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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III. La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Sabato Santo

 

 

Missale Romanum

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SABATO  SANTO

Colletta in Laterano pei Catecumeni.

 

Il sabato pasquale importava in antico un digiuno cosi rigoroso, che si protraeva dalla sera del venerdì sino all' alba della resurrezione. Da esso in Roma non ne erano dispensati neppure i fanciulli. Per questa ragione oggi non si celebrava neppur il convito eucaristico, giacché tutta la Chiesa era come in devota attesa che giungesse finalmente la notte sacra in cui doveva solennizzarsi il mistero della resurrezione del Cristo.

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Il sabato santo di buon mattino l'arcidiacono faceva liquefare in Laterano della cera, v'infondeva del crisma, la benediceva e la riversava in altrettante piccole forme ovali, su cui era impressa l'immagine del mistico Agnello di Dio. Questi Agnus Dei erano poi distribuiti ai fedeli nella messa del sabato in Albis, siccome eulogie e ricordi della solennità pasquale.

Fuori di Roma, dove vigeva l'antico rito del Lucernario vespertino e della benedizione del cereo pasquale, la cera da cui si estraevano gli Agnus Dei era appunto quella che restava dalla grande candela destinata ad illuminare l'ambone nella notte di Pasqua. Siccome però Roma acconsenti solo più tardi ad adottare questo rito

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del Lucernario pasquale, per adattarsi all'uso diffuso ormai sin dal quinto secolo di distribuire al popolo degli Agnus Dei di cera, ne attribuì la confezione all'arcidiacono.

È da notarsi tuttavia che in Roma, a differenza delle altre Chiese, queste eulogie papali non erano punto in relazione col cereo pasquale. Nel tardo medio evo, il significato e l'efficacia di questi Agnus Dei venne descritta nel versi seguenti leonini:

Balsamus et munda cera cum chrismatis unda,
Conficiunt Agnum, quod munus do tibi magnum.
Fonte velut natum, per mystica sanctificatum,
Fulgura desursum pellit et omne malignum.
Peccatum frangit, ut Christi sanguis et angit,
Pregnans servatur, simul et partus liberatur.
Munera fert dignis, virtutem destruit ignis,
Portatus munde, de fluctibus eripit undae.
Morte repentina servat, Satanaeque ruina,
Si quis honorat eum retinet super hostem trophaeum.
Parsque minor tantum, tota valet integra quantum.
Agnus Dei, miserere mei;
Qui crimina tollis, miserere nobis.

 

Balsamo, pura cera con l'onda crismale,
Compongono il prezioso Agnello che t'offro in dono.
Quasi nato nel sacro fonte, e santificato da un'arcana prece,
Esso tiene lontane da te le folgori ed ogni altro infortunio.
Spezza le ritorte del peccato, gli muove guerra al pari del Sangue di Cristo.
La donna incinta vien conservata incolume, il suo parto è salvo.
Concilia grazie a chi ne à degno, estingue la forza del fuoco;
Portato indosso con devozione, salva dai flutti dell'onda,
Scampa da morte improvvisa, dalle rovine procurate da Satana.
Chi lo terrà con riverenza conseguirà vittoria sull'avversario.
Ed un semplice frammento avrà tanta efficacia quanto tutto intero l'Agnus Dei.
Agnello di Dio, di me abbi pietà,
Tu che scancelli i peccati, ti muova a pietà di noi.

Nei secoli a noi più vicini, la benedizione degli Agnus Dei, venne riservata ai Romani Pontefici, i quali sono soliti di compierla solennemente al principio e in ciascun quinto anno del loro pontificato.

Secondo gli Ordines Romani, il sabato santo in sull'ora di terza i catecumeni si raccoglievano una penultima volta in Laterano nella basilica del Salvatore. La fila dei maschi si schierava a destra, quella delle femmine a sinistra.

Il sacerdote cominciava dapprima a tracciare loro sulla fronte il segno di redenzione; quindi imponendo a ciascuno le mani sul capo, recitava l'esorcismo: Nec te lateat, Satana, che ancora adesso fa parte del rituale battesimale per gli adulti.

