Toscana, con la volta affrescata a fiorami con quattro tondi entro i quali si scorgono san Bernardino, san Giovanni Battista, il beato Enrico da Bolzano e santa Toscana. Di quest’opera, un tempo si leggeva la data e la firma: "Domenicus Tol. Doctum cecidisse cacomen, 1853".

La data 1853 dell’affresco si deve riferire probabilmente a qualche restauro o rifacimento, quanto è noto un solo Domenico da Tolmezzo, vissuto tra il 1448 e il 1507. Gli storici locali suppongono concordemente sia proprio questi l'autore degli affreschi della cappella. Le affinità stilistiche dell’opera veronese con le altre note del grande pittore carnico sono, infatti, notevoli. i lavori nella cappella furono terminati intorno al 1489, quando Domenico aveva circa quarantadue anni, come conferma indirettamente Corna da Soncino nel Fioretto del 1487, dove scrive: "nel sepolcro stanno le ossa umane nella cappella di sinistra (di destra, guardando l'altare) mano della gloriosa nomata Toscana". Per queste ragioni l’opera potrebbe appartenere al pittore quattrocentesco che fu certamente in contatto con ambienti artistici veronesi.

Maurilio Cavedini

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Chiesa di S. Toscana, Verona

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Inserito l'8 maggio 2002

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