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B. Pietro  Acotanto

di Silvio Tramontin

 

Sulla vita del b. Pietro Acotanto, vissuto nel secolo XII ci sono due filoni di tradizione.

Una, quella "benedettina", è riportata da un manoscritto del secolo XV, un piccolo codice cartaceo conservato nella biblioteca dei Padri Carmelitani di Vienna, i cui primi 6 fogli contengono una "Vita beati Petri Acotanti", e lo fa monaco a s. Giorgio maggiore, l'altra, che si potrebbe chiamare "veneziana" è fondata su un manoscritto, che era conservato nella chiesa di s. Basilio e che Flaminio Corner chiama molto vecchio (anche i codici marciani 3051 e 6796 la riportano) ed è riferita dal grande storico della Chiesa veneziana nei vari opuscoli da lui scritti soprattutto per ottenere dalla Santa Sede l'approvazione del culto e anche dopo che l'approvazione era stata concessa, e lo fa laico.

Secondo la tradizione locale Pietro nasce nel 1108 dalla nobile famiglia Acotanto, famiglia che poteva vantare antichissime origini, proveniente da Altino e poi da Burano verso Rialto, mano a mano che progrediva l'insediamento nelle isole lagunari, ai tempi delle invasioni barbariche.

La stessa chiesa della contrada in cui gli Acotanto abitavano, "San Basegio" (s. Basilio), era stata da loro edificata nel secolo X.

La famiglia non si doveva però solo distinguere per la antichità del lignaggio, per le cariche ragguardevoli occupate, (un Michele sarà governatore di Costantinopoli nel 1278), per il valor militare (un Acotanto parteciperà nel 1208 alla strenua difesa di Corfù contro i Genovesi), per le pubbliche dimostrazioni di cristiana pietà (nel 1207 un ospedale, in contrada dell'Angelo Raffaele, sarà costruito a sue spese) ma anche per la santità. E ciò per merito del beato Pietro.

Purtroppo le fonti, quelle almeno di origine veneziana, (cfr. nota bibliografica) sono piuttosto scarse e ci danno solo una documentazione generica che poi gli agiografi successivi hanno un po' arricchito con generiche descrizioni di virtù.

Ma anche a voler ritenere quello che di sicuro sappiamo su di lui, dobbiamo dire che l'osservanza dei consigli evangelici e soprattutto del distacco del mondo fu tale nel b. Acotanto da farci concludere che egli, anche in mezzo al mondo, condusse la vita propria dei religiosi.

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Sua carità

Praticò la carità in modo eminente. Nei poveri vedeva Cristo e nella elemosina una manifestazione (un sacramento, come scrive Tertulliano) di fede. Anche se tante volte la povera gente ne approfittava.

Gli assediavano la casa prima che egli uscisse (scrivono gli antichi panegiristi), custodivano la porta allorché doveva rientrarvi, gli interrompevano con importune istanze il cammino in strada, ed egli, paziente e generoso accoglieva tutti, e nessuno lasciava partire sconsolato o piangente.

I pittori hanno giustamente preferito ritrarlo vestito da patrizio con la borsa aperta in mano, pronto a distribuirne generosamente il contenuto ai poveri.

Anche un altro aspetto della sua inesauribile e inesausta carità ha formato motivo della iconografia e della panegiristica sul nostro beato: quando, e per poter arrivare a tutto, e per sfuggire al riconoscimento degli uomini, memore del detto evangelico "non sappia la tua sinistra, quel che fa la tua destra", di notte, in barchetta si recava ad aiutare i suoi poveri.

Erano, i suoi, anni terribili: di inondazioni, di incendi, di carestie. Il Dandolo, nella sua cronaca, ci ha tramandato notizie sul famoso incendio del 1149 e sul maremoto del 1164. Ma niente poteva arrestare la carità di Pietro; quella carità che era in lui un riflesso dell'amore di Dio, due parti di un tutto, due anelli di una sola catena.