Dopo l'intimo a Satana che si ritiri e dia luogo allo Spirito Santo, a rievocare il ricordo del Salvatore che colla saliva e col co-

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mando Ephpheta risanava i ciechi, i sordi e i muti, il presbitero toccava col dito bagnato di saliva il naso e gli orecchi dei battezzandi, dicendo ancor egli a ciascuno di loro: "Apriti alla grazia dello Spirito Santo. Tu poi, o demonio, fuggi via, giacché è imminente il giudizio di Dio".

In antico il battesimo degli adulti, quando l'ambiente esteriore era in massima parte corrotto ed idolatra, importava veramente una decisa conversione a Dio, ed era il risultato d'una suprema lotta tra l'anima e il demonio. L'anima voleva affrancarsi dalla schiavitù obbrobriosa del Satana, il quale colle illecebre del vizio e la gagliardia delle passioni faceva di tutto per non lasciarsi sfuggire di mano la preda. L'istante in cui il catecumeno discendeva nella piscina battesimale era il momento decisivo della lotta; onde, a somiglianza di quanto costumavano gli atleti nello stadio, i quali prima d'incominciare la gara si spalmavano le membra d'olio, la Madre Chiesa ungeva i suoi atleti coll'olio benedetto dei catecumeni, affine di allenarli al combattimento.

Il momento era solenne. Alla domanda del Pontefice: "Rinunzi tu al Satana?" ciascuno degli aspiranti coll'indice teso verso l'Occidente, la regione delle ombre, del tramonto e delle tenebre notturne, diceva: "Io rinunzio a te, o Satana, alla gloria tua, alle opere tue". Quindi, voltandosi verso Oriente, il candidato pronunciava la formola sacra di sua consacrazione: "A te mi dedico, o luce increata".

Dopo una nuova imposizione delle mani del Sacerdote ed un nuovo esorcismo, seguiva la cerimonia assai solenne della redditio Symboli, nella quale cioè i catecumeni dovevano compiere la loro professione di fede cristiana, giusta la formola loro precedentemente spiegata dal Pontefice nella stazione in aperitione aurium, il mercoledì precedente la domenica di Passione. Gli Ordini Romani che ci descrivono i riti dell'iniziazione cristiana in uso nel secolo VIII, qui semplificano di molto la cerimonia, e fanno recitare il Credo - ecco la prima destinazione liturgica del Simbolo: una formola prebattesimale di fede cattolica - dal solo presbitero, frattanto che egli imponeva le mani sugli aspiranti. Ma sant'Agostino, nel descriverci nelle Confessioni la conversione del retore Vittorino, ci narra che a Roma era uso che i Catecumeni stessi, ciascuno alla sua volta, recitasse il simbolo dall'ambone alla presenza del popolo, dichiarando pubblicamente la propria fede.

Quando giunse la volta di Vittorino, aggiunge il Santo, i presbiteri, per un riguardo alla celebrità della sua fama, gli si proffersero di ricevere soltanto in privato quella professione di fede, risparmiandogli quella comparsa in pubblico; ma il pio convertito non volle

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accettare tale riserbo, osservando che, come altra volta non aveva provato difficoltà a tener pubblicamente scuola d'eloquenza, così neppure allora poteva dispensarsi d'annunciare innanzi alla moltitudine del popolo la sua fede cristiana.

Salì pertanto sull'ambone. Al primo vederlo un grido generale di gioia insieme e di maraviglia risuonò per l'aula: Vittorino, Vittorino!

E Vittorino, franco sul pulpito, recitò in mezzo alla commozione dell'assemblea il suo Credo, quel Credo che sul suo labbro in quel momento assumeva uno speciale significato, giacché rappresentava una nuova vittoria della stoltezza della Croce su tutta la boria della sapienza della carne [1]. Era una nuova apologia del Cristianesimo, un trionfo della Fede.

Dopo un'ultima preghiera, i catecumeni venivano congedati: Catechumeni recedant. Filii charissimi, revertimini in locis vestris, expectantes horam qua possit circa vos Dei gratia baptismum operari.

Come il Cristo durante tutto il giorno del sabato aveva riposato nel sepolcro, così nel frattempo anche i fedeli nell' orazione e nel digiuno solevano attendere che in cielo spuntasse l'astro notturno, per indi recarsi al battistero apostolico della Salaria o in Vaticano, dove primitivamente s'amministrava il battesimo.

