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I patroni di Venezia

di Antonio Niero

 

I criteri che stanno alla base della scelta dei santi patroni veneziani sono in via ordinaria gli stessi che si riscontrano nelle altre città del medioevo occidentale, ed italiane in specie ma con particolare accentuazione dell'aspetto politico a Venezia, dovuto sia alla coscienza di sentire la religione inserita al vivo nel ritmo della vita pubblica, sia alla mentalità tipica della società veneziana, tale da costituire una sorta di chiesa nazionale, secondo il rilievo ormai classico dello storico tedesco Kretschmayr e ripreso più o meno da tutti gli altri. La persuasione sull'efficiacia del loro patrocinio, sì da costituire la sicurezza della indipendenza e libertà nazionale viene espressa così dal Sansovino, pur parlando dei corpi santi in generale: " ... diremo di luoghi sacri all'intorno, dedicati a diversi Santi, i quali senza alcun dubbio da veri amici di Dio la conservano con le preghiere presso sua Divina Maestà, intatta da gli fortunii del mondo et nella sua sempre eterna libertà: essendo molto più sicura la guardia celeste che la terrena delle fortezze e delle muraglie" (Venezia ... p. 76r; p. 2r concetto delle isole come fortezze).

I patroni specifici di Venezia accompagnano la sua storia: così si dica dell'Annunciata, così di S. Antonio di Padova, considerato tale nella guerra di Candia; di S. Marina, a cui si ascriveva la riconquista di Padova nella guerra di Cambrai, di S. Teodoro, che aiutò la città nella guerra antigenovese o di Chioggia. Così si veda per quei santi che senza figurare fra i patroni ufficiali, acquistarono un significato pressoché identico, come S. Giustina, festeggiata con solennità peculiare, poiché nel suo giorno 7 ottobre 1571, era stata riportata la splendida vittoria a Lepanto. Altri sono collegati alle origini e vita stessa della città: ad esempio S. Marco che è simbolo di Venezia, e poi S. Teodoro, almeno secondo la leg-

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genda, i SS. Ermagora e Fortunato, S. Magno, S. Pietro Orseolo, S. Lorenzo Giustiniani, S. Pio X. Altri divennero tali per circostanze di calamità pubbliche, come S. Rocco, invocato contro la peste. Tuttavia per alcuni ci furono motivi di pietà disinteressata, come S. Giuseppe, S. Filippo Neri, S. Giovanni Nepomuceno, S. Francesco d'Assisi, S. Bernardino da Siena. Dal punto di vista storico la maggior ufficialità dei patroni si riscontra nel corso del 1600 e 1700: nel 1600 da parte dello Stato, segno pur questo della pietà veneziana del secolo, per quanto stimolata dalle gravi vicende esterne, tipo la guerra di Candia; nel 1700, da parte dell'autorità patriarcale. Infatti il decreto del patriarca Bragadin del 1764 sancisce per gran numero di santi il titolo di patroni. Una flessione nella festività dei santi, quindi dei patroni, si ebbe nel secondo 1700, durante l'ondata laicista in Venezia, con la riduzione delle feste di precetto ottenuta dalla Santa Sede nel 1787: ad esempio S. Giuseppe, S. Anna, S. Michele.

Poi il crollo della Repubblica nel 1797 segnò la crisi del loro culto. Ed è ovvio, se erano sentiti quale manifestazione della religione dello Stato. Lo rileviamo nel riordino del Calendario Diocesano disposto nel 1839 dal patriarca Monico: nelle "animadversiones" della Congregazione dei Riti si fa notare il fatto di culto ai Santi legato ad aspetti strettamente politici. Tuttavia non furono soppressi per sempre: essi sono rimasti e rimangono ancora, per cura dei patriarchi (in modo speciale del Card. Pietro La Fontaine, 1915-1935) a testimoniare che se Venezia è finita nel 1797 come realtà politica, continua senza interruzioni, identica a quella del passato, come realtà religiosa. Ancora una volta la religione significa un fatto sociale e culturale oltretutto, che vincola e salva i valori di una civiltà.

I santi patroni attuali della città e patriarcato sono divisi in principali e meno principali. Tre sono i principali: L'Annunciazione, S. Marco, S. Lorenzo Giustiniani. Quindici i meno principali: cioè S. Antonio di Padova; S. Bernardino da Siena; SS. Ermagora e Fortunato; S. Filippo Neri; S. Francesco d'Assisi; S. Giovanni Nepomuceno; S. Giuseppe; S. Magno; S. Marina; S. Pietro Orseolo; B. Pietro Acotanto; S. Pio X; S. Rocco; S. Teodoro di Amasea; S. Teodoro di Eraclea.

 

L'Annunciata.

Prima patrona secondo la tradizione locale è la Vergine Annunciata, con festa il 25 Marzo. È ormai dimostrato leggendario il documento sulla fondazione di Ve-

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nezia il 25 Marzo del 421 d. C., da parte dei consoli padovani, inserito nella cronachetta quattrocentesca del medico patavino Iacopo Dondi (Cessi, Doc. I, p. 1.). La tradizione peranco può risalire al secolo XII, o tutt'al più al XI, quando s'inizia la datazione dei documenti: ab Incarnatione, come ritiene il Gallicciolli e quando appare il titolo delle chiese di Zobenigo (1089) e l'Annunciata (1030). D'altronde la notizia della celebrazione di Messa solenne in S. Marco nella festa dell'Annunciazione, da parte di Papa Alessandro III nel 1177, su richiesta del Doge e della Signoria, può insinuare che sin d'allora si desse peculiare significato alla celebrazione come Dies natalis di Venezia: d'altra parte il rilievo sulla facciata della Basilica di S. Marco, dei sec. XII-XIII, che rappresenta la scena, convalida la coscienza del patrocinio dell'Annunciata in questo tempo.

Nella Cronica del Dandolo è ormai pacifico la fondazione della città in codesto giorno: di qui la notizia passò in Bernardo Giustinian, nelle Vite dei Dogi del Sanudo, che vi aggiunse pure l'oroscopo astrale, desunto dalle Cronache, nel Sabellico, che accentua il rapporto con il mistero dell'Incarnazione, quasi voglia far presente l'origine preterumana della città, come si dirà poi apertamente nel corso del seicento nella piena consapevolezza del suo mito; in Francesco Sansovino, il quale si dilunga nel dimostrare le ragioni augurali del giorno e del mese con precise notizie topografiche. Secondo lui, il fuoco appiccatosi in Rialto nel 418 presso la casa di Entinopo di Candia, si spense per voto degli abitanti formulato a S. Giacomo apostolo di erigergli una chiesa, costruita nel 421 e consacrata il 25 marzo dello stesso anno o del seguente, dai vescovi Severiano di Padova, Ambrogio di Altino, Giocondo di Treviso, Epodio di Oderzo. Era mezzogiorno, secondo il Dondi, il Sanudo, il Sansovino quando i padovani fondarono la città: "con felice e fortunato principio, dice il Sansovino, per volontà di Dio a fine di sollevare la libertà e la nobiltà d'Italia, la qual doveva andar del tutto in rovina per la partita di Costantino" e si noti Venezia erede di Roma avviata a decadenza per il trasporto della capitale in Oriente, secondo la mentalità umanistica locale). "Fondata, continua ancora, nel mese di Marzo venerato anticamente dagli Egittii e dall'altre più eccellenti nationi. Et nel quale il mondo si riveste di nuovi colori, rinfrescando le sue perdute bellezze ... Et nel quale avvenne il mistero della redentione nel mondo per la morte di Nostro Signore. Nel giorno a punto che la Beatissima Vergine fo annontiata dal messo celeste dell'incontro del Verbo di Dio. Nella hora ch'il Sole era nel maggior colmo del suo splendore ... acciocché riuscisse ammiranda città predetta secondo alcuni da Ezechiel dove dice: ascendam ad terram absque

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muro: veniam ad quiescentes habitantesque secure. E dal quale si prende la natività di Venetia.

Si conoscono i motivi della pietà medioevale nel ricercare la fondazione della città il 25 marzo, giorno della creazione del mondo, dell'Incarnazione e della Morte del Redentore. Venezia, si inserisce in codesta linea, ma per il Galliccioli fu dovuto ad un fatto di mera coincidenza con il primo giorno dell'anno da quando si è usata la denominazione: ab Incamatione. Questo giorno fu considerato festa di Chiesa e di palazzo, cioè con astensione dal lavoro e dagli uffici pubblici: "et se varda" scrive il memoriale Franco dell'ultimo quattrocento. Il doge, con manto d'argento e d'oro, con pelli di lupi cervieri discendeva al mattino in S. Marco: "tiene cappella in S. Marco alla S. Messa e dal dopo pranzo alla predica" sempre secondo il citato Memoriale, "Predica, nota il Sansovino, che si vuol fare dal maggiore predicante che allora si ritrovi in Venetia".

