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Gricigliano, 2 dicembre 2005

Omelia alla messa solenne per il Trigesimo di don Ivo Cisar Spadon

di don Vittorio M. Mazzucchelli

 

"Facciamo l'elogio degli uomini illustri i cui meriti non verranno dimenticati, dice il libro del Siracide". Chi ha avuto l'onore di conoscere don Ivo Cisar Spadon sa che queste parole sono vere. I meriti e le opere sante, delle quali le sue mani sono sempre state piene, sono la chiave che gli spalanca oggi le porte dell'eternità

Qualche anno fa capitò per caso a Gricigliano e ci propose i suoi servizi di professore. Nacque così questa profonda amicizia che lo legò negli ultimi anni della sua vita alla nostra Comunità di Gricigliano.

Nato a Dobruska (Repubblica Ceca) il 29 dicembre 1928, fu ordinato sacerdote a Roma il 5 luglio 1953, nella Città Eterna visse la formazione sacerdotale e dalla stessa Città Eterna attinse il suo amore alla Chiesa, quando esule restò a Roma, non potendo fare ritorno in patria, per motivi politici.

Non parlava spesso di questa sua sofferenza, ma si coglieva nei suoi racconti quanto doveva essere costato il sacrificio di una vita, immolata al servizio della verità, nello studio e nell'insegnamento, lontano dalle sue radici, attaccato soltanto come tralcio, alla mistica vite evangelica.

La Provvidenza volle che continuasse i suoi studi, divenne così dottore in sacra teologia nel 1957, e in diritto canonico nel 1962 alla Pontificia Università Lateranense, e dottore in filosofia nel 1973, alla Libera Università Gabriele d'Annunzio di Chieti. Insegnò Teologia dogmatica e fondamentale nei seminari regionali di Catanzaro, di Chieti e in quello diocesano di Pordenone, inoltre Diritto ecclesiastico nell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Portogruaro. Fu parroco e in seguito giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto.

Così ci disse in questo luogo, due anni or sono, quando celebrò la santa messa di ringraziamento per i cinquant'anni di sacerdozio:

"Sulle immaginette della mia prima santa Messa ho fatto stampare le parole di san Paolo: Per me vivere è Cristo, tutto posso in colui che mi dà la forza. Il sacerdote vive per Cristo, vive di Cristo. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

In un rapporto di amicizia intima con Cristo, il sacerdote regna con Cristo dall'altare, annunciando Cristo-Verità, insegnando Cristo-Via, vivendo e facendo vivere di Cristo-Vita. Come Cristo e con Cristo e in Cristo, il sacerdote regna come sacerdote, regna sulla croce e dalla croce, sacerdote e vittima con Cristo sull'altare, nella santa messa ed in tutta la vita, come si legge nell'Imitazione di Cristo: tutta la vita di Cristo fu croce e martirio. Il sacerdote prega, offre e si offre, soffre, perché venga il Regno di Dio. ...

Cristo ci fa vivere e regnare con Sé: Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui; se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo''.

Ma c'è un altro episodio che lo lega ancor di più a questo Seminario e che ci mostra tutta la carità di don Cisar. Appena arrivava a Gricigliano si precipitava nel mio ufficio e mi consegnava un'offerta. La prima volta gli dissi che doveva essere l'opposto e, che l'offerta avremmo dovuto darla noi, per il prezioso servizio dell'insegnamento. "Non se ne parla nemmeno, io ho contratto un debito con la Chiesa, quando da studente mi sono stati pagati gli studi, nella vostra Comunità ho trovato il modo di risarcire questo debito!" Un'evangelica risposta che non ammetteva repliche. Il debito contratto con la Chiesa, un debito che volle soddisfare nella carità eroica.

Bastano queste due pennellate a dipingere il ritratto di un buon prete. Perché una volta così mi disse: poco gli importava essere ricordato come un grande professore, formatore o avvocato: "spero di essere ricordato come un buon prete, ce ne è d'avanzo!"

