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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III. La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Giovedì dopo le Ceneri

 

 

Missale Romanum

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GIOVEDÌ   DOPO  LE  CENERI

Colletta a San Nicola in Carcere.

Stazione a San Giorgio in Velabro.

 

La basilica di San Nicola sorge nell'antico foro olitorio presso il teatro Marcello, e nel medio evo, a cagione della sua posizione centrale, divenne assai celebre e fu eretta a diaconia.

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La stazione a San Giorgio venne istituita da san Gregorio II, quando il culto verso questo megalomartire orientale era divenuto in Roma veramente popolare. Il titolo apparisce già eretto nel 482, giacché un'epigrafe di quell'anno ricorda un Augustus lector de Belabru; ma la dedicazione dell'aula al Martire orientale San Giorgio è certamente posteriore.

L'odierna lezione evangelica del Centurione di Cafarnao, allude al carattere militare attribuito a san Giorgio dalla tradizione, tanto che nel medio evo questo Santo fu invocato specialmente come il difensore armato della famiglia cristiana.

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L'introito deriva dal salmo 54: "Al grido della mia preghiera Iahvé ascoltò la mia voce tra coloro che mi assediavano; Colui che è innanzi ai secoli e rimane per tutta l'eternità li riempie d'onta. Rimetti a Iahvé la tua sorte, che Egli ti provveda".

La colletta supplica il Signore offeso dal peccato, ma che pur si placa a cagione della penitenza, ad accogliere le preghiere d'un intero popolo supplicante, allontanando quei flagelli che gli uomini avrebbero bensì meritati colle loro colpe,

L'odierna messa composta sotto Gregorio II, è tutta un centone di canti e di lezioni d'altre sinassi, adattate a quella d'oggi. La scena di Isaia che predice al re Ezechia la sua prossima fine (Is. XXXVIII, 1-6), era abbastanza popolare nell'antichità, e la vediamo altresì riprodotta in pittura nella vicina basilica di Sancta Maria antiqua al Foro Romano. Siccome essa non sembra d'essere in relazione con san Giorgio, può darsi che contenga invece qualche allusione alla storia di Gregorio II, il quale, per esempio, scampato prodigiosamente a qualche malattia mortale, ma angustiato ancora dalle minacce d'assedio da parte dei Longobardi, avrebbe istituito le stazioni dei giovedì di quaresima, paragonando precisamente il caso suo con quello di Ezechia minacciato da malattia mortale, nel tempo stesso che di fuori l'esercito assiro stringeva Gerusalemme.

Certo però si è che, mentre a Roma verso il terzo decennio del secolo VIII si leggevano queste parole: "Io ti scamperò dalle mani del re degli Assiri e libererò questa città", il pensiero dei cittadini doveva volare a Liutprando e alla sua "nefandissima gens langobardorum", come allora i Romani chiamavano gli avversari i quali stringevano d'assedio la capitale del mondo.

All'annunzio della vicina morte Ezechia, benché giusto e pio, piange, perché la morte è uno stato violento, una pena che ripugna

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alla natura. Piange, inoltre, perché nessuno senza la penitenza deve osare di presentarsi al giudizio di Dio. Iddio accoglie la sua preghiera e gli concede una dilazione di tre lustri; non già che la presente vita mortale sia un dono più prezioso della gloria eterna; ma perché gli anni di questo viaggio terreno rappresentano un tempo pregevole per seminare frutti di vita eterna, da raccogliersi poi nella gloria. Chi più fatica e semina, più raccoglie e più glorifica il Signore in Cielo.

Il responsorio graduale è in intima relazione, non solo colla lezione, ma anche con l'introito, tanto che molte volte, specialmente nelle domeniche dopo Pentecoste, questi due canti antifonici derivano da uno stesso salmo. Il graduale di oggi proviene precisamente dal salmo introitale 54: "Rimetti a Iahvé la tua sorte ed egli ti provvederà. Al mio grido, in mezzo ai miei assalitori, Iahvé ascoltò la mia voce".

La lezione evangelica (Matth.VIII, 5-13), col racconto del Centurione che si stima indegno d'accogliere Gesù sotto il suo tetto, ma lo prega di dire almeno una parola perché il suo servo risani, prelude alla vocazione dei Gentili; i quali, pur essendo lontani dal Messia per stirpe, per istituzioni, per patria, in grazia però della fede nella di lui divinità entrano a parte dei privilegi degli Abraamiti, ed impetrano salvezza. L'esempio di questo Centurione, come pure di san Giorgio, ambedue dediti ai gravi pesi della milizia, in un ambiente troppo spesso libero alla sfrenatezza delle passioni, dimostra che la virtù non è privilegio di casta, come pretendevano i superbi farisei, e che invece l'umile confidenza di un povero Centurione gentile riesce egualmente gradita al Signore, quanto quella di Matteo e di Nicodemo.

L'offertorio è quello della prima domenica d'Avvento (salmo 24), con una sublime elevazione a Dio, nel quale l'anima ripone ogni sua confidenza, mentre vieppiù l'incalzano i suoi nemici.

La colletta è quella del sabato dei IV Tempi: "Riguarda propizio, o Signore, questo sacrificio, affinché riesca d'incremento alla nostra pietà e pegno di salvezza".

L'antifona ad Communionem turba la serie di questi canti eucaristici, giacché dovrebbe esser tolta dal salmo 2. Invece, siccome la messa di questo giovedì è di sovrappiù, così il Communio oggi derivasi dal salmo 50, riservando poi il secondo salmo a domani: "Sul tuo altare, o Signore, accoglierai il sacrificio di un cuore mondo, le oblazioni e gli olocausti".

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La colletta di ringraziamento ha uno squisito sapore classico, che necessariamente in gran parte si perde nella versione italiana: "Dopo partecipato al dono benedetto del cielo, ti supplichiamo, o Dio onnipotente, perché questo pane sia al tempo stesso il segno visibile del Sacramento e la cagione della nostra eterna salvezza".

La benedizione sopra il popolo ha un carattere spiccatamente penitenziale. Trattasi dei Romani colpiti dalla fame, dalla guerra, dal contagio: "Perdona, o Signore, perdona il tuo popolo, che ora giustamente tu punisci coi tuoi flagelli; perché in grazia tua possa risollevarsi e respirare".

Il pensiero della morte è un potente stimolo che ci induce a mutar vita. Così il pio Ezechia, non appena sentì che era tempo acconciare le cose sue perché era vicino a morire, si rivolse verso la parete che separava l'aula regia dal tempio, e versò amare lagrime di contrizione. Quando dai cristiani si riflettesse che il passaggio da questo mondo all'eternità avverrà all'impensata, e che, al dir dell'Apostolo, è terribile cadere nelle mani del Dio vivente, quanto più potente si sentirebbe il bisogno d'implorare spatium verae penitentiae, e di compierla risolutamente!

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 46-49.

 

 

 

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