L'Annunciata come patrona della città appare nell'iconografia ufficiale, nei rilievi della facciata di S. Marco, come si è detto del sec. XII, nei tabernacoli gotici, opera dei dalle Masegne (1395 ca.) ed alla base del ponte di Rialto sulla fine del 1500 in altorilievo del vittoriesco Rubini assieme ai santi Marco e Teodoro. Il fatto è ancora simboleggiato nell'angelo Gabriele, col giglio in mano, in vetta al campanile di S. Marco, mobile ai venti in atto di continuo saluto alla città.

Nella devozione ufficiale dello Stato, quando si gettò la prima pietra della basilica della Salute come voto cittadino, si scelse il 25 marzo 1630, ricordando l'origine mariana di Venezia nell'iscrizione pavimentale della cupola centrale: la salvezza di Venezia viene dalla Vergine. Sacra al mistero è pure la chiesa di Santa Maria del Giglio, fondata secondo la leggenda il 25 marzo del 421 (ma esattamente 1089). Notiamo la serie di scuole dedicate all'Annunciata; dei Zoppi a S. Angelo (1392), in S. Maria Mater Domini (1423) in S. Margherita (1575: sovvegno), in S. Aponal (1581); in S. Simeone (1501), in S. Giacomo dell'Orlo (1596); in S. Cassan (1615); alla Bragora (1638); in S. Vidal (1679).   Nota bibliografica

 

S. Antonio di Padova.

Il culto di S. Antonio a Venezia risale poco dopo la sua morte (+ 1231) dovuto al suo soggiorno in città in casa Civran a S. Giovanni Grisostomo, secondo una traduzione destituita di ogni prova. Senza considerare i pellegrinaggi dei veneziani alla sua tomba, è certo invece che

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nel 1255 il santo era festeggiato nella chiesa dei Frari con altare proprio, come da bolle di Alessandro IV datate da Anagni il 28 luglio (A.S.V. B. 106, XXXII - 13) e 6 luglio (ivi, B. 106, XXXII - 4). Nel 1305 si celebrava la festa in Venezia secondo un documento del legato apostolico card. Napoleone ( A.S.V. B. 106, XXII - 8).

Nel Messale marciano (lat. cl. 3, XLVII = (2100) anteriore forse al 1323 figura festa di precetto, con Messa propria (Introito del Comune dei dottori e capilettera in saio da conventuale). Così pure è precetto nel Messale marciano del 1392 (lat. cl. 3, XLV, = (2244) tipicamente francescano, con ottava di essa e festa della traslatio, pure di precetto, il 15 febbraio.

Il 30 marzo 1439 esiste una confraternita sotto il titolo di S. Antonio in parrocchia di S. Simeone profeta, con l'incarico del pane dei poveri e suffragio dei defunti; subito dopo fu avocata dai francescani dei Frari, nonostante la resistenza dei fedeli di S. Simeone: anzi con decreto del Senato 15 ottobre 1440 veniva stabilito che in Venezia non sorgesse nessun'altra scuola, tranne quella dei Frari, in onore del santo. La nuova scuola ai Frari aveva avuto la sanzione ufficiale del Consiglio dei Dieci il 23 luglio 1439 con i privilegi consueti delle confraternite: statuto proprio, altare proprio nella chiesa annessa e il nome caratteristico: "Fradaia de Santo Antonio di Padova".

Il culto tuttavia non ufficiale divenne tale durante la guerra di Candia, prima come festa di palazzo, con decreto dei Pregadi del 30 giugno 1646 ( A.S.V. libro d'oro, III c. 114), poi su memoriale di Giovanni Grimani, già podestà di Padova, che il 27 febbraio 1651, proponeva per il buon esito della guerra e protezione dell'armata, di erigere un altare al santo in Basilica della Salute o in quella di S. Marco, con qualche effige o piccola reliquia e visita annuale del doge. Discussa la cosa ed approvata il 29 dello stesso mese, fu dato incarico ai Rettori di Padova di ottenere una reliquia del santo. Le difficoltà opposte dai Padovani non furono da poco; alla fine la reliquia fu concessa ed entrò in città il 9 giugno, per la via del Brenta, con un corteo fastoso puntualmente descritto dai cronisti, ed accolta come si soleva fare per i grandi personaggi. Dal reliquiario di S. Marco, dov'era stata collocata, fu condotta con processione solenne dal Doge, dal Senato, dal Clero e popolo lungo un ponte di barche gettato sul Canalgrande, sino in Basilica della Salute il 13 dello stesso mese.

Progettò l'altare il Longhena, proto della basilica; nel 1656 era già

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compiuta la pala commissionata al pittore padovano Pietro Liberi; l'anno dopo l'altare era ormai terminato.

Quasi vent'anni dopo in altra circostanza la Repubblica godette del patrocinio del santo, in seguito alla cessazione della peste che aveva colpito l'armata veneziana nell'assedio di Castelnuovo, onde con decreto senatoriale del 5 luglio 1587 fu incaricato il Bonacina di lavorare in isbalzo la scena in una tavola votiva assegnata all'altare del santo.

Dopo il 1651, il doge si recava ogni anno il 13 giugno in processione alla Salute, in manto chermisi e d'oro con mozzetta ad udire la Messa e venerare la reliquia. Caduta la Repubblica il voto continuò sino al 1954, quando prima fu abolito il ponte ed ora con decreto patriarcale in data 5 dicembre 1963 la festa è stata traslata in chiesa a S. Moisè.

L'iconografia veneziana del santo merita una considerazione a parte; è impossibile darla qui per esteso. Egli è raffigurato quasi in ogni chiesa. Ci si limita a quella dei Frari e della Salute, in quanto qui assunse valore ufficiale. Della chiesa della Salute si è detto sopra; per quella dei Frari: statua goticizzante in facciata; nel barco, del Gambelli (1475?), rilievo nel coro, del Canozzi; ancona di A. Vivarini (1468); tela di anonimo del secondo quattrocento nell'altare proprio; statua lignea in sacrestia; tela del tintorettesco Floriano (1600) nel monumento Garzoni: del Rosa nel 1670, ivi: del Pittoni (1728) ivi: di G. Einz nel 1670 sotto l'organo; nella pala di cà Pesaro di Tiziano (1519); tra i santi francescani di B. Licinio (1489-1559); episodi della vita nella vetrata absidale del Beltrami (1907). Parecchie confraternite in suo onore si svilupparono nell'età post-tridentina: a S. Giovanni Crisostomo (1637) ; a S. Angelo (1657); a S. Nicolò (1660), a S. Vito (sovvegno 1661); a S. Eufemia di Giudecca (1622); a S. Severo (sovvegno, 1691); alla Madonna dell'orto (sovvegno, 1706); a S. Zan Degolà (1707); a S. Beneto (1720).

Giova ricordare pure, come motivo di culto, la frequenza del santo nell'onomastica veneziana aristocratica e popolare; in quest'ultima nelle forme ridotte Toni e Tonin, nell'altra spesso in composizione con altri santi (Marco, Giovanni, Giuseppe), soprattutto nel corso del sei-settecento.   Nota bibliografica

 

SS. Ermagora e Fortunato (S. Marcuola)

I due santi aquileiesi presenti senza dubbio nel calendario aquileiese del secolo V, come ha dimostrato il Paschini, sono da tempo immemorabile, si dice, patroni della città.

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Senza entrare nel vivo della questione sul rapporto tra S. Ermagora e S. Marco, ormai risolta in senso negativo dal Paschini nel 1909 ed ancora nel 1954, si può notare che S. Ermagora è patrono della città nel corso del secolo XI, come risulta dal mosaico dell'abside centrale di S. Marco, assegnato al tempo del doge Selvo (1081). Qui è isolato senza S. Fortunato suo diacono, che è presente nella pala d'oro fra i diaconi di derivazione aquileiese gradense, nel tratto riportabile tra i secoli XIII e XIV.