"Nella notte più buia, così lo descrive il Corner, per nascondersi dalla veduta e dagli applausi degli uomini, e noto unicamente a Dio, che lo assisteva, con le sue proprie mani caricava la domestica sua barchetta di pane, di legna, d'olio, di vesti ed altre cose occorrenti alla indigenza dei miserabili e privo di ogni umano aiuto spingevala egli solo a traverso dell'acque sconvolte e sdegnate e in mezzo all'imperversare dei venti e con continuato pericolo della sua salute e della sua vita portavasi qua e là per vari lontani quartieri della città, in cerca dei poveri più derelitti e ad essi faceva una generosa distribuzione dell'abbondante carico, salvandoli in tal maniera dall'imminente sciagura di dover mancare per freddo o per fame".

Per i poveri diventa povero egli stesso. Vende tutto quello che ha; deposita come il diacono s. Lorenzo per mano dei poveri tutte le sue ricchezze terrene nei tesori celesti. Non tiene per sé neppure quanto gli basta per poter campare e nella

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sua vecchiaia deve egli stesso essere aiutato da altri, vive a sua volta di carità, e muore, povero, nell'agosto del 1187. Ma ha dato un esempio che sarà fecondo per i suoi tempi di generale decadenza, purtroppo anche nel clero, e per quelli che verranno.

La figura del patrizio generoso verrà ricordata ed imitata spesso dai veneziani. In vari tempi, numerose iniziative di bene sorgeranno nel nome del b. Pietro Acotanto a ricordare il valore cristiano dell'elemosina.

Questa la tradizione "veneziana".

 

Monaco?

Quella invece "benedettina" pur sottolineando anch'essa come virtù fondamentali del b. Acotanto il distacco dalle cose del mondo, la povertà, la carità, lo fa monaco (mentre la tradizione locale ha sempre insistito nel sottolineare il suo stato di laico, secolare), ha maggiori particolari e ne inquadra la vita nello schema dei leggendari del tardo medioevo (si ricordi che il racconto è rivolto a delle monache benedettine).

L'anno di nascita non è riportato nel manoscritto citato, ma da particolari riferimenti a fatti successivi (si racconta che egli ha 16 anni quando gli muore il padre che era andato a combattere in Terra Santa a fianco di Boemondo, re d'Antiochia) possiamo fissarlo attorno al 1110.

Ci vengono invece dati il nome del padre, Filippo, e della madre, Agnese, e si dice come ancora da bambino, gravemente ammalato, Pietro sia stato portato nella chiesa di s. Giacomo di Rialto, la prima chiesa costruita nelle lagune, secondo la tradizione, e che ivi abbia ottenuto la guarigione.

Doveva essere questo un primo segno della predilezione di Dio verso il suo servo. Secondo una consuetudine comune in quei tempi Pietro viene portato ancora ragazzo presso i padri benedettini di s. Giorgio Maggiore per ricevere una educazione cristiana che comprendesse non solo i primi elementi delle lettere, ma anche una soda istruzione alla virtù.

L'abate Tribuno lo accoglie con gioia e il giovane si dispone a fare veri progressi nello spirito. Ma quell' "otium" gioioso non può durare molto. Ha appena 16 anni quando una triste notizia gli viene portata a s. Giorgio.

Il padre che era partito nel segno della croce a combattere contro i mussulmani è morto. Ritorna allora a casa per assecondare il desiderio della buona madre che vuole che egli abbia a prender moglie per continuare la

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casata. E vuole anche sceglierne lei una adatta per suo figlio: una saggia e semplice fanciulla, originaria di Creta, di nome Maria, orfana (se vogliamo stare alla lettura che lo Zappert fa di una parola oscura ed incerta).

Ma Pietro, se ha acconsentito a interrompere la sua formazione in monastero perché ha creduto di scorgere nel desiderio della madre la volontà di Dio, non vuole certamente rinunciare a vivere anche nel mondo e anche con sua moglie per il Signore.

 

Opere di misericordia

È nella carità che si concretizza questa sua vita per Dio. La tradizione "benedettina" s'incontra qui con quella "veneziana". L'autore del manoscritto viennese ce li descrive entrambi, marito e moglie, dediti alle opere di misericordia corporale ("in cunctis operibus charitatis") sopratutto nello spezzar il pane agli affamati, nell'ospitare i pellegrini, nel vestire gli ignudi. Accoglievano i forestieri, con più amore se si trattava di monaci, come se dovessero accogliere Cristo, memori delle parole di Gesù: tutto quello che avrete fatto al più piccolo dei vostri fratelli è come l'aveste fatto a me.

