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La forma straordinaria:
un tesoro per tutta la Chiesa

Intervista con il card. Raymond Leo Burke

dell’abbé Claude Barthe

 

Don Claude Barthe: Eminenza, il 7 luglio 2015 è l’anniversario del Motu proprio Summorum Pontificum. È esagerato affermare che questo testo sia particolarmente indicativo del pontificato di Benedetto XVII?

 

Cardinale Raymond Leo Burke: Direi che in effetti è, in un certo senso, l’espressione più alta del pensiero del cardinale Ratzinger, divenuto poi Benedetto XVI. Mostra ciò che ha rappresentato per lui la comprensione del concilio Vaticano II. Perché sfortunatamente, in seguito al secondo concilio ecumenico del Vaticano, ma certamente non a causa degli insegnamenti del Concilio, si sono verificati numerosi abusi, in particolar modo nella sacra liturgia. Si vede come nella Lettera apostolica Summorum Pontificum è stata trovata dal Papa una forma giuridica che stabilisce un legame organico fra il nuovo e l’antico, tra la forma ordinaria e quella straordinaria.

 

CB: Questo testo è arrivato dopo cinquant’anni di crisi liturgica, della quale Lei ha parlato nel Suo contributo al convegno Summorum Pontificum, il 13 giugno 2015 a Roma, dicendo che, dal 1970: “il cavallo si è imbizzarrito”. Il Motu proprio riuscirà ad aprire una strada nuova per la risoluzione di questa crisi?

 

Card. Burke: Sì, certamente. Benedetto XVI ha vissuto molto dolorosamente tutta la crisi liturgica, come ha raccontato nella sua autobiografia (La mia vita, San Paolo Edizioni 2005). Nella Lettera ai vescovi, che accompagna il Motu proprio, ha fatto cenno a questa sua esperienza: “in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni”. Restituendo al culto la liturgia sacra che è stata celebrata per un millennio e mezzo nella Chiesa romana, papa Benedetto XVI ha consentito di procedere alla correzione degli abusi e al contempo ha consegnato un riferimento essenziale per l’arricchimento della forma ordinaria.

 

(...)

 

C.B: Restituendo alla messa la sua condizione tradizionale, quella del messale del 1962 di Giovanni XXIII, Papa Benedetto ha dunque voluto mettere questo riferimento a disposizione di tutta la Chiesa?

 

Card. Burke: Sì. Dobbiamo guardare a questa forma straordinaria come ad un tesoro conservato dalla Chiesa romana nel corso dei secoli. Questo rito è, in sostanza, identico a quello di Gregorio Magno.

 

C.B: ... ed è oggi particolarmente adeguato all’azione della Chiesa: Lei insiste spesso sull’applicazione dell’adagio lex orandi, lex credendi alla nuova evangelizzazione o ri-evangelizzazione.

 

Card. Burke: La lex orandi è sempre legata alla lex credendi. Secondo la maniera in cui l’uomo prega, bene o male, egli crede, bene o male, ed egli si comporta, bene o male. La sacra liturgia è assolutamente il primo atto della nuova evangelizzazione. Se noi non adoriamo Dio in spirito di verità, se noi non celebriamo la liturgia con la più grande fede possibile, specialmente nell’azione divina che si svolge nel corso della messa, allora non possiamo avere l’ispirazione e la grazia necessaria per partecipare all’evangelizzazione. La sacra liturgia contiene la forma stessa dell’evangelizzazione, nella misura in cui essa è un incontro diretto con il mistero della fede, che noi dobbiamo favorire per le anime che Dio ci avvicina.