Negli antichi Ordines non si parla punto d'Ufficio Divino il sabato santo. Oltre a un criterio di saggia discrezione, avuto riguardo anche al digiuno e alle fatiche della futura veglia Pasquale, finché il Cristo era trattenuto nel sepolcro, sembrava che la preghiera privata s'adattasse meglio al pio simbolismo di quest'attesa. Il Salterio è quello che c'inizia assai felicemente a penetrare questo mistero, giacché un gran numero di salmi descrivono appunto i sentimenti di Gesù, che nell'oscurità della tomba supplica il Padre, che gli accordi il trionfo della sua resurrezione.

Nella sera della Parasceve il tremendo artefice che aveva prestato l'opera sua riparatrice per trenta danari, - e per bocca di Geremia aveva anzi sfidato Israele a trovar alcunché da ridire sul suo lavoro e sull'equità della mercede - questo artefice inflessibile s'era pur disteso sul letto del suo riposo, e i discepoli recandone al sepolcro il cadavere, avevano cantato, giusta il rituale funebre giudaico, il bel salmo: Qui habitat in adiutorio Altissimi, col versetto fatidico: In pace, in idipsum dormiam et requiescam.

Ora, il sacrificio, l'umiliazione dovevano essere complete, e mentre l'anima di Gesù nel Limbo annunziava ai trapassati la Re-

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denzione già compiuta, il suo corpo, al pari d'un chicco di grano deposto nel seno della terra, doveva pur subire l'umiliazione del sepolcro, anche perché nessuno potesse dubitare della verità della morte, e quindi della sua futura resurrezione. Anzi, ad escludere qualsiasi possibilità di dubbio, vengono allontanati dalla tomba di Gesù tutti i suoi amici, e gli Ebrei stessi sono incaricati dalla sapienza di Dio d'eseguire la ricognizione giuridica dei fatti che si svolgono nell'interno di quella caverna sepolcrale. Il Sanhedrin vi appone adunque i propri suggelli, vi fa piantonare le sue guardie, perché nessuno ardisca di manomettere in alcun modo quel sepolcro ... Che è? ... All'alba del terzo giorno il Cristo risorge trionfante da morte; gli Apostoli e la Chiesa durante 19 e più secoli lo predicano già vivente a tutte le nazioni credenti, le quali in grazia della fede entrano anch'esse a parte della sua resurrezione. Ed Israele? Mentre l'umanità intera con una Pasqua che non ha mai fine celebra il proprio trionfo sulla morte e sull'inferno, la Sinagoga sta ancora in armi al sepolcro del morto, pronta a dar mano alla spada, se il Cristo oserà d'infrangere i suggelli del Sanhedrin, ed uscire libero dalla tomba.

Il tempo in cui Gesù si trattiene nella tomba, designa molto bene quello della nostra vita presente, la quale è un'attesa della futura e completa nostra resurrezione. Noi adesso cominciamo a risorgere alla grazia, ed è per questo che stanotte, celebrando la solennità pasquale, non diciamo già la Pasqua di Cristo, ma bensì Pascha nostrum immolatus est, è stata immolata la nostra Pasqua. La festa tuttavia non è completa; troppe cose in noi rimangono inerti nel sepolcro della corrotta natura, o sono avvolte ancora nelle ombre dell'ignoranza. La Fede tuttavia ci sostiene, e la speranza ci dà garanzia che un giorno tutte queste miserie della nostra mortalità cesseranno anche per noi. Ma intanto noi dobbiamo rassegnarci a trascorrere in devota attesa il nostro mistico sabato santo. Questa parziale resurrezione dell'anima ci viene accordata come in anticipo - precisamente come l'odierna disciplina ecclesiastica anticipa la celebrazione della resurrezione di Gesù nell'estremo giorno di quaresima -. Ma trattasi d'un semplice acconto. Rimane pur sempre vero che oggi è tempo di passione e di quaresima. Verrà, verrà la vera e completa Pasqua nel suo più ampio significato. E quando? Quando anche il Cristo cesserà d'offrire quotidianamente per mano dei suoi sacerdoti i misteri Eucaristici che commemorano la sua morte, ed inaugurerà sull'altare del cielo una liturgia nuova, quella dell'universale ed eterna Pasqua di resurrezione.

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[1] Confess., lib. VII, ii.

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 230-234.

 

 

 

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