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Liturgia e canto gregoriano

SE LA CHIESA CAMBIA MUSICA

di Paolo Isotta

 

Caratteristica precipua dell'attuale sistema dei mezzi di comunicazione di massa è che chiunque, posto il raro caso sia titolare d'un mestiere o d'un sapere, venga richiesto di esprimersi su altro e non su quello. In ossequio a tale legge, scriverò di religione cattolica e liturgia.

Sotto il pontificato polacco si è spinta all'estremo una tendenza latente nella Chiesa e manifesta in particolar modo con Paolo VI. Perduta alla religione cattolica, non ai varî cristianesimi da circo equestre che vediamo negli Stati Uniti o ai sincretismi cristiano-animistici dell'America Latina, tanto cari all'immenso Cuore Paterno di Giovanni Paolo II, la gran parte delle nazioni civili; restata nell'ambito luterano e calvinista quella porzione d'Europa che, sotto tutti gli altri versi, civile poteva chiamarsi; degenerate queste due confessioni, già portatrici d'originaria tabe, nel circo equestre americano suddetto; pronte esse peraltro, grazie alla dottrina del "libero esame", a ogni appello dei tempi attuali: preoccupazione costante di chi resse la Cattedra di Pietro, non però di Giovanni XXIII, Pontefice incompreso e, o, falsificato, fu quella di "evangelizzare", qual delicato eufemismo, il numero maggiore di "anime". Dovette giuocare al ribasso, la Chiesa, e cercarsele, queste "anime", presso gli humiliores, i diseredati, i pauperes spiritu. In ciò, si vide e vede un ritorno alla più pura polla evangelica. Il Messaggio di Salvezza, secondo gl'imperscrutabili dettami della Provvidenza, si realizza tuttavia nella Storia. Il ritorno alla polla evangelica è stato per troppo numerosi secoli oggetto delle più appassionate dispute dottrinarie e pratiche, e mai è avvenuto siccome fenomeno reazionario: il sublime insegnamento di san Francesco lo mostra. Altrimenti, le più alte menti teologiche dimostrano tale "ritorno" inopportuno, non augurabile, impossibile.

Un sacerdote alla moda chiamerebbe utenza ciò che si definiva "gregge" della Chiesa: quella attuale è per la gran parte di qua dalla comprensione dei fondamenti catechistici, non si dice delle basi teologiche del Cattolicesimo. Il Pontefice polacco, con tutto il rispetto, si regolò con saggezza aziendale: la vecchia, chiedo scusa, clientela l'abbiamo perduta, dobbiamo trovarci un altro target. Pazienza se questo target costringe ad abolire la lingua della Chiesa, il Latino, e a distruggere la liturgia: quindi il suo stesso gheriglio, la romana cantilena, detto volgarmente il "canto gregoriano".

Sorge qui il dubbio più angoscioso. Fino a qual punto una religione rivelata può accettare il concetto d'un'evoluzione al suo interno per adeguarsi ai tempi e alla nuova clientela? La Chiesa Cattolica ha mostrato per millennî d'esser in ciò maestra, mutando pelle e salvando la sostanza. Giunge un punto estremo, l'attuale, quello che stiamo vivendo: ma più giusto sarebbe dire che abbiamo già vissuto. Nel Diritto come nella Religione, che anzi del Diritto è, almeno nel mondo indo-europeo, lontana madre, è errato, e prima ancora inutile, tentar una distinzione tra Forma e Sostanza. Giacché sono l'una e stessa cosa. La Liturgia è la manifestazione del Dogma; se poi la Chiesa Cattolica vuol esser solo un'assistenza sociale, del Dogma non necessita. Ma se il Dogma vuole preservare; se quel Dogma vuole preservare, come farlo senza quella Liturgia? Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, innanzi alla cultura del quale ognuno deve inchinarsi, ebbe già a dichiarare, da pochissimo intronizzato, il ripristino della Liturgia pre-Concilio Vaticano II "cosa anacronistica". Mi permetto non considerar affatto anacronistica l'angoscia donde le considerazioni qui esposte scaturiscono. Non vorrei che la Chiesa, perduta una clientela, nella corsa al ribasso fosse per perderle tutte.

Ha sede a Roma una Fondazione intitolata Pro musica e arte sacra la quale organizza, fra l'altro, uno splendido festival di musica sacra giunto alla seconda edizione. L'anima l'arcivescovo Angelo Comastri, già titolare della sede lauretana e oggi Vicario Generale a Roma. Piuttosto che ascoltare i Filarmonici di Vienna diretti dal grande Seiji Ozawa (sabato), ho scelto la manifestazione inaugurale: una Messa solenne, in San Pietro, celebrata da S.E. Comastri "con canto gregoriano". L'iniziativa è tra le più lodevoli, e il degnissimo Prelato, di certo destinato a portare entro breve croci ben più pesanti che l'attuale, officia come da tempo, per proprietà liturgica, non si vedeva. Poi forbitamente predica sull'intimo legame del Sacrificio del Cristo con la Bellezza.

Miracolo sommo fu che la romana cantilena, centone delle più varie origini, dalla sumera alla caldea alla ebraica alla siriaca, sposatosi con la lingua latina tanto che il termine tecnico per definirla è prosa, nacque per scopi affatto pratici, indi politici: di politica culturale. Ma, nella gran parte del suo repertorio cosiddetto melismatico, attinge la grande arte sì da esser fonte inesauribile d'ispirazione anche per la musica moderna, la Polifonia del Quattrocento e oltre. Mi costringo ora a una domanda ulteriore: ciò che l'altra sera in San Pietro abbiamo ascoltato con amplificazione e fragorosissimo organo e danzabili ritmi che cosa ha realmente da fare col Canto Gregoriano siccome scaturito, dopo secoli di tradimenti, dalle cure centocinquantennali di dottrina e insegnamento dell'Ordine benedettino? Ignorantissimo, vorrei che nella Basilica avesse preso posto l'Abate del monastero di Solesmes, sommo centro mondiale per lo studio e l'insegnamento della romana cantilena; e mi avesse spiegato che cosa pensare.

 

da: "Corriere della Sera, 27 novembre 2005

 

 

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Inserito il 2 dicembre 2005

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