Non contento di accogliere i pellegrini vuole egli stesso andare a Gerusalemme, seguendo l'esempio del padre e farsi pellegrino di Cristo: "non pugnandi sed orandi causa", non con spirito bellicoso, sia pur di crociato, ma con spirito pacifico di preghiera. E vi si reca anche a suffragare l'anima della madre morta nel frattempo.

Durante il viaggio si scatena una tremenda tempesta, ma le orazioni di Pietro vincono la forza dei marosi.

Nazareth, Betlemme e Gerusalemme, il presepio e il calvario formano oggetto delle sue visite e delle sue meditazioni. Dura ben tre anni questo pellegrinaggio e al ritorno, il beato, ha una amara sorpresa: gli è morta anche la moglie.

 

Morte da povero

Niente lo tiene ormai legato al mondo e allora egli matura anche in modo più concreto questo suo distacco. Vende tutti i suoi beni e si ritira a s. Giorgio tra i benedettini che erano stati i suoi maestri di vita.

Veste vestiti poverissimi e vuol fare i servizi più umili quali coltivare l'orticello e portar l'acqua alla cucina del monastero, attingendola a fatica

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dal pozzo vicino. Si accontenta di pochissimo cibo e sono più i giorni in cui, rifiutando anche quel poco sostentamento, vuoi fare digiuno completo. I suoi amici non lo riconoscono quasi più: solo lo sguardo luminoso è sempre il suo, quello di un'anima già vicinissima a Dio. L'esempio di virtù che egli dà ai frati è tale che alla morte dell'abate Pasquale essi lo scelgono come loro superiore. Ma egli si oppone tenacemente e la scelta, anche per suo consiglio, cade allora su Leonardo, un monaco di grande pietà e bontà, buon conoscitore di musica e di canto.

Pietro tende a salire ancora la strada della virtù. Sceglie il più perfetto ed ottiene di vivere come eremita accanto al monastero. Costruisce allora con le proprie mani una povera celletta e attraverso digiuni e penitenze mortifica il suo corpo fino a ridurlo pienamente sottomesso all'anima. E prega ed espia anche per i fratelli del mondo. Non gli sono risparmiate gravi tentazioni, ma egli sa superarle. Si prepara a morire per contemplare faccia a faccia il suo Dio. E quando sa che è vicino quel giorno raduna attorno a sé i monaci e li esorta a conservarsi buoni e ad amarsi a vicenda, a pregare e a digiunare perché solo in tutto ciò può essere la vera felicità. Quella che egli era riuscito a trovare giù quaggiù e che si avvicinava a godere per sempre e più completamente lassù. Era il 23 settembre 1187 e Pietro Acotanto diventava cittadino del cielo.

 

Divergenze e accordi delle due "Tradizioni"

Queste le due tradizioni. Ora due problemi fondamentali si pongono. Quale delle due è la più attendibile? Sono esse conciliabili?

Ci pare che una risposta sicura alla prima domanda non sia possibile.

È vero che la tradizione "benedettina" è riferita da un codice molto antico e si può far risalire a testimonianze ancora più antiche, ha riferimenti storici anche particolareggiati (questi ultimi del resto non mancano neppure in quella veneziana), ma presenta troppo il quadro delle storie di edificazione del tardo medioevo (guarigione miracolosa da bambino, pellegrinaggio in Terra Santa, sposalizio quasi forzato, continui prodigi ecc.) per non far pensare a ricostruzioni forse arbitrarie degli altri avvenimenti raccontati. E non dobbiamo non tener conto, ci pare, che nella versione locale alcuni avvenimenti sonò costantemente ignorati. Una tradizione locale, e non molto lontana dall'epoca dei fatti, pare avere d'altronde un peso notevole.