I due santi risultano peraltro appaiati nel calendario veneto del secolo XI, ma non credo come patroni, per quanto sia festa di precetto: altrimenti tali sarebbero apparsi anche nel mosaico citato. A sua volta la distinzione sussiste anche nella toponomastica locale: la più antica denominazione di S. Ermagora è in atto notarile dell'aprile 1069; quella di S. Fortunato solo il 27 agosto 1117: Iohanne Pantaleo de confinio ecclesie, Sancti Fortunati ( A.S.V. arch. not. cancelleria inferiore). Come si vede il culto dei due santi si diffonde in Venezia a metà del secolo XI; o meglio dapprima il culto di S. Ermagora e poi quello di S. Fortunato, di cui si noti il parallelismo fra la documentazione del toponimo e l'iconografia marciana citata. Insomma questo culto nasce nel periodo della inventio delle loro reliquie in S. Eufemia di Grado nel 1023. Duplice può essere il motivo che ha determinato il culto: da un lato la supposta dipendenza di S. Ermagora da S. Marco, onde con l'incremento del culto all'Evangelista in questo secolo, si diffonde anche quello del suo discepolo; e si noti che secondo l'Olivieri, nella trasformazione fonetica dei toponimo locale Ermagora in Marcuòla, forse è stato sentito l'influsso di S. Marco, sebbene sia più ovvio riconoscere un fenomeno metafonico attraverso i passaggi intermedi: Marcóra - Marcóla - Marcuola. Ed è sempre questa prova ulteriore di ammettere fra il popolo la preponderanza del culto di S. Ermagora su S. Fortunato.

Ci può essere pure nel culto veneziano un'origine di giurisdizione canonica: i due santi patroni della metropoli gradense; ora che ne riaffiorano le reliquie in affermata autonomia rispetto ad Aquileia, rappresentavano un vincolo spirituale con le diocesi suffraganee; in specie con le più periferiche, come Trieste ed Olivolo.

Ma il loro culto dovette subire delle flessioni, se nel sinodo di Egidio, patriarca di Grado (1295-1310) vien ingiunto al clero di commemorare i due santi assieme a S. Marco alle lodi ed al vespero quotidiano; cosa ripresa dal patriarca Andrea Bondumier (1460-1464). In questo tempo la loro festa è presente nel calendario del Messale marciano (lat. cl. 3, XIVII (= 2100), poiché è assente negli altri messali, tranne nel lat. cl. 3. XLV

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(= 2444), dove fu aggiunta nel 1456 da Giacomo cappellano del procuratore di S. Marco. Poi il patriarca Giovanni Trevisan nel 1575 ripubblicando i due decreti richiamava l'importanza del loro culto. Ma si noti la assenza di dì festivo dei due santi nel Memoriale Franco: forse perché pur patroni del patriarcato aquileiese, non si voleva dare loro un qualsiasi riconoscimento ufficiale, quando ormai sussisteva quello di Venezia.

I due santi uniti, oltre gli esemplari in S. Marco, a cui si aggiungono le storie di S. Ermacora, si trovano principalmente nella chiesa di S. Marcuola: in tela della sacrestia, del Migliori (+ 1734?) e due statue laterali dell'altar maggiore, di G. M. Morleiter (+1782), nonché in S. Fosca (S. Ermagora battezza S. Eufemia e compagne) di F. Migliori.   Nota bibliografica

 

S. Filippo Neri

Il santo fu dichiarato patrono della città il 9 febbraio 1765 con estensione dell'ufficio proprio per tutta la città il 20 luglio, mentre prima figurava solo come devozione specifica della Congregazione dell'oratorio: infatti l'ufficio è assente nel Proprium del dominio veneziano del 1755, e prima ancora manca la sua festa nel Menologio del Corner. Il suo culto ebbe vigore sin dal seicento quale mezzo di perfezione sacerdotale favorito dagli Oratoriani alla Fava, sempre vivacissimo centro di cultura e spiritualità, pur venato ora di filogiansenismo, ora di presenze quietistiche; ma il primo altare in suo onore a Venezia risale tra il 1605 e 1649, in chiesa a S. Canciano.

In parecchie chiese della città si conservarono sue reliquie e c'era numerosa iconografia. Ricordiamo solo in quella della Fava, sede della sua Congregazione: fatti della sua vita in altorilievo di B. Torretti (1660-1743); pala d'altare (copia) di G. Reni; pala d'altare con il santo innanzi alla vergine di G. B. Piazzetta, uno dei suoi capolavori di poderosa resa, lavorata qui tra il 1725 e 1727; il santo innanzi al Pontefice, nel convento annesso, opera dello Stroifi, lavorata attorno al 1650: quindi tra le più antiche, a lui sacre, in Venezia.

Esistevano scuole in suo onore a S. Canciano (del clero); a S. Martino con sovvegno per maritare donzelle; a S. Gregorio (1653); nel Battistero di S. Pietro di Castello, come confraternita di canonici della cattedrale.             Nota bibliografica

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S. Francesco di Assisi.

Non si tratta il problema se il santo sia stato a Venezia e quando, data la fragilità delle prove normalmente addotte: basti rilevare che il suo culto è documentato nella chiesa francescana dei Frari con festa solenne ed ottava sin dal 1255, come da bolla di papa Alessandro IV del 29 luglio, che dà l'indulgenza, riconfermata l'anno dopo con l'aggiunta anche di S. Chiara. Tre anni prima, nel 1253, Marco Ziani, concedeva ai francescani minori la località in Vinea, nel sestiere di Castello, per erezione della chiesa intitolata al santo. Nel calendario del Messale marciano (lat. cl. 3 XLVII (= 2444) è festeggiata anche la traslatio il 25 aprile. Credo che nel corso di codesto secolo sia stata aggiunta la festa nel calendario veneto del secolo XI.

Il 29 settembre 1475, in Pregadi, si stabiliva che il 4 ottobre, dies liturgico del santo, fosse festa di Palazzo, con proibizione di aprire botteghe e di lavorare, sotto pena di cinque libbre piccole, in conformità al decreto di papa Sisto IV, che aveva elevato la festa tra le principali. Il memoriale Franco registrava: "adì 4 ottobrio: S. Francisco. Se varda". Patrono di Venezia era riconosciuto con decreto in Pregadi il 6 maggio 1648, nelle circostanze della vena di Candia, secondo il testo del decreto: "In occasione de bisogni per la guerra fu decretato che il serafico S. Francesco sia commemorato tra li Santi protettori della città e che nel suo giorno sia fatto festa di Palazzo e della città" (A.S.V. Maggior Consiglio, libro Roan, III, c. 53).

Nel corso del secondo seicento la devozione assunse peculiari aspetti con i pellegrinaggi ad Assisi, che s'imbarcavano al fontego di S. Marco la sera di S. Marina (17 luglio), e all'isola della Grazia, convento francescano, ricevevano la benedizione, come ricorda la Guida del Coronelli nel 1722. Poi durante il settecento nell'ondata laicista della Repubblica, si tentò di arginarli con il pretesto di impedire l'uscita di valuta pregiata dallo Stato. L'iconografia è assai diffusa nelle chiese: ci si limita alle due principali francescane. Alla Vigna: statua del Vittoria (1524-1608); pala con santi del Semolei (XVI sec.). Ai Frari: statua del sec. XVI sulla porta del transetto; assieme al doge Dandolo, di Paolo Veronese in tela della sacrestia; tondo nel polittico di A. Vivarini in cappella Bernardo; statuetta di L. Bregno (+ 1523) nell'ancona dell'Assunta; tra i santi francescani in pala del Licinio (1524 ca.) e statuetta vittoriesca ai lati; episodi di sua vita di A. Vicentino (XVI sec.); statuetta in acquasantiera; lunetta con la Madonna e S. Antonio sulla porta del Campanile; statuetta in ancona

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masegnesca in cappella Emiliani, in pala di Cà Pesaro con santi, di Tiziano; episodi della vita nella vetrata, di G. Beltrami (1907).

Tra le scuole di devozione citiamo quelle della Vigna (1346); ai Frari (1437). Il nome del santo era quanto mai diffuso nell'onomastica veneziana (1258: prima attestazione) delle famiglie nobili e fra il popolo con la forma ipocoristica: Checchi o Checco.   Nota bibliografica

 

S. Giovanni Nepomuceno.

Il martire boemo (+ 1393) canonizzato da Benedetto XIII nel 1729, ebbe culto intenso a Venezia subito dopo: nel 1737, l'ufficio fu concesso a tutto il territorio della Repubblica, mentre alla città solo il 20 settembre 1749, con ottava tolta poi dal patriarca Bragadin (1758-1775).

