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Messe latine antiche nelle Venezie
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Analisi musicale e semiologica

L'offertorio gregoriano
"Vir erat in terra"
(prima parte)

di Massimo Bisson

 

 

Si tratta dell'antifona per l'offertorio della 21ª domenica dopo Pentecoste. Il testo è tratto liberamente dal capitolo 1 del libro di Giobbe: "C'era un uomo nella terra (di Hus) di nome Giobbe, semplice, retto e timorato di Dio: Satana domandò a Dio di poterlo tentare e gli fu dato dal Signore il potere (di danneggiarlo) nelle sue ricchezze e nel suo corpo. Persa ogni sua sostanza e tutti i suoi figli, colpì anche la sua carne con orribili piaghe". Il testo è presente in tutti i più antichi graduali a noi pervenuti, il più vetusto dei quali risale all'800 circa. I segni paleografici della famiglia metense sono tratti dal foglio 161 del codice 239 di Laon (post 930); quelli sangallesi, invece, dal foglio 337 del codice 121 di Einsiedeln (inizio del sec. XI).

La prima semifrase ("Vir erat in terra") comincia con una formula d'intonazione (mi-sol-la-si-la) che si estende per le prime tre sillabe mediante un neuma monosonico su "Vir", sul quale il notatore di San Gallo (SG) aggiunge un celeriter mediocriter, a significare che l'incipit del brano va considerato in modo scorrevole (non ci si deve quindi appoggiare troppo sul monosillabo iniziale). Sullo scandicus successivo, entrambe le grafie antiche mettono in evidenza la prima nota sol; in SG, in particolare, troviamo anche una serie di lettere aggiuntive: un sursum mediocriter sulla virga episemata (ciò specifica l'intervallo relativamente ampio rispetto alla nota del neuma precedente), un levate sulla seconda nota (che precisa l'intervallo in salita rispetto al sol precedente), oltre ad un celeriter che chiarisce la natura scorrevole della seconda nota del neuma. L'intonazione si conclude con un tractulus sul la. Una clivis con liquescenza diminutiva ci porta verso la parola "terra", i cui neumi sono tutti allungati: in SG, sulla prima sillaba, troviamo un neuma composto da un pes disgregato (con note episemate) che conduce verso la corda di recita do; segue un porrectus flexus con liquescenza aumentativa la quale, nella notazione vaticana (NV), si trasforma in una nota vera e propria. Leggermente diversa è la tradizione ritmica di Laon (L): infatti soltanto il secondo la risulta allungato mediante un tenete; L evidenzia inoltre una diversa consuetudine melodica: infatti le ultime tre note sembrano corrispondere a do-si-la-(sol), anziché si-la-sol della NV. Conclude la prima semifrase una clivis episemata sulla postonica "-ra", con una cadenza intermedia sulla sottotonica sol. Emerge chiaro fin qui il ruolo strutturale del la, vera corda di recita di questa prima semifrase; risulta importante anche il ruolo del sol come importante nota di appoggio. Il do, pur apparendo (almeno in SG) in contesto ritmico importante, ha ruolo ornamentale all'acuto.

La seconda semifrase ("nomine Iob") risulta piuttosto elaborata: la prima virga di SG subito riporta la melodia al do acuto (il sursum sottolinea il salto rispetto all'ultima nota del neuma precedente), il quale diventa pertanto nota strutturale. In L, invece, sulla medesima sillaba troviamo un pes che potrebbe corrispondere all'intervallo la-do. Segue un torculus subbipunctis che, in SG, risulta essere allungato (il levate sulla seconda nota del neuma sembra alludere ad un intervallo di terza tra la prima e la seconda nota, mentre l'equaliter puntualizza il rapporto di unisono con il do della sillaba che precede). La postonica finale di "nomine" è melodicamente ancora più elaborata: troviamo infatti una clivis seguita da un pes quilismatico subbipunctis resupinus; SG, attraverso episemi, considera allungate le prime due note oltre alla quarta; analoga situazione emerge in L, mediante la disgregazione della clivis in due uncini. Per quanto riguarda invece il pes quilismatico, il notatore di L non sente il bisogno di fare alcuna specificazione in quanto la seconda nota del neuma è già strutturalmente importante. Sul monosillabo "Iob" troviamo uno scandicus quilismatico flesso, le cui ultime due note sono allungate: in L ciò è reso mediante l'augete, in SG mediante l'episema; il mediocriter sembra specificare che la discesa melodica della nota resupina non debba essere eccessiva.

Riassumendo, possiamo rilevare che la sola sillaba accentata di questa seconda semifrase è resa melodicamente mediante un neuma monosonico  (ad eccezione di L che usa un pes); tuttavia, dato il notevole allungamento dei neumi nelle sillabe postoniche successive, occorre appoggiare bene il suono su "no-". Il monosillabo finale "Iob", proprio per la sua posizione, perde l'accento in favore della precedente postonica finale "-ne" la quale, proprio per questa sua funzione, risulta piuttosto elaborata. Anche la seconda semifrase, come la prima, vede il la come corda di recita principale; il do, tuttavia, rispetto alla semifrase precedente assume una rilevanza maggiore, che varrà accentuata ancor più nella seconda frase successiva.

