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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III. La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Venerdì Santo

 

 

Missale Romanum

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VENERDÌ  SANTO

Colletta in Laterano.

Stazione a Santa Croce in Gerusalemme.

 

Gesù aveva detto: non capit prophetam perire extra Hierusalem [1]; perciò la stazione oggi si celebra nella basilica detta Sancta Hierusalem, ove altra volta il Papa si recava a piedi scalzi, movendo in processione dal Laterano. Durante il cammino egli agitava un turibolo fumigante di aromi preziosi innanzi al legno della santa Croce sostenuto da un diacono, mentre il coro cantava il salmo 118: Beati immaculati in via. In segno di profonda mestizia, originariamente questo giorno era aliturgico, come in genere in Roma tutti i venerdì e sabati dell'anno; cosicché quando, verso il VI secolo, venne rimesso alquanto il rigore dell'antica disciplina e furono istituite le stazioni dei venerdì quaresimali, i Papi per più secoli mantennero inviolato il primitivo uso romano che voleva esclusa in questo giorno perfino la messa dei Presantificati. L'attuale rito quindi, non risale che al medio evo e rappresenta appunto quello adoperato nelle chiese titolari di Roma dove non interveniva il Pontefice.

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L'adorazione del legno della santa Croce il venerdì santo deriva, siccome già dicemmo, dalla liturgia gerosolimitana, dove era già in uso verso la fine del IV secolo. Anzi, per molto tempo, anche in Occidente quest' adorazione costituì quasi la cerimonia più importante e caratteristica, il punto centrale verso cui convergeva tutta la liturgia della santa Parasceve. Ecce lignum Crucis [2]: è questo l'inizio della parusia del divin Giudice, e all'apparizione del vessillo trionfale della redenzione, mentre la Chiesa si prostra in atto di grata adorazione, le potenze infernali inorridite fuggono giù nell'abisso.

Nel medio evo a Roma il reliquiario papale della santa Croce veniva cosparso di aromi, ad indicare cosi la soavità della grazia che traspira dal Legno trionfale, come anche l'unzione interiore e la dolcezza spirituale che il Signore infonde nel cuore di coloro che portano la croce per amor suo.

Giusta gli Ordini Romani del secolo VIII, la cerimonia quest'oggi si svolgeva parte nella basilica Sessoriana, parte in Laterano. Verso le due pomeridiane, il Papa e il clero palatino movevano in processione a piedi scalzi dal patriarchio alla basilica stazionale, dove aveva luogo prima l'adorazione della santa Croce, quindi la lettura della Passione secondo san Giovanni e la grande preghiera litanica per i vari ordini ecclesiastici e per i bisogni della Chiesa. Indi si ritornava in Laterano cantando lungo la via il salmo Beati immaculati in via. In questo giorno di lutto né il Papa né i diaconi si comunicavano: il popolo però era libero di ricevere la santa Comunione sia in Laterano, dove celebrava uno dei vescovi suburbicari, sia negli altri titoli della città.

Verso il secolo IX il rito fu alquanto modificato. L'adorazione della Croce venne differita sin dopo la preghiera litanica, cui seguiva il Pater noster colla Comunione degli astanti. La processione delle sacre Specie non aveva ancor luogo, e la funzione terminava colla benedizione del Papa: In nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Rispondeva l'assemblea: Et cum spiritu tuo. Ognuno quindi recitava privatamente i salmi dell'ufficio vespertino, dopo di che si andava a mensa.

Nel secolo XII nella basilica Lateranense compieva ancora i divini uffici della Parasceve uno dei sette vescovi suburbicari di turno; il Papa però non interveniva, giacché continuava a recarsi nella basilica Sessoriana. Dal patriarchio si portavano in processione così il legno della santa Croce che le sacre Specie Eucaristiche per la

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messa dei Presantificati; ma non sembra che il popolo allora usasse più di comunicarsi, come ai primi secoli del medio evo.

Ai tempi d'Onorio III, il Papa, in sullo spuntar dell'aurora, soleva cantare l'intero salterio insieme coi suoi cappellani. Verso mezzodì egli si recava coi cardinali nell'oratorio di San Lorenzo, ed aperta l'inferriata sotto l'altare di Leone III, ne estraeva i due reliquiari col legno della santa Croce e i capi degli apostoli Pietro e Paolo, che, giusta una tarda tradizione la quale non risaliva oltre il mille, si volevano conservati in quel luogo. I cardinali s'appressavano a baciare le sacre reliquie, quindi il corteo si disponeva in ordine di processione per andare alla basilica Sessoriana. Prima di dar principio alla messa, il Pontefice si ritirava nell'attiguo monastero a lavarsi i piedi e a riprendere i suoi sandali ordinari; terminato poi l'ufficio, la processione ritornava in Laterano, dove però non seguiva il solito banchetto nel triclinio, giacché in questo giorno di lutto e di penitenza, ai ministri del palazzo non si somministrava che solo pane ed erba, escluso perfino il vino.

Questo cerimoniale durò in Roma sino quasi al secolo XV, quando cioè i rituali cominciarono a prescrivere che il Papa nella sua camera da letto recitasse dapprima il salterio insieme coi cappellani, indi si dovesse affacciare ad un balcone per concedere al popolo l'indulgenza. Ad ora poi determinata, il Pontefice si recava in coro per recitare l'Ufficio, e dopo mezzo giorno, prima cioè di dar principio alla processione stazionale a Santa Croce, ricompariva nuovamente sul balcone, ammantato questa volta di pluviale rosso e colla mitra in capo, per concedere alle turbe di popolo che si accalcavano sulla piazza, nuovamente l'indulgenza.

Terminata questa cerimonia, deponeva i sandali e insieme coi cardinali movevano tutti in processione a piedi nudi alla basilica Sessoriana.

Seguiva la messa dei Presantificati coi riti già descritti; solo che, durante il periodo avignonese, invalse l'uso che le sacre Specie venissero recate sull'altare, non già da uno dei cardinali che precedeva il Papa quando dal secretarium faceva il suo ingresso nel tempio, ma dal Pontefice stesso, e precisamente dopo compiuta l'adorazione della Croce. È appunto questo il rito descritto nell'odierno Messale Romano.

Con tutto questo complicarsi di cortei e di cerimonie durante il medio evo, non è difficile tuttavia di rilevare che l'attuale messa dei Presantificati, quale ci hanno trasmesso gli Ordini Romani del secolo XVI e quale noi ancora celebriamo, consta di tre parti distinte,

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che si sovrappongono come tre successive stratificazioni: la così detta messa dei Catecumeni, l'adorazione della santa Croce e la sacra Comunione.

La messa dei Catecumeni conserva quasi intatto il tipo delle antiche sinassi aliturgiche, e della così detta messa dei Catecumeni. Non v'è introito né Kyrie, ma solo si leggono tre lezioni scritturarie, due cioè dell'Antico Testamento, una del Vangelo. Alle prime due, segue il canto responsoriale d'un salmo terminato da una colletta del preside; dopo la terza lezione, la Passione secondo san Giovanni, segue la grande preghiera litanica per i diversi bisogni della Chiesa (Oremus, dilectissimi nobis, etc.), che originariamente segnava appunto il termine dell'Ufficio domenicale vigiliare e serviva quasi d'introduzione alla liturgia eucaristica. Anche oggi alla messa, dopo il Vangelo, il sacerdote saluta il popolo (Dominus vobiscum) e lo invita alla preghiera collettiva (Oremus); però essendo andata in disuso l'antica litania, almeno siccome rito ordinario della