Favorirono il culto sia l'ideale sacerdotale proposto al clero, sia la devozione popolare contro i pericoli delle acque, dati i particolari della sua morte. Presente nel calendario perpetuo del 1791, tre anni dopo, con decreto del Senato del 26 aprile 1794, fu dichiarato patrono meno principale della città e del clero veneziano.

Un nucleo notevole di sua iconografia è dato nella chiesa di S. Geremia profeta, ricostruita nel 1752, dove esiste una statua del Marchiori (1696-1778) e storie della sua vita del pittore Fontebasso (1709-1769). Del Marchiori è pure la statua esterna sulla confluenza del Canalgrande con il Canale di Cannaregio, in evidente significato protettivo contro le acque, come appare sia in vicine città venete (Padova) sia nell'area trentino - tirolese (Trento, Bressanone). Altra statua del santo sui modi di G. M. Morleiter si trovava in chiesa a S. Bartolomeo e dal 1948 trasferita in Seminario. In facciata di S. Nicolò dei Mendicoli vi è una sua immagine, gustosamente spiegata dal Tassini. Particolare culto godeva nella chiesa di S. Polo sul finire del 1700; alcune confraternite di sacerdoti lo ebbero patrono. Festa il 16 maggio.   Nota bibliografica

 

S. Giuseppe.

Il culto del santo generalmente tardo nella chiesa si diffuse anche con il contributo di S. Bernardino da Siena, onde si può arguire che a Venezia sia dovuto alla sua azione durante gli anni del suo soggiorno. Comunque la festa del santo il 19 marzo si trova già nel calendario premesso al messale

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marciano lat. cl. III XLVI (= 2099) della prima metà del 1400 con dicitura: S. Joseph confessor. Alla fine del secolo nel memoriale Franco si legge: Adì 19 (marzo) san Gioseffo sposo della Madonna. Non fu mai patrono ufficiale dello Stato, non quindi festa di Palazzo, ma solo festa di chiesa sino alla soppressione decretata dalla repubblica nel 1777. Tuttavia nel calendario dei 1791 appare patrono della città, ma credo, solo sotto il profilo canonico. Nuovo vigore il culto ebbe in diocesi nel corso del secondo ottocento, nell'età leoniana: il patriarca Trevisanato nel 1874 consacrò la Diocesi al santo e poi il patriarca Giuseppe Sarto (S. Pio X) ne raccomandò la devozione ai fedeli, come fece di recente il patriarca Roncalli (Giovanni XXIII). Le chiese veneziane in suo onore sono quelle di S. Giuseppe di Castello, fondata con annesso monastero di Agostiniane nel 1512, delle Eremite a S. Trovaso eretta nel 1693 (ma in unione con Gesù e Maria); delle Carmelitane a S. Bonaventura.

La sua iconografia è assai diffusa con circa 175 esempi attuali nelle chiese della città. Oltre i 10 casi dei sec. XII-XIII, di cui 9 nei mosaici marciani, ma non come oggetto di culto, ne notiamo 78 nel sec. XVI; 29 nel XVII; 45 nei XVIII. Fra tutti, come esempio di devozione dello Stato, cito il mosaico marciano su cartone dell'Allori (1535-1607), dove il santo appare al doge Marino Grimani (1595-1605) assieme alla Vergine, a S. Gerolamo, a S. Marco, nonché la tela di Bonifazio (1487-1553), nel Collegio, del doge Nicolò da Ponte (1578) assistito da S. Marco e S. Nicolò, che chiede protezione alla Vergine che gli appare in gloria fra S. Antonio e S. Giuseppe.

Le scuole non sono numerose: la più antica è quella di S. Silvestro (1499); poi a S. Giuseppe di Castello (1530); à S. Fosca (1642), al Corpus Domini (1705, sovvegno); del Transito di S. Giuseppe a S. Baseggio (1788).

Si noti la frequenza dei santo nell'onomastica aristocratica e popolare sviluppatasi in particolare nel settecento, sotto la forma Iseppo e fra il popolo negli ipocoristici: Bepi, Bepo, Bepin.   Nota bibliografica

 

S. Marina.

Nel 1213 le reliquie della celebre santa orientale furono trasferite da Costantinopoli a Venezia, come narra il Dandolo e poste nella chiesa di S. Liberale, che in seguito assunse il titolo di S. Marina. Codesta notizia va ridimensionata di fondo: infatti in atto di sicurtà di Domenico

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Ardicio del gennaio 1120, rogato a Costantinopoli, risulta: "Iohanni Mauro alio Petti Mauri de Confinio Sancte Marine" (A.S.V. S. Zaccaria, B. 24 Perg.), consegue quindi più alta antichità del titolo. Anzi la traslatio delle reliquie a Venezia, come in casi analoghi, non lo ha determinato, ma ne fu effetto. Con sicurezza la festa è provata il 17 luglio nelle aggiunte del 1456 al Messale marciano (Cl. 3, XLV (= 2444) ripetuta anche nell'altro (Cl. 3, XLVII = 2100): infatti nel XLI (= 2099) anteriore al 1450 la festa è assente.

Fu patrona di Venezia il 25 giugno 1512 con decreto del Senato per la riconquista di Padova avvenuta il 17 luglio dell'anno prima, festa della santa, come si esprime il decreto: "Si solenizzi il dì di S. Marina ed il Doge stesso visiti annualmente quella chiesa (A.S.V. compilazione delle leggi, B., 206). Il Sanudo nel riferire il fatto nei Diari, mette in rapporto miracoloso il fatto che in S. Marina si conservavano sin dal 1405 le chiavi della città di Padova (ora traslate nelle raccolte del Seminario). Egli scrive tra l'altro: "Fu posto per il Serenissimo principe Consieri Cai di 40 et savii de Colegio che il zorno di Santa Marina, vien a dì 17 luio, nel qual zorno nostri ave la vitoria de la recuperation di Padova, che in tal zorno il serenissimo Principe vadi in procession a Santa Marina et lì aldì messa e la festa sia vardata in questa terra, et cussì si fazi etiam procession et si vardi in Padova ut in parte. Et fu presa di tutto il conseio; la copia di la parte sarà qui avanti posta". La descrizione della processione è data per esteso dal Sansovino. Nel libellus del 1602 non risulta l'ufficio della santa; c'è invece in quello del 1755. La festa ricordata nel calendario Priuli del 1599, ebbe traslazione della processione al 31 gennaio nel 1797.

L'iconografia principale era offerta nella sua chiesa, abbattuta nel 1820 dopo d'esser stata trasformata nel 1810 in osteria. Dal ritratto di Venezia del Martinelli sappiamo che era effigiata in tela di Baldissera d'Anna con la SS. Trinità e un doge, inoltre nel suo gonfalone esposto il giorno della festa, si leggeva il distico:

HANC TIBI DEBEMUS TROIANI ANTENORIS URBEM,

PRAESIDII MEMORES DIVA MARINA TUI.

Nel 1325 sussisteva un sovvegno in suo onore nella sua chiesa. Frequente il suo onomastico tra i nomi di persona veneziani in tutti i secoli; ma con preferenza nel XVI, ora è ritornato di moda, senza peraltro rapporto di culto con la santa.   Nota bibliografica

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S. Rocco

Non si sa dove il Monticolo abbia tolto la notizia di un culto veneziano di san Rocco nel 1415, a cui ora aderisce anche lo Zangirolami, che ritiene esistenti nel 1415 due piccole società intitolate al santo: una a S. Giuliano e l'altra ai Frari. Meglio si colloca il gruppo dei devoti a S. Rocco in S. Giuliano nel 1477 durante la peste di quest'anno, trasformatasi poi in confraternita il 27 marzo 1478 e riconosciuta dal Consiglio dei Dieci il 10 giugno dello stesso anno.

Il 31 agosto 1480, essa si fondeva col gruppo dei Frari originando una unica scuola. Si può supporre che il suo culto sia penetrato nella laguna dalla via di Lombardia, dati i rapporti commerciali, sebbene non sia possibile precisare in quale relazione stia il santo vogherese con il S. Rochus confessor, festeggiato a Treviso il 1 1 luglio sin dal sec. XIII.

La translatio delle reliquie nel 1485 determinò un fervore devozionale notevole, soprattutto in occasionedi pestilenze, tale da eclissare S. Sebastiano, con cui dapprima è in coppia nella pietà e nell'iconografia e poi lo sostituisce del tutto.

