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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III. La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Feria IV dei IV Tempi di Quaresima

 

 

Missale Romanum

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FERIA  IV  DEI  IV  TEMPI  DI  QUARESIMA

Colletta a San Pietro in Vincoli.

Stazione a Santa Maria Maggiore.

 

Veramente il parlare di IV Tempi in quaresima, sembra cosa del tutto superflua, perché i tre giorni di questa settimana consacrati al digiuno IV Temporum rientrano semplicemente nella serie della sacra quarantena e non se ne distinguono punto. Infatti, le antiche fonti romane ci parlano del digiuno del IV, VII e X mese, ed il Pontificale narra di papa Callisto: Hic constituit ieiunium die sabbati ter in anno fieri [1] senza dir nulla dei tre digiuni delle Tempora di Marzo.

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La quaresima era un digiuno a parte e non rientrava punto nel ciclo III Temporum, a meno che la prima settimana di questi Quattro Tempi non si fosse fatta coincidere colla quinquagesima, o che l'attuale fissazione del digiuno nella sesta settimana prima di Pasqua non dati da un tempo quando il digiuno pasquale cominciava solo tre settimane prima della grande solennità. In conclusione, o il digiuno di queste Tempora in quaresima è un'appiccicatura priva di speciale significato, o bisogna trovar loro un posto fuori del digiuno pasquale.

Anche le ordinazioni mense martio non sono primitive; la prima volta che se ne discorre è in una lettera di papa Gelasio I ai vescovi della Lucania [2], mentre ai tempi di Leone I erano permesse il primo giorno di Pasqua [3].

Comunque sia, a Roma è di rito che nella feria IV precedente la sacra cerimonia, gli scrutini dei candidati al sacerdozio si compiano nella basilica Liberiana, ove si tiene perciò la stazione, quasi a porli sotto il patrocinio di colei che Proclo di Costantinopoli salutò: O templum, in qua Deus sacerdos factus est.

La basilica Liberiana sulla cima dell'Esquilino, in origine venne adattata da papa Liberio dentro un'aula classica, che toglieva il nome da Sicinino; onde Ammiano Marcellino la chiama senz'altro: basilica Sicinini. A tempo di Damaso, essa fu occupata dagli scismatici del partito d'Ursicino. Sisto III la fece restaurare e decorare di mosaici rappresentanti la vita della Vergine; e forse data anche dal suo tempo l'erezione dell'oratorio del Presepe, minuscola riproduzione romana del santuario della natività di Betlehem. Sotto l'altare maggiore è il corpo di san Mattia e quello di sant'Epafra, discepolo di san Paolo a Colossi.

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L'introito è oltremodo mesto, ma pieno di fiducia, e l'arte del compositore gregoriano ha saputo trasfondere stupendamente questo stato d'animo nella melodia dell'antifonario. Il testo è derivato dal salmo 24: "Ricordati delle tue misericordie, o Signore, e dell'eterna tua compassione. Deh! che non prevalgano mai i nostri nemici. O Dio d'Israel, ci libera da ogni angustia".

Dopo la prece litanica, il diacono invita l'assemblea a prostrarsi a terra: - flectamus genua -; indi, dopo una breve preghiera che ognuno fa per suo conto, il medesimo levita avverte di levarsi, - levate - perché il sacerdote possa riassumere nella colletta - ecco il vero significato di questa parola - i voti di ciascuno per presen-

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tarli a Dio. Ecco il testo della colletta d'oggi: "Accogli pietosamente, o Signore, le nostre preci, e distendi la tua potente destra contro tutti i nostri avversari".

Il digiuno della sacra quarantena e la catechesi agli aspiranti al battesimo rievocano il ricordo dell'Oreb (Ex. XXIV, 12-18), quando cioè Mosè si trattenne quaranta giorni in digiuni e colloqui con Iahvè sulle vette granitiche del Sinai, affine di ricevere da lui le tavole della Legge.

Solitudine, preghiera, digiuno, nubi, fuoco, lampi dovevano purificare colla penitenza e l'umiltà l'animo del grande duce degli Israeliti, ed incutere in questi un gran timore di Dio ed un altissimo concetto della trascendenza e santità di Iahvè. Eppure, sul Sinai fu solo un angelo che sostenne l'ufficio di nunzio di Dio. Quale santità non richiederà dunque da noi il ministero del sacro altare, dove non già l'ombra, ma si contiene la realtà stessa dei misteri prefigurati nell'Antica Legge?

Il responsorio graduale è tratto dal salmo 24, come l'introito: "Sono accresciute le ambascie del mio cuore; toglimi, o Signore, dalle mie pene. Riguarda la mia pochezza e i miei stenti, e mi perdona le mie colpe".

