Messe latine antiche nelle
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I
laici nella Chiesa: equivoci ed errori Pensiero conclusivo alla XXX Giornata di preghiera e di studio degli Amici di Instaurare, Fanna 21 agosto 2002 di don Ivo Cisar |
Il Concilio Vaticano II
ha mirato al potenziamento dei laici. Purtroppo è stato
versato il vino nuovo - e poi neanche tanto nuovo - in
otri vecchi (Mt 9,17) di una concezione della Chiesa che
veniva identificata, nella mentalità corrente, con la
gerarchia. Secondo lo schema, coniato tardivamente dal
card. Suenens per un concilio che, rigettati i risultati
dei lavori prepratori, è stato in qualche modo
improvvisato, "Chiesa ad intra" e "Chiesa
ad extra", i laici si sono messi in concorrenza con
il clero all'interno della Chiesa (negazione
dell'organicità) e si sono posti in un atteggiamento di
adeguamento al mondo all'esterno. È stata fraintesa
l'espressione biblica, non sociologica, "popolo di
Dio", e la funzione dei laici che spesso si sentono
un "clero diminuito", privato di qualcosa,
mentre i laici sono cristiani, in quanto battezzati,
consacrati, appartenenti a Dio, in senso pieno; il clero
è al loro servizio, che non è servilismo, per attuare
con i poteri di Cristo, Capo della Chiesa, il loro
sacerdozio comune. Il laico si commisura non con il
clero, clericalizzandosi, fino a pretendere la "corresponsabilità"
e i "ministeri laicali", fino a coltivare la
"teologia per laici" e pretendere laici
teologi, ma con il mondo al quale deve testimoniare
Cristo. Anche il termine "testimonianza" è
frainteso: si testimonia prima di tutto con la parola; il
testimone è colui che ha visto, conosce, sa, e riferisce
sotto giuramento. Alla testimonianza deve corrispondere
anche la vita, ma non è la vita dei membri della Chiesa,
peccatori, in via di santificazione (LG 8), che fonda la
fede, bensì la parola, parola di Dio - un altro termine
frainteso perché inteso da molti limitatamente alla
Scrittura (protestanti), mentre designa anche la
predicazione e l'apostolato - la fede non nei cristiani
ma in Cristo unico salvatore (At 4,12). Devo dire, per esperienza, che il laicato non ha corisposto pienamente alle attese e all'insegnamento del Concilio Vaticano II. Molti laici pretendono di comandare nella Chiesa, anche il clero, mentre siamo Chiesa per santificarci. E poi molti laici, anche tra quelli appartenenti ai Gruppi di preghiera e ai vari movimenti, difettano di apostolato e di opere di misericordia. Persone che si comunicano anche ogni giorno, incapaci di apostolato, di visitare i malati e così via. Nei vecchi manuali per l'insegnamento di religione si leggeva che la religione consta di culto, di verità o dottrina o dogmi, e di morale o legge; nell'ecclesiologia sta che i fedeli cattolici sono legati con il vincolo simbolico o di professione di fede, con quello liturgico e con quello disciplinare (cfr. LG 14). La stessa cosa viene espressa con i termini popolo sacerdotale, profetico e regale. Vale per la Chiesa intera, compresa la gerarchia. In particolare i laici devono esercitare, mediante il ministero sacerdotale, il loro sacerdozio nel culto, adorando Cristo Dio e in Lui e nello Spirito Santo il Padre, e così santificandosi. Agiscono come popolo profetico, quello cioè che parla a nome di Dio le parole di Dio, diffondendo la verità, facendo conoscere Cristo, Verità che conduce al Padre, mediante l'apostolato al quale sono abilitati grazie al sacramento della confermazione o cresima, il quale è religioso o di evangelizzazione, caritativo e temporale, includendo anche la politica (AA 6,8,7); difatti, siamo anche popolo regale, cioè popolo che fa regnare Cristo (cfr. 1Cor 15; instaurare omnia in Christo, Ef 1,10; oportet illum regnare, 1Cor 15,25, - difatti per regno è da intendersi la regalità cui tutti devono sottomettersi, 1Cor 15), quindi Dio (insisto su Cristo Dio, contro ogni livellamento del cristianesimo a un semplice monoteismo pari all'ebraismo o all'islam) conformando la vita privata e pubblica alla fede, alla legge di Cristo, alla sua morale. Tra le opere di misericordia corporale e spirituale vi sono quelle di insegnare le verità di fede e di ammonire i peccatori; c'è la carità della verità. Ma anche pregare per gli altri, l'attuazione, la messa in pratica di quel che sostiene il periodico "Instaurare", il bisogno della grazia divina, da implorare continuamente in preghiera. Stiamo essenzialmente in rapporto con Dio, e questo rapporto è dato dalla grazia e dalla preghiera. Alla base sta la fede che non è solo un sentimento, né opinione soggettiva, ma è adesione alla Rivelazione divina, in Cristo, di Dio Uno e Trino, fede precisa, "sana dottrina" (vedi lettere pastorali di san Paolo). L'oggettività, e quindi l'assolutezza della verità, è data dal rapporto con Dio in Cristo. Tenendo presente la struttura trinitaria del Credo, lo professiamo solennemente. |
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