Contemporanea alla chiesa e scuola in suo onore ai Frari sorgeva un oratorio sacro a S. Margherita e S. Rocco in contrada di S. Samuele al posto di casa di malaffare come dice il Corner, con significato, si direbbe esaugurale, quale consacrazione contro un tipo di peste, ma per volontà della Scuola di S. Rocco.

Il santo risulta già inserito nel Missale Romanum nelle edizioni veneziane del 1481, 1483, 1493, 1497; nel Memoriale Franco, che si può datare anche negli ultimi decenni del quattrocento, è festa di precetto con la rubrica: adì 16 S. Rocco: se varda. Senz'altro nella vicina Mestre attorno al 1499 Cima da Conegliano lavorava il polittico con il santo, che appare anche nella pala di S. Marco alla Salute, di Tiziano, databile o nel 1504 o tra il 1510 e il 1512. Se attribuiamo a Giorgione la Madonna del Prado, tra i santi Antonio da Padova e Rocco, dovremmo porla prima del 1510 o forse per la peste del 1504. Anche se va assegnata a Tiziano, siamo sempre prima del 1510: utile documento di culto per S. Rocco nei primordi del cinquecento veneziano.

Dopo la peste del 1576 il doge si recava in S. Rocco, ai Frari, come ex-voto, rivestito di manto d'oro, ad udire la Messa. Ma il culto del santo era tutt'altro che pacifico. Il 14 luglio 1590, il Badoer, oratore della Repubblica presso la Santa Sede, scriveva al doge Pasquale Cicogna, di

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particolare sensibilità ai problemi religiosi, che il papa Sisto V era incerto se canonizzare ufficialmente il santo o toglierlo dal catalogo.

Nel calendario diocesano dell'anno prima (1589), figurava ancora dal 16 agosto, come in quello Priuli di dieci anni dopo (1599), per quanto manchi l'ufficio nel Libellus del 1602, essendo de Communi sin dal 1589.

Tutte codeste esitazioni determinarono certi quesiti del patriarca Tiepolo nel 1628 alla Congregazione dei Riti, che rispose per l'abolizione della festa del santo, poiché non canonizzato de more. Senonché il Senato, con rigido e severo intervento del 19 dicembre dello stesso anno, confortato da un consulto del teologo ufficiale Fulgenzio Micanzio decretava che nulla si innovasse rispetto al calendario diocesano. L'anno dopo, peraltro, la sacra Congregazione, ne permetteva la festa nelle chiese dove era onorato. Ma particolari avvenimenti dovevano far ricredere proprio il patriarca riguardo a S. Rocco. Lo scoppio della peste nel 1630 spaventò tutti. Per conseguire la protezione celeste, il Tiepolo, indisse particolari preghiere alla chiesa di S. Rocco. Al santo si riconobbe il patrocinio, poiché nel dipinto del Prudenti allusivo alla salvezza di Venezia esposto nel giorno della prima pietra della Basilica della Salute, S. Rocco era raffigurato assieme a S. Sebastiano, al b. Giustiniani, a S. Marco.

Da allora non ci furono più tentennamenti per il suo culto. Nel 1745 il suo ufficio è inserito nel Proprium del dominio Veneto; nel 1747 è concesso in particolare a Venezia; nel Menologio corneriano del 1749 il santo viene catalogato tra i santi veneziani; dal 1764 figura patrono della città, nell'elenco del patriarca Bragadin: poi nel Kalendarium perpetuum del 1791 vi si aggiunge il 1317 come anno della morte.

L'iconografia locale del santo richiede un saggio appropriato, data la intensa presenza nelle chiese, spiegabile per la funzione difensiva contro la peste. La tipologia fondamentale è quella consueta: bastone e mozzetta di pellegrino, che da lui prese il nome di sanrocchetto; piaghe evidenti in posizione frontale, per favorire la devozione per contatto, con il cane che lecca.

Mi limito alla basilica della Salute, eretta per la peste del 1630: qui oltre al sopracitato dipinto del Prudenti, sussiste nella statua dietro l'altar maggiore, assieme a S. Sebastiano. Soprattutto è notevole nella chiesa e scuola omonima presso i Frari. In facciata della chiesa: il santo in gloria, altorilievo di A. Marchiori (1696-1778); sul coronamento: statua di G. M. Morleiter (1699-1782). Nell'interno, i fatti della vita, di J. Tintoretto (1518-1594), presentato al papa; nella solitudine; cura gli appestati

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in carcere; è confortato da un angelo; risana gli ammalati; è trasportato in cielo; dipinti di A. Schiavone (1522-1563) sul prospetto della sua cassa.

Nella sacrestia: sua gloria di F. Fontebasso (1709-1769).

Nella scuola. Altare della sala terrena: statua di G. Campagna (1549-1622); lungo le pareti dello scalone: S. Rocco e gli infermi di G. Pellegrini (metà sec. XVII); con i Ss. Marco e Sebastiano protegge Venezia di P. Negri (1673). Sala superiore: pala d'altare, con sua gloria, di J. Tintoretto: episodi della vita nei dossali lignei, di G. Marchiori (1743). Ed ancora del Tintoretto: il santo in dipinto di faccia all'altare; il santo in gloria nel soffitto dell'albergo; ancora in gloria nel soffitto della cancelleria di G. Angeli (1709-1798).

Le scuole in suo onore avrebbero potuto essere più numerose: oltre quella grande (1478) ricordiamo: S. Zulian (1496); ai Ss. Rocco e Margherita (1555); a S. Canciano (1592); a S. Eufemia (1720 ca.).

Non è neppure frequente nell'onomastica né aristocratica, né popolare, forse per motivo superstizioso difensivo, data l'associazione concettuale e nominale della peste con il suo nome.   Nota bibliografica

 

S. Teodoro.

Gravi problemi si pongono su codesto patrono di Venezia: anzittutto se si tratta di un solo santo o di due omonimi, poi se davvero è stato il primo patrono della città anteriore a S. Marco, con chiesa propria.

Sussistono due Teodori nella chiesa greca, come avverte il Delehaye: Teodoro stratelates venerato l'8 febbraio e Teodoro tiro o soldato ricordato il 17 dello stesso mese. La chiesa latina invece celebra il primo il 7 febbraio e il secondo il 9 novembre. A Venezia uniformandosi al rito latino, fu festeggiato solo quello del 9 novembre, come risulta dal calendario del secolo XI e da tutti i successivi: quello di febbraio fu sempre ignorato. La sua presenza risale solo al Corner, che nel Menologio e in E.V. inserì anche nella chiesa veneziana l'omonimo di febbraio. Non c'era inoltre specificazione nel calendario veneziano se si trattasse dello stratelates o del tiro, poiché l'unica qualifica è solo quella di: Theodorus martyr. Perciò patrono di Venezia è quello di Novembre, come afferma il kalendarium perpetutun del 1791, ma seguendo la confusione indotta dal Corner, considerò patrono della città anche quello di febbraio, giustificato canonicamente da un decreto del patriarca Bragadin nel 1765.

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I resti di S. Teodoro stratelates, o di Eraclea, dalla città di Messembria nel Ponto nel 1257, dal veneziano Giacomo Dauro furono trasferiti nella chiesa veneziana di S. Nicolò d'Embolo di Costantinopoli, donde nel 1267, da Marco Dauro furono portati a Venezia e collocati in S. Salvatore, poiché lì avrebbe abitato, con una serie di fatti miracolosi secondo il consueto genere letterario. Da allora codesto santo, secondo la lectio liturgica divenne patrono della città. Ma si è osservato, prescindendo da ogni valutazione sul fatto della traslatio, che la festa è ignota sino a metà del 1700.

Invece il corpo di S. Teodoro tiro o di Amasea del Ponto sarebbe stato recato a Venezia nel 1096, coevo a quello di S. Nicolò. Si noti, che il Teodoro di cui parla la traslatio di S. Nicolò è un confessore, non un martire, come si è confuso poi.

La priorità del suo patrocinio veneziano rispetto a S. Marco è tradizione locale, presente nella coscienza nazionale, come si deduce dal decreto di istituzione della festa del 21 settembre 1450, stabilita in Pregadi (F. Corner, Menologium, 399).

Non sappiamo quando sia nata codesta opinione, sebbene sia possibile datarla al tempo della guerra di Chioggia (1377-1381): si noti che tra i patroni ufficiali dello Stato, effigiati nei mosaici marciani dell'abside centrale, risalenti al dogado del Selvo (1071-1085) egli non compare. Non risulta neppure nei riti di acclamazione dogale; neppure nella monetazione.