Segue la seconda colletta, che però fa un'unica cosa colla lezione precedente e col graduale, di cui è come la conclusione: "Riguarda benigno, o Dio, la pietà del tuo popolo; onde l'anima rinvigorisca, arrecando copioso frutto di buone opere, mentre il corpo dimagrisce per il digiuno".

Nell'inno notturno di quaresima noi cantiamo a proposito del sacro digiuno:

Lex et Prophetae primitus
Hoc praetulerunt ...

Dopo Mosè, la Legge, viene Elia, il Profeta per eccellenza. - Elia, in un momento d'ineffabile angoscia, sente tutto lo sconforto dell'isolamento e delle persecuzioni di Iezabel; ma, rinvigorito dal pane subcinericius del digiuno e dalla grazia, sostiene la fatica d'un'intera quarantena, che trascorre sul sacro monte donde prima fu promulgata la legge (III Reg. XIX, 3-8). Questo cibo portentoso che rinfrancò il Profeta, prefigurava il pane Eucaristico, vero azzimo di mortificazione, che fa germinare, come dice la Scrittura, dei pensieri verginali e solleva l'anima sulla vetta del Calvario.

Il tratto è tolto dal medesimo salmo 24, come di regola nelle messe più antiche, in cui un identico salmo fornisce tutti i canti, sia antifonici, che responsoriali.

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È da notarsi che oggi il tratto, separato dal responsorio graduale, è veramente a suo posto, dopo, cioè, la seconda lezione: "Liberami, o Iahvè, dalle mie angoscie; vedi la mia miseria e i miei travagli, e perdona tutte le mie colpe. Iahvè, a te sollevo l'animo mio; Dio mio, in te m'affido, deh! che io non sia disonorato e che non esultino sopra di me i miei nemici. Non saranno confusi, no, quelli che sperano in te; saranno invece svergognati tutti quei che indarno si ribellano".

Oggi che la stazione è nella principale basilica mariana di Roma, il santo Vangelo (Matth. XII, 38-50) con un'allusione assai delicata e molto profonda alla Madonna, fa rilevare la sua santità e l'unione intima che congiunge il cuore della Madre a quello del suo divin Figlio. Questi era intento ad ammaestrare le turbe, quando l'avvertono che fuori c'era la Madre e i cugini che lo cercavano. Gesù approfitta della circostanza, per insinuare che le virtù interiori e l'assoluta soggezione al beneplacito divino, ci uniscono a Dio assai meglio, che non i semplici legami d'una parentela carnale.

L'offertorio è tratto dal salmo 118: "Mediterò i tuoi comandamenti, dei quali sommamente mi diletto. Porrò mano ad eseguire i tuoi precetti, nei quali ritrovo tanto conforto".

La secreta sull'oblazione è la medesima che nella V domenica dopo l'epifania.

L'antifona per la Comunione è derivata dal 50 salmo: "Intendi al mio grido; rivolgiti alla voce del mio dolore, mio re e mio Dio; perché io a te supplico, o Iahvè".

Ecco la bella colletta eucaristica: "La partecipazione del tuo Sacramento, o Signore, valga a purificarci dalle più intime colpe e a liberarci dalle ostili insidie".

La colletta sul popolo torna ad insistere sulla necessità del lume divino per scoprire tutta la malizia che si cela nelle latebre della nostra coscienza: "Il raggio del tuo splendore illumini le nostre menti, onde possiamo conoscere ciò che è a farsi, ed abbiamo vigore d'eseguire quanto è retto".

È proprio d'ogni età frivola ed incredula, com'è la nostra, di manifestare una certa qual curiosità d'esperienza religiosa, come la chiamano; la quale però, a cagione delle cattive disposizioni d'animo, se 'pur rammollisce il cuore, non giunge però mai a ricondurlo sinceramente a Dio. Simili generazioni incredule che, al pari d'Erode

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nella passione di Gesù, cercano il supersensibile, l'emozionante - oggi è tornato di moda lo spiritismo, il teosofismo ecc. -, il miracolo, quasi a sfogo del loro morboso prurito di curiosità religiosa, la sbagliano interamente. Iddio si cela ai curiosi e alle indagini superbe dello scienziato, che pretende di voler scrutare le orme divine sul terreno della creazione, nascondendo la sua gloria sotto il velo dell'umiltà, dell'annientamento della Croce, del sepolcro. Ecco il segno prefigurato dal profeta Giona, che solo viene accordato, come attesta oggi il santo Vangelo, ad una generazione sorridente di scetticismo e d'incredulità.

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[1] Ed. DUCHESNE, I, 141.

[2] Patr. Lat., MIGNE, LIX, col. 47.

[3] Ep. ad Diosc., Patr. Lat., LIV, col. 626.

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 64-68.

 

 

 

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