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Ci sembra però più importante constatare la quasi coincidenza delle date di nascita e di morte del beato, l'insistenza di ambedue le versioni sulla carità verso il prossimo e il distacco dai beni terreni così che, correggendole entrambe in qualche punto, si potrebbero anche conciliare col fare del b. Acotanto un patrizio educato dai benedettini, vissuto con un programma di carità ardente, e ritiratosi da vecchio, a vivere povero accanto ad un monastero. Il punto più grosso resterebbe quello della moglie ma si osservi che anche la tradizione "benedettina" lo fa sposare quasi per forza e vivere pochissimo tempo accanto alla sposa.

 

Onori dopo morto

Documentati sono invece a Venezia la fama di santità goduta dal beato Pietro, il culto a lui prestato, i miracoli compiuti per la sua intercessione, l'incorruzione del suo corpo, ritrovato tale nel 1250.

Il 23 aprile 1240 il vescovo di Venezia Nicolò Morosini lo fa riportare in chiesa (qualche tempo prima un pievano troppo zelante aveva fatto mettere il corpo nel cimitero accanto per impedire onori non autorizzati) e ne approva il culto. Un altare veniva eretto in suo onore e per un lascito antichissimo (un vecchio libro di conti registrava la somma lasciata per "che el Piovan faza la festa del Biado Piero Acotanto secondo la Santa e buona usanza facendo predicare quel santo dì"), se ne faceva recitare ogni anno il panegirico (alcuni sono conservati in antichi codici marciani).

Era perciò facile facendo leva su questi elementi e soprattutto sul fatto che il culto veniva prestato al beato più che 100 anni prima del decreto di Urbano VIII, ottenere il riconoscimento e l'approvazione del culto da parte della Santa Sede. Il senatore Flaminio Corner se ne faceva promotore, il nobile Giovanni Bragadin patriarca di Venezia ne rivolgeva richiesta a Roma, e il papa Clemente XIII, della famiglia patrizia Rezzonico, l'accoglieva concedendo il suo beneplacito nel 1759.

La festa liturgica del patrizio veneziano b. Pietro Acotanto veniva allora fissata secondo l'antica tradizione il 26 agosto e Flaminio Corner ne componeva l'ufficio e la messa propria. I benedettini invece lo festeggiano il 23 settembre.

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NOTA LITURGICA

Il corpo del b. Pietro Acotanto, assieme a quello di s. Costanzo, anconetano, ostiario del duomo, patrono dei sacrestani, riposa in una unica urna nell'altare ad essi dedicato nella chiesa dei ss. Gervasio e Protasio (s. Trovaso), dove venne trasportato nel 1821, dopo essere stato collocato, per alcuni anni (1810- 1820), in quella di s. Sebastiano, in seguito alla soppressione della chiesa di s. Basilio.

A lui è dedicato anche un oratorio pubblico nella parrocchia di s. Canciano. Un'opera di assistenza agli sfrattati venne istituita qualche decennio fa da un gruppo di studenti universitari, guidati da uno dei loro professori, in ricordo della carità esercitata dal Beato.

Il culto fu approvato soprattutto grazie all'opera e agli studi di Flaminio Corner, da papa Clemente XIII, veneziano, nel 1759 in seguito alle istanze del patriarca Giovanni Bragadin. La festa fu allora fissata il 26 agosto. L'ufficio proprio fu steso dallo stesso Corner.

Anche la messa è propria ed è costituita da testi scritturali inneggianti alla carità.

 