Si può ritenere che la notizia sia fiorita come logica conseguente della leggenda inventata dal cronista altinate-gradense, poco dopo il mille, che attribuiva a Narsete, vincitore della guerra greco-gotica del 564, l'erezione della chiesa in onore di S. Teodoro, considerato patrono delle milizie imperiali, in riconoscenza dell'aiuto avuto dai veneziani. Si sa tutto questo va respinto come favola autentica. Su questa base si volle, (e si vuole an-cora), e fu il Cattaneo tra i più accesi sostenitori seguito dal Saccardo e da tutti i simpatizzanti dell'assoluto bizantinismo veneziano, che la preesistente chiesa di S. Teodoro, esistente sull'area dell'attuale piazzetta dei leoncini, sia stata in parte abbattuta ed in parte inglobata nella fabbrica del S. Marco particiaco dell'830. Ma gli assaggi archeologi compiuti in proposito in questi ultimi anni, per merito soprattutto del Forlati, dànno una netta smentita. Oltre all'inesistenza di qualsiasi traccia di edificio antecedente contiguo, apprezzabile almeno sotto un profilo costruttivo, S. Marco sarebbe nato a pianta centrale. Di un edificio dedicato a S. Teodoro ed unito alla basilica marciana da formare un unicum solo, parla per la prima volta Giovanni diacono nella narrazione dell'incendio cittadino del 976. Egli per questo dato fu testimone oculare: quindi aveva visto e chiese ed

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incendio. Era poi davvero chiesa? o semplice sacello? Ed era nato assieme a S. Marco nell'829 o dopo?

Ma nella sottoscrizione del testamento del doge Pietro Orseolo II del gennaio 1006 risulta: Ioanni presbytero notaro nostro et vicario ecclesiae d. Theodori martyris ... Qui si parla di chiesa vera e propria. Dunque nella ricostruzione e restaurazione dopo l'incendio del 986 si conservò anche la ecclesiam di S. Teodoro.

Per il Gallicciolli poteva adempiere funzioni parrocchiali, pur servendo ai primiceri marciani. Prescindendo dalla prima supposizione, vale invece la pena di considerare la seconda. Se fu sede dei primiceri si spiega la sua topografia accanto alla basilica, cappella questa strettamente dogale, riservata al doge in senso assoluto: onde anche per questo è nata assieme a S. Marco o poco dopo. La stretta connessione con S. Marco fece sì che la rifabbrica contariniana del 1071 la inglobasse strettamente, proprio per la funzione che adempiva e che continuò ad adempiere per secoli. Peraltro sorprende che nel 1354 sia stata intitolata a S. Isidoro: prova pur questa che il santo non era patrono della città. Qualunque sia la ragione del titolo escluderei una priorità su S. Marco, soprattutto perché il testamento di Giustiniano Particiaco, così esatto nelle determinazioni topografiche dove deve sorgere il nuovo S. Marco, mantiene un assoluto silenzio al proposito. Se fosse esistita una chiesa dedicata ad un santo così celebre, così bizantino, egli tanto rispettoso della corte imperiale e così filobizantino, avrebbe potuto tacere?

A noi resta prendere atto della sua esistenza solo nel corso del secolo X. Si può cercare una ragione plausibile per giustificarne la presenza. Non penso giunga direttamente da Bisanzio, dove secondo lo Janin sussistevano sei chiese a lui dedicate: d'altronde la festa nel calendario Borgia non è per nulla bizantina, ma romana. Può darsi sia giunto nella laguna da Ravenna, come insinua anche il Pertusi, dove l'esarco Teodoro (680) innalzò una chiesa in onore del santo, per quanto il Testi-Rasponi, nel commento al testo di Agnello, ammetta solo una probabilità pel santo militare e nel calendario ravennate sia ricordato solo il 7 febbraio. Siamo comunque sempre in aspetto genericamente bizantino, come testimonia lo stesso titolo presente a Roma e nell'Italia meridionale: 1034 a Cassano Ionio, a Napoli e in Sardegna.

Si è accennato la prima documentazione del culto risale al decreto del Senato del 1450, su richiesta del vescovo di Castello S. Lorenzo Giustiniani. Nella sua giustificazione si fa presente che s. Teodoro fu patrono della città assieme a S. Marco, ma senza priorità, con l'ordine che il 9 no-

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vembre sia solenne e festa di Palazzo e di chiesa. Il vescovo da parte sua, con decreto del 12 ottobre dello stesso anno precisa l'aspetto canonico della festa con astensione dalle opere servili ed indulgenza di 40 giorni. Nel memoriale Franco risulta tale ma la rubrica precisa: se varda benché le botteghe averze ...

Dal decreto del Senato si deduce che la festa viene istituita in sostituzione della cessazione da parte della Repubblica di recare il vessillo del santo. Parrebbe quindi che S. Teodoro fosse stato simbolo politico di Venezia. Ma la notizia sulla sua esistenza rimonta a codesto decreto: prima di esso non v'è alcun dato certo. Sussisteva invece il vessillo con S. Marco, documentato con il solo santo nell'incontro veneziano del Barbarossa del 1177, e con il leone alato nel secolo XIII.

Gli accenni del "triumphale vexillum" donato dal vescovo olivolense al doge Pietro Orseolo II nel 1000, non specificano nulla: potrebbe essere quello di S. Teodoro, o quello di S. Marco, o col solo simbolo della Croce. Soltanto il Sansovino, citando un tratto del poema di Bernardo Giorgio, suo contemporaneo (1554) sostiene che il vessillo teodoriano fu smesso durante la guerra di Chioggia contro i Genovesi, poiché ingenerava confusione con il loro patrono S. Giorgio, raffigurato allo stesso modo. Tutt'al più si potrebbe ammettere, se si vuoi dar credito al racconto citato, che in questa guerra S. Teodoro sia stato assunto a patrono delle armi veneziane assieme a S. Marco, data la caratteristica di santo militare, dopo l'incremento del suo culto in Venezia seguito alla traslatio delle reliquie.

Anzi la vittoria su Genova del 1380 può aver determinato l'erezione della statua sulla colonna del molo, accanto a quella di S. Marco sussistente sin dal 1293, come ringraziamento: così si accorda meglio la data proposta di recente in armonia con la tecnica artistica del complesso più che il sansovinesco 1339. Tuttavia non si esclude che alla scelta della colonna possa aver influenzato il ricordo devozionale di Amasea, in cui sin dal secolo XI si conservava una colonna dove il santo sarebbe stato torturato.

Il santo nell'iconografia è presente in S. Marco, nei mosaici dove è effigiato accanto allo stratelates; nel Battesimo, in altorilievo del sec. XIV; nelle niellature lignee del presbiterio; ed assieme alla Annunciata e S. Marco, e alla base del ponte di Rialto.

In altre chiese veneziane va ricordato forse nella pala di Ca' Pesaro del Tiziano ai Frari, effigiato col vessillo; nella pala di Giovanni Bellini ora nell'ex chiesa di S. Basso. In S. Salvatore c'è in pala di P. Mera (1600 ca.), nelle storie del martirio di Bonifacio (1497-1553); nell'anta d'organo di F. Vecellio (1483-1560); in facciata della Scuola omonima: statua di B.

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Falcone (+ 1694). In suo onore esisteva la Scuola grande, sorta secondo il cronista di S. Salvatore assieme alla supposta chiesa narsetiana e conclusasi con l'incendio del 976, per risorgere poi nel 1258: più esattamente invece ebbe origine solo in questo tempo, mentre fu dichiarata fra le grandi nel 1552. Soppressa nei tempi napoleonici è rinata ora nel 1960 con finalità analoghe a quelle antiche. Noto scarsa presenza del santo nell'onomastica veneziana: ad esempio nell'elenco dei sottoscrittori del prestito della guerra di Chioggia e pressoché assente: prova ulteriore della non popolarità e del non patrocinio del santo.   Nota bibliografica

 

NOTA BIBLIOGRAFICA

Non si è qui trattato dei santi patroni di cui si è già parlato o di cui si parlerà, cfr. a questo proposito per San Lorenzo Giustiniani il saggio di S. TRAMONTIN nel primo volume a pp. 207-216; e per il beato Pietro Acotanto quello a p. 137 e seg.; per S. Pietro Orseolo quello di A. NIERO (ivi p. 105 a p. 105 e seg.); per S. Marco il saggio dello stesso TRAMONTIN a pp. 41-73 di questo volume; per San Magno, quello di G. MUSOLINO a pp. 87-93 del primo volume; per san Bernardino e san Pio X quelli che verranno pubblicati nel quinto.