La prima parte ("simplex et rectus") si apre ancora una volta sul do, mediante un torculus resupinus con liquescenza aumentativa (a causa dell'incontro m/p); il levate sulla prima nota di SG ci avverte circa la salita melodica rispetto alla cadenza sul la della prima frase; la postonica risolve con un semplice tractulus. Subito dopo si ritorna verso l'acuto mediante uno scandicus con liquescenza diminutiva, in cui la prima nota (sorprendentemente un si) è messa in evidenza tramite una virga episemata con levate; segue una clivis episemata con torculus resupinus sulla tonica di "rectus". SG aggiunge un equaliter tra la seconda e la terza nota: questo potrebbe sollevare dei dubbi circa la corrispondenza melodica con la NV, tuttavia in questo caso potrebbe indicare un intervallo minore di un tono. Sono presenti altre due indicazioni melodiche: un mediocriter sulla penultima nota, che specifica l'intervallo di seconda discendente re-do, e un sursum. Circa il significato di quest'ultimo, si potrebbe pensare ad un'indicazione ex parte post, utile ed evidenziare il successivo salto di quarta verso il la conclusivo della semifrase. Rispetto a SG, L fa uso del quilisma sulla terza nota della sillaba "re-": ciò sottolinea ancor più il carattere corsivo del suono do.

Dopo la cadenza mediana sul la alla fine della semifrase, si riprende con quella successiva "ac timens Deum":la melodia riprende sulla medesima nota con un tractulus seguito da clivis corsiva, in cui SG aggiunge un celeriter. Sulla postonica di "timens" troviamo un neuma composto da scandicus quilismatico seguito da porrectus flexus: quest'ultimo è concluso da una dilatazione ritmica a causa dell'incontro di s/d; tuttavia, mentre in L ciò è ottenuto mediante una semplice liquescenza aumentativa, in SG vediamo l'utilizzo di pressus minor seguito da stropha di apposizione. Quest'ultima figurazione neumatica è forse indice di una discrepanza melodica tra L e NV da un lato e SG dall'altro, cui sembrano corrispondere le note re-do-do-si anziché re-si-do-si. Nonostante il contesto corsivo di tutta la parola "timens", è pertanto necessario attuare un leggero trattenuto ritmico prima di passare alla parola "Deum", che è risolta in maniera altrettanto scorrevole: il torculus sulla prima sillaba (in cui il sursum di SG evidenzia l'intervallo di terza la-do-la) è seguito sulla postonica da un neuma composto da clivis e torculus, in cui il celeriter di SG avverte circa la scorrevolezza della seconda nota sol. Il neuma termina sulla nota la, che funge ancora una volta da cadenza intermedia; il do, per tutta la semifrase, assume soltanto una connotazione ornamentale.

La terza frase ("quem Satan petiit, ut tentaret") inizia con una formula di intonazione che elabora lo schema dell'incipit sulla prima frase: a differenza di quest'ultima, tuttavia, lo slancio prosegue all'acuto verso il do che, per la prima volta nel brano, assume carattere di corda di recita per l'intera frase. La discesa al grave su "quem" necessita di una certo allargamento ritmico, sottolineato in L con un augete; lo scandicus su "Satan" richiede un appoggio sul do, evidenziato da tenete in L e da una virga episemata in SG. Conclude la parola una clivis con liquescenza diminutiva (richiesta dall'incontro n/p), in cui SG pone l'indicazione iusum che comporta un piccolo appoggio affinché la nota liquescente non venga sorvolata. La presenza della liquescenza, inoltre, permette di risolvere in modo più agevole anche l'intervallo di quarta verso il do. Arriviamo dunque alla parola "petiit": sulla prima sillaba, un salicus conduce da do a mi, nuovo apice melodico, ripreso anche sulla postonica mediana "-ti-" mediante una clivis con pressus minor resupinus (di cui il celeriter mediocriter di SG esplica il carattere corsivo). La clivis episemata sangallese riconduce verso il do, cadenza intermedia; nel punto corrispondente L utilizza invece un oriscus clivis, la cui resa ritmica richiede un appoggio sulla prima nota con conseguente allungamento anche della seconda.

Sulla preposizione "ut", il pressus maior di SG conduce la melodia verso il grave: così come indicato anche da L, i due do ripercossi hanno una natura ritmicamente forte, mentre la terza nota (si) funge soltanto da congiunzione verso il la della pretonica di "tentaret". Qui SG si limita ad indicare un semplice tractulus; mentre L, sfruttando un cephalicus, aggiunge una nota liquescente su sol ripresa anche dalla NV. Sulla sillaba tonica, la melodia ritorna brevemente alla corda di recita do mediante uno scandicus subbipunctis resupinus la cui terza nota (il do appunto) è messa in rilievo mediate episema in SG e allungamento della virga in L. Anche la clivis conclusiva della frase è costituita da note allungate: arriviamo infatti ad un'altra cadenza intermedia nuovamente su la. Tutta la terza frase è concepita come un'unica arcata melodica, che copre la massima estensione del brano: l'ottava mi-mi.

 

da «Una Voce Notiziario», 51-53 ns, 2013-2014, pp. 17-19.
www.unavoceitalia.org

 

 

 

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Inserito il 21 luglio 2014

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