NOTA ICONOGRAFICA

Il b. Pietro Acotanto è dipinto nella serie dei Santi veneziani alla Madonna dell'Orto. Nella sacrestia della Fava una statua lignea settecentesca rappresenta il Beato che tiene nella sinistra il sacchetto dell'elemosina, Sulla facciata di s. Rocco, a destra, nell'ordine superiore, vi è la statua di Giovanni Maria Morlaiter. Un'incisione riportata da Flaminio Corner nelle Ecclesiae Venetae, mostra il Beato in abiti patrizi che tiene nella sinistra un sacchetto e nella destra una moneta. Un'altra incisione del Settecento di Giovanni Pitteri e Pietro Novelli ripete i caratteri iconografici precedenti e aggiunge alcuni poveri che circondano il Beato. Un'incisione del Rizzi e altre incisioni anonime sono premesse a vari opuscoli pubblicati nel Settecento. A s. Luca un dipinto murale mostra il Beato in una barca intento a distribuire il pane ai poveri. Nella sacrestia di s. Trovaso un ritratto di scuola veneta del secolo XVIII e una ripetizione, con l'aggiunta di qualche variante eseguita nei primi anni dell'Ottocento, riproducono i caratteri iconografici tradizionali e più comuni del Beato in abiti patrizi col sacchetto e la moneta. Pure a s. Trovnso, nel 1887, G. Fusaro scolpì il medaglione marmoreo col busto del Beato. Nella chiesa di s. Maria della Visitazione, detta della Pietà, una pala piazzettesca di F. Daggiù detto il Cappella lo raffigura con altri santi accanto alla Vergine.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA

Il codice citato del secolo XV contenente la tradizione benedettina, composto da un monaco (c. 1) e trascritto da una monaca poco letterata (ci sono infatti moltissimi errori, alcuni che rendono in certi punti incomprensibile lo scritto, e un brano è stato probabilmente omesso), si rifà ad un testo precedente scritto da un monaco Leone, a testimonianze orali di contemporanei ed è arricchito da passi della Scrittura e dei Padri.

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È stato pubblicato con la traduzione tedesca e note da Giorgio Zappert a Vienna nel 1839.

A. M. ZIMMERMANN, Kalendarium Benedictinum, III, Vienna 1937, pp. 93-94; la riferisce sotto il 23 settembre, giorno in cui la tradizione benedettina ne celebrava la festa.

La tradizione veneziana è riportata da F. CORNER, Ecclesiae Venetae ..., I, Venezia 1749, pp. 94-99 da un antico manoscritto conservato nella sacrestia della chiesa di s. Basegio (s. Basilio), riportato dai Bollandisti (AA. SS. Septembris VII, Anversa 1757, pp. 651-654). Il Corner raccolse anche la documentazione per ottenere l'approvazione del culto. Cfr. Acta pro approbatione cultus et pro concessione officii B. Petri Acotanti confessoris nobilis veneti ad S.S.P. et D. Clementem papam XIII edito nella Nuova raccolta di opuscoli scientifici e filologici a cura di A. Calogera, X, Venezia 1763, pp. 1-51.

Lo stesso Corner è anche autore delle Memorie spettanti alla vita del beato Pietro Acotanto, patrizio veneto secolare, Venezia 1753, del Breve ragguaglio della di lui vita premesso alla Festa del beato Pietro Acotanto, delle Regole per l'istituzione di una divota compagnia in onore del b. Pietro Acotanto, Venezia 1763, dell'Esercizio divoto di nove giorni in apparecchio alla festa del b. Pietro Acotanto, Venezia 1761, e dell'ufficio proprio dello stesso Beato.

Per la tradizione veneziana vedi pure i codici marciani latini 3051 e 6796. Una breve biografia del Beato è in J. BAUDOT - E. CHAUSSIN, Vies des Saints et des Bienheureux, IX, Parigi, pp. 475. Nella tradizione "veneziana" sono anche i Tre panegirici del beato Pietro Acotanto, recitati per il VII centenario della sua morte, Venezia 1887, da D. Zarpellon, F. Cherubin, J. Bernardi.

 

da G. MUSOLINO - A. NIERO - S. TRAMONTIN, Santi e Beati veneziani. Quaranta profili, "Biblioteca Agiografica Veneziana 1", Venezia, Edizioni Studium Cattolico Veneziano, 1963, pp. 137-144.

 

 

LINK UTILI

Proprium Missarum pro Venetiarum Patriarchatu, B. Petri Acotanto Confessoris Venetiarum Patroni

San Pietro Orseolo, di Antonio Niero

I patroni di Venezia, di Antonio Niero

San Pio X, patriarca di Venezia, di Silvio Tramontin

La Biblioteca Agiografica Veneziana nella recensione di Paolo Zolli (1968)

 

 

 

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Inserito il 25 agosto 2009

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