L'elenco dei patroni attuali della città è desunto dal Proprium del Patriarcato, Roma 1915, dove è data la rubrica se principali o meno principali. Una lista di essi, con i decreti di nomina era già in F. CORNER nel Menotogium Venetum, Ecclesiae Venetae... XIII, Veneta 1749, pp. 342-418. Il catalogo completo fu riferito poi dall'Astori, sacerdote di S. Apollinare, che lo pubblicò nel Kalendarium perpetuum del 1791, con la precisa documentazione dell'anno di nomina: lavoro tanto elogiato del Gallicciolli (G. B. GALLICCIOLLI, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche, Libro II, Venezia 1795, n. 905), e ristampato poi nel 1805 (Kalendarium perpetuum ad usum Cleri Ecclesiae patriarchalis ... e nel 1853 da G. CAPPELLETTI, in Storia della chiesa di Venezia, III, Venezia 1853, p. 502 e seg., ma senza le date di nomina.

Alcune considerazioni generali, e i decreti del patriarca Bragadin sono in: G. B. GALLICCIOLLI, Delle memorie ..., libro II, Venezia 1795, p. 152 n. 903 e seg. sotto la rubrica Eortologio veneto. Elenco utile per stabilire i patroni sulla fine del 1400 rappresenta il Memoriale Franco e il Memoriale Romanesco, editi da G. GATTINONI, Il campanile di S. Marco, monografia storica, Venezia 1910, pp. 205-261, il quale ha compilato inoltre un calendario delle feste veneziane, e per i patroni ha riferito decreti governativi, desunti dall'archivio di Stato.

I due memoriali (Franco: Museo Correr, Cod. Cicogna 2711; Romanesco: Museo Correr, Cod. Gradenigo 200) sono stati redatti dai custodi del campanile di S. Marco: i fratelli Alvise e Giovanni Franco (1475-1533, ed. Alvise +1550) e Zuanne Romanesco (1563-1570). Come già rilevava il Gattinoni, il Memoriale Franco fu incominciato nel 1475 circa, anno d'inizio della custodia e completato certo nel 1550, per stabilire il modo di suonare le campane onde s'inserisce tra il calendario Borgia, di cui a p. e quelli del 1589 e successivi. Ricorre nel Franco la rubrica: Festa di Palazzo e di chiesa. Quelle di Palazzo, erano dichiarate

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tali dallo Stato, o di solito legate a vicende storiche, (ma non sempre, cfr. G. GATTINONI, Il campanile ..., p. 208) accompagnate da cerimonie civili e religiose (le diremmo feste civili); quelle di chiesa sono quelle di precetto. La rubrica: se varda indica le feste con riposo. Le feste dopo il 1759 sono date dal Protogiornale e dal 1761 dalla Temi Veneta.

Un elenco utile per stabilire i patroni durante i secoli XIV e XV è offerto dai Messali marciani ora in Biblioteca marciana lat. cl. ms. XLV (= 2444) del 1392, XLVI (= 2099) della prima metà del '400; XLVII (= 2100) forse anteriore al 1323; XLVIII (= 2291) della fine del '300. Per il periodo antecedente si parte sempre dal calendario Borgia (su cui vedi qui p. ) colmando i secoli intermedi attraverso la prova iconografica, derivata dal repertorio attualmente più stimato, quale G. LORENZ.ETTI, Venezia e il suo estuario, Roma 1955.

La documentazione delle scuole di devozione in onore dei santi è tolta da: Catastico delle Scale di Devozione ..., Venezia 1735, ora anche in appendice a C. A. LEVI, Notizie storiche di alcune antiche Scuole d'Arti e Mestieri scomparse o esistenti ancora in Venezia, Venezia 1895, completandola per certe con: Guida de' forestieri per osservare il più ragguardevole nella città di Venezia ... e col Protogiornale perpetuo del padre Coronelli (Venezia 1722).

La considerazione dell'onomastica come prova di culto del santo è scienza nuova, su cui si vede un tentativo in C. TAGLIAVINI, Un nome al giorno, Torino 1955 (p. XVII valutazioni sull'antroponimia medievale). Mancano, tranne per S. Marco, studi al proposito: (alcune ricerche condotte dall'istituto di Glottologia dell'Università di Padova non sono ancora pubblicate), onde qui si dà solo una presentazione estremamente generica. Pure per la ricerca iconografica su ciascun santo ci si è limitati agli aspetti essenziali: anche in questo settore difettano le ricerche monografiche, tranne per S. Lorenzo Giustiniani (S. TRAMONTIN, San Lorenzo Giustiniani nell'arte e nel culto della Serenissima, Venezia 1956); eppure è materia suscettibile di amplissimi interessi.

L'ANNUNCIAZIONE

La leggenda del 25 marzo e la presenza dei vescovi a S. Giacometto di Rialto è data compiutamente dal GALLICCIOLLI, Delle memorie ..., libro I, Venezia 1795, nn. 22-50, dove discute tutta la tradizione, e in libro I, nn. 430-431, dà la sua spiegazione sull'origine delle feste. In antecedenza era stata presentata da A. DANDULI, Chronica per estensum descripta in RIS n. s. Bologna 1958, pp. 353, 332, da M. SANUDO, Vitae Ducum Venetiarum, in RIS XXII, Milano 1733, col. 405; 409; da F. SANSOVINO, Venezia città nobilissima e singolare, Venezia 1581, pp. 202-203 e Cronico Veneto, ivi, p. 1, mentre la lapide in S. Giacornetto è in: D. MARTINELLI, Il ritratto di Venezia, Venezia 1684, p. 323. L'oroscopo di Venezia è spiegato invece e commentato in L. GAURICO, Opera, Basilea 1575, pp. 1584-1585, e per tutta l'interpretazione del mito della città cfr. G. FASOLI, Nascita di un mito, in Studi storici in onore di Gioacchino Volpe, I, Firenze 1958, pp. 446-476, a cui per il cinquecento si aggiunga: F. GAETA, alcune considerazioni sul mito di Venezia, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXIII (1961) pp. 57-75.

La Messa di Alessandro III in S. Marco in F. KEKR, Italia pontificia, VII, pars II, Berlino 1924, p. 141. Di recente un'interpretazione della festa è stata avanzata da R. MOROZZO DELLA ROCCA in una lezione svolta a S. Giorgio Maggiore, non ancora edita.

S. ANTONIO DA PADOVA

Una discreta documentazione sull'origine del culto in Venezia è in G. BETTIOLO, La Fradaia de Missier Santo Antonio de Padova alla "Ca' Grande" (1439). Studio di documenti inediti, Venezia 1912; l'autore stava preparando pure: Il culto di Sant'Antonio a Venezia, dalle origini ai nostri giorni, ma non lo rese pubblico. Le vicende della guerra di Candia per il voto e traslatio delle reliquie a Venezia sono in (V. Piva), Il Tempio della Salute eretto per voto de la Repubblica Veneta, XXVI-X-MDCXXX, Venezia 1930, pp. 55-66, e per documentazione d'archivio in: p. DAVIDE DA PORTOGRUARO O.F.M. CAPP., L'altare votivo della Repubblica Veneta a S. Antonio di Padova, in: Il Santo, IV (1931), pp. 1-30 dell'estratto.

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SS. ERMAGORA E FORTUNATO

Gli studi del Paschini sono: P. PASCHINI, La chiesa aquileiese ed il periodo delle origini, Udine 1909, pp. 35-41; 71, P. PASCHINI, Le fasi di una leggenda aquileise, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, VII (1954) pp. 161-184, dove si discute la tesi di R. EGGER, Der Heilige Hermagoras. Eine Kritische Untersuchung, Klagenfurt 1948, di fare del santo un martire della Pannonia (ora con aggior-namento recente: G. C. MENIS, La lettera XII attribuita a Sant'Ambrogio e la questione Marciana aquileiese, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XVIII (1964) pp. 243-244).

L'analisi sui problemi della inventio sono in: G. MONTICOLO, L'inventio e la traslatio dei SS. Ermagora e Fortunato, in Nuovo Archivio Veneto III (1892), pp. 117 e seg.