Appresa la notizia della morte rimasi folgorato ed interdetto, perché immediatamente mi sovvenni di qualcosa che non avevo mai completamente dimenticato e che risaliva al suo ultimo soggiorno presso di noi. Stava passeggiando nel corridoio con il Rosario in mano ed incrociandolo gli sorrisi dicendo che bello vedere un professore, aveva la berretta dottorale, con il serbatoio della sapienza tra le dita. E così ci fermammo a parlare un poco della Madonna.

Era stata la fede nella Madre Celeste a farle superare i momenti di più grande difficoltà e non solo quelli dell'epoca romana, non le persecuzioni che arrivavano dall'esterno, ma soprattutto quelle che si scatenavano dall'interno. Se amiamo veramente la nostra Madre sarà Ella a guidarci nel cammino ad aiutarci a superare le difficoltà terrene a condurci alla Patria Beata. Suonavano i rintocchi dei Primi Vespri della Festa del Santissimo Nome di Maria quando, il giorno 11 settembre 2005, il suo cuore ha cessato di battere alla vita terrena e la Madre Celeste, Janua Cœli gli ha spalancato le porte dell'eternità.

Don Ivo fu un sacerdote di speranza: la vera virtù teologale che nasce e si fonda sulle due precedenti. Non avrò troppi meriti come tanti che hanno vissuto momenti di conversione e di approfondimento, di riciclaggio e di riappropiazione, non avrò tutti questi meriti perché mai ho dubitato. Ed additandolo ai seminaristi diceva: ecco il frutto della Speranza sacerdotale.

E, quel sentire cum Ecclesia, lo aveva formato e forgiato, tanto da diventare una sorta di divisa, che traspariva dal suo sguardo.

A lui come a noi oggi il Signore ripete la frase detta a Marta di Betania Ego sum resurrectio et vita, chi crede in me, anche se morto vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Come ci dice Ugo di san Caro "con Marta e Maria sono significate due forze che sono in ogni anima, anche peccatrice. Con Marta è significata la sensibilità e la generosa impulsività dell'anima, che respinge quasi istintivamente la schiavitù del Diavolo: con Maria, che significa "stella del mare" è designata la razionalità, ossia il discernimento che sa distinguere il peccato, alla quale l'anima ricorre in caso di errore, per venire indirizzata, come fa il navigatore con la Stella Polare. Marta dunque, come udì che Gesù stava per arrivare, gli andò incontro, perché la sensibilità dell'anima, quando percepisce la vicinanza di Gesù, subito accorre a Lui.

A Marta Gesù disse Ego sum resurrectio et vita: ricorrendo alla formula tanto cara alle scritture per dire che Gesù, unico salvatore è il Signore della vita e della morte e che la fede in lui impedisce alla morte eterna avere la meglio, sull'anima del credente.

Ed a lui, a don Ivo, oggi il Signore dice, come disse il re di ritorno, ai suoi servi che si erano mostrati fedeli, obbedendo ai suoi desideri: Euge serve bone et fidelis, Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Quella gioia eterna nella quale entrano gli amici seguendo l'appello della voce del Maestro, dove asciugata ogni lacrima noi saremo per sempre uniti alla lode senza fine dell'assemblea degli eletti, che don Cisar si è guadagnato morendo nello slancio di delicatezza e di attenzione con la quale ha sempre vissuto.

Affidiamo la sua anima alle amorose cure della Vergine Santissima, affinché come madre amorosa lo conduca, attraverso le strade della purificazione celeste, alla corte degli angeli.

Anche a noi lassù ci sarà dato di capire, oggi ci è dato di accogliere e di accettare attraverso la fede. Così non formuliamo domande senza risposta, almeno in questo momento: non domandiamo perché la morte, la sofferenza e la malattia.

Dunque, non perché Signore, non perché Signore ce lo hai tolto, ma grazie, grazie Signore per avercelo dato.

 

 

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Inserito il 9 settembre 2006

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