 

Essa può anche guidare verso la conoscenza dei misteri della fede, proprio attraverso sé stessa. Se la liturgia è celebrata in modo antropocentrico, se non si tratta che di una semplice attività sociale, essa non può avere un impatto durevole sulla vita spirituale. Uno dei modi per riportare gli uomini alla fede, è quello di rendere dignità alla liturgia. Celebrare una messa con venerazione ha sempre attirato gli uomini verso il mistero della redenzione. Penso infatti che la celebrazione della messa nella forma straordinaria possa avere un ruolo molto importante nella nuova evangelizzazione, per via dell’importanza data alla trascendenza nella liturgia. L’azione di Cristo attraverso i segni del sacramento, attraverso i sacerdoti, strumenti di Cristo, è evidentissima nella forma straordinaria. E, d’altra parte, ci aiuta anche ad essere più rispettosi nella celebrazione della forma ordinaria.

 

Tutti vedono la necessità di quest’evangelizzazione in questo mondo che vive oggi come se Dio non esistesse. È importante legare questa nuova evangelizzazione alla celebrazione, la migliore possibile, della liturgia. Ho incontrato molte persone atee o non cristiane alle quali ho visto sperimentare la presenza dell’azione di Dio attraverso la conoscenza della messa nella forma straordinaria. E, in seguito, quest’esperienza ha permesso loro di ricevere l’insegnamento della religione. Gli uomini devono capire che il sacerdote agisce in persona Christi. Devono capire che è Cristo stesso che scende sull’altare per rinnovare il sacrificio della Croce. Devono capire che è necessario unire il proprio cuore al Suo Cuore trafitto, per purificarlo dal peccato e far crescere dentro di sé l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Dobbiamo dunque catechizzare gli uomini con le profonde realtà della messa, in particolare attraverso la forma straordinaria del rito romano.

 

C.B: A proposito del rapporto fra la dottrina e la liturgia, notiamo spesso che i seminaristi che sono attratti dalla forma straordinaria, sono anche desiderosi di conseguire una preparazione teologica particolarmente strutturata. Bisogna dire che in Francia la forma tradizionale attira molti seminaristi.

 

Card. Burke: Ma anche in Germania, negli Stati Uniti e in Italia. Si diceva che gli Italiani non fossero attirati dalla liturgia tradizionale: è assolutamente falso. Per i seminaristi, quando ero arcivescovo di Saint Louis, e Benedetto XVI promulgava il Summorum Pontificum, ho immediatamente chiesto che nel seminario tutti fossero istruiti sulla forma straordinaria, sul rito, sulla sua spiritualità e che fosse celebrata una volta alla settimana. Ho chiesto anche che i seminaristi che avevano le capacità per imparare il latino fossero formati per celebrare nella forma straordinaria. Queste nuove regole sono state ben accolte e mi sembra che abbiano prodotto dei buoni frutti nell’arcidiocesi.

 

C.B: Dunque, questa messa piace ai giovani.

 

Card. Burke: Sì. Papa Benedetto XVI diceva ai vescovi che mentre si era immaginato che la richiesta della messa antica riguardasse solo la generazione più matura, si vedeva però sempre più chiaramente che delle persone più giovani scoprivano questa forma liturgica, si sentivano attratte e vi trovavano una forma di incontro con il mistero dell’eucaristia che gli si confaceva particolarmente. Anch’io, quando celebro la messa tradizionale, vedo assistere molte famiglie belle e giovani e con molti figli. Io non penso che quelle famiglie non abbiano problemi, ma è chiaro che così si sentono più forti per affrontarli. Io sono sempre stato colpito dalla quantità di giovani che sono attratti dalla forma straordinaria della messa. E questo non perché la forma straordinaria sia più valida di quella ordinaria. Sono attratti perché è molto articolata e cattura l’attenzione su ciò che sta per avvenire presso l’altare.

 

(...)

 

Brani da una intervista inedita che uscirà nel volume di prossima pubblicazione R. L. Burke, La Sainte Eucharistie, sacrement de l’amour divin (Versailles, Via Romana), tradotti e pubblicati da it.paix-liturgique.org

 

 

 

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Inserito il 13 luglio 2015

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