Per i decreti sinodali di Egidio e del Bondumier, cfr: Constitutiones et privilegia patriarchatus et cleri Venetiarum ..., Venezia 1668 pp. 10; 23 (non cito l'edizione cinquecentesca del Rampazzetto). Per la chiesa veneziana: R. APOLLONIO, Dei SS. Ermagora e Fortunato e della chiesa a loro dedicata, Venezia 1917.

S. FILIPPO NERI

L'unica fonte per notizie sul culto è nel Kalendarium perpetuum edito dal Gallicciolli: le altre documentazioni sono date dai repertori già citati ed in F. CORNER, Notizie ..., Parigi 1758, p. 269.

S. FRANCESCO DI ASSISI

Notizie sul culto in Venezia sono in: G. BETTIOLO, La Fradaia ..., Venezia 1912, pp. 15-46. Per i pellegrinaggi ad Assisi: in Guida dei forestieri ..., Venezia (1722) p. 105; per il nome dell'onomastica: C. TAGLIAVINI, Un nome ..., Torino 1955, p. 339.

Per l'iconografia ai Frari mi sono servito del manualetto: A. CACCIN, La basilica dei Frari in Venezia, Venezia 1964.

S. GIOVANNI NEPOMUCENO

Le questioni generali sul suo culto sono riassunte da S. MAIARELLI, in Encicl. Cattolica, VI, coll. 574-576; pel culto veneziano cfr. anche: Compendio della vita di S. Nepomuceno con divoto ottavario in preparazione alla sua festa che si celebra nella chiesa parrocchiale e collegiata di S. Paolo apostolo, Venezia 1795.

S. GIUSEPPE

La fonte principale per i decreti governativi è in: G. GATTINONI, Il Campanile ..., Venezia 1910, pp., oltre i repertori citati. Per la sua iconografia rimando al mio saggio di prossima pubblicazione: L'iconografia veneziana di S. Giuseppe. Saggio previo, in Cahiers d'Josephologie, Montrèal, (Canada).

S. MARINA

Il testo del Sanudo è dato da: M. SANUDO, I Diari, XIV, Venezia 1886, p. 417.

Per sue reliquie veneziane si veda: M. C. ROSS, G. DOWNEY, A reliquary of st. Marina at the Correr, in Bollettino dei Musei Civici veneziani, VII (1962), pp. 23-28 riportato da Byzantinoslavica, Praga, XXIII (1962) 1.

S. ROCCO

I problemi spinosi sull'identità del santo vengono riferiti e riassunti da P. FRUTAZ, in Encicl. Cattol. X, sub voce.

Per le vicende del culto veneziano in particolare si veda: G. B. GALLICCIOLLI, Delle memorie ... libro II, Venezia 1795, n. 227, e qui per consulto Micanzio p. e A. NIERO, I patriarchi di Venezia, Venezia 1961, p. 119. I dati del Monticolo sono in M. SANUDO, Vite dei dogi, in RIS, n. s. a c. di G. MONTICOLO, Città di Castello, 1911, p. 85; per lo Zangirolarni si veda: C. ZANGIROLAMI, Storia delle chiese, dei Monasteri, delle scuole di Venezia rapinate è distrutte da Napoleone Bonaparte, Venezia 1962, p. 45; per quelli più obiettivi: [A. MAZZUCCATO], La Scuola Grande e la chiesa di san Rocco in Venezia, Venezia 1957, p. 6; gli elementi liturgici del Missale Romanum sono in A. P. FRUTAZ, Due edizioni rare del "Missale Romanum", in Miscellanea Giulio Belvederi, Città del Vaticano 1954-55, pp. 63, 72. Per la prova iconografica si

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veda: Cima da Conegliano, a c. di L. MENEGAZZI Venezia 1962, p. 33; Giorgione e i giorgioneschi, a c. di P. ZAMPETTI, Venezia 1955, pp. 136, 164.

S. TEODORO

Le questioni sul culto presso i Greci sono in sintesi in H. DELEHAYE, Les légendes hagiographiques, Bruxelles 1955², p. 76; H. DELEHAYE, Sanctus, essai sur le culte des saints dans l'antiquité, Bruxelles 1927, pp. 218 (sul non valore storico della sua legenda) 219 (sull'origine di S. Teodoro stratelates sdoppiato dal tiro); ed anche: H. DELEHAYE, Les légendes grecques des saints militaires, Parigi 1909, pp. 11-43; e dello stesso: AA. SS., Nov. IV, Bruxelles 1952, pp. 11-89.

Per il culto in Ravenna: Codex pontificalis Ecclesiae Ravennatis. Agnelli Liber Pontificalis, in RIS. n. s. a c. di TESTI - RASPONI, Bologna 1924, I, Tom. II, pars. III, p. 217. Sul culto nel tema bizantino dell'Italia del sud: F. RUSSO, Storia della diocesi di Cassano al Jonio, Napoli 1964, pp. 125, 126, 218, 224.

Per la devozione in Venezia cfr. F. CORNER, Ecclesiae Venetae ..., II, Venezia 1749, p. 257 e seg. con abbondante narrazione della lipsanologia, dei miracoli e F. CORNER, De sanctis Theodoro Amaseno et Theodoro Heracleensi martyribus, Venetiarum patronis, in Nuova raccolta Calogerà: t. XIV, Venezia 1766 p. 1 (su cui cfr. E. CICOGNA, Delle iscrizioni ..., VI, Venezia 1853, p. 46). Per il Corner, patrono primo è l'Amaseno; dopo di lui appaiono tutti e due nel Calendario veneziano.

Tra i problemi archeologici sulla chiesa teodoriana preesistente a S. Marco: F. FORLATI, Da Rialto a S. Ilario, in Storia di Venezia, II, Venezia 1958, pp. 626-632, ed ottimamente, definendo enigma la chiesa di S. Teodoro di Rialto, R. CESSI, Alcune osservazioni sulla basilica di S. Maria di Torcello e sulla chiesa di S. Teodoro di Rialto, in Atti dell'Istituto veneto di S. L. ed A., CIXX (1960-61), pp. 665-674; con stretta dipendenza da Bisanzio invece: O. DEMUS, The Church of San Marco in Venice, History, Architecture, Sculptur, Washington 1960, pp. 19, 21, 22. Ora sul problema è tornato: A. PERTUSI, Venezia e Bizanzio nel secolo XI, in La Venezia del Mille, di imminente pubblicazione (p. 119 delle bozze per gentile concessione dell'A., e p. 146 per le note dense).

Dalla leggenda narsetiana ha fatto giustizia, si spera definitiva, R. CESSI, in Venezia ducale, Venezia 1963, pp. 30, 178.

Per il Chronicon di Giovanni diacono si dà la consueta edizione in Fonti per la storia d'Italia a cura di G. MONTICOLO p. 156; pel testamento del doge Pietro Orseolo II, si vede G. B. GALLICCIOLLI, Delle memorie ..., libro I, Venezia 1795, n. 440.

Le vicende del patrocinio nella guerra di Chioggia sono riferite in R. SANSOVINO, Venetia ..., Venezia 1581, p. 202 e seg., decreti del Senato e del vescovo Giustiniani, istitutivi della festa vengono dati da F. CORNER, in Menologium ... p. 399; per i problemi del vessillo teodoriano si veda: A. GORLATO, Il leone di S. Marco e Istria, Padova 1959, pp. 10, 14, 15; e meglio H. C. PEYER, Stadt und Stadpatron irn mittelaiterlichen Italien, Zurigo 1955, p. 11.

Per gli aspetti della colonna sul Molo: L. SARTORIO, San Teodoro statua composita, in Arte Veneta, 11, (1947) pp. 132-134; G. MARIACHER, Postilla a San Teodoro statua composita, ivi p. 230.

Sulla scuola o confraternita sacra al santo si veda per tutti: G. SCATTOLIN, La scuola grande di S. Teodoro, Venezia 1961. I sottoscrittori per la guerra di Chioggia sono in G. B. GALLICCIOLLI, Delle memorie ..., libro I, Venezia 1795, pp. 99-182.

 

da A. NIERO, I santi Patroni, in Culto dei Santi a Venezia, "Biblioteca Agiografica Veneziana 2", Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1965, pp. 77-98.

 

 

LINK UTILI

Il Beato Pietro Acotanto, di Silvio Tramontin | San Pietro Orseolo, di Antonio Niero

San Pio X, patriarca di Venezia, di Silvio Tramontin

La Biblioteca Agiografica Veneziana nella recensione di Paolo Zolli (1968)

 

 

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Inserito il 20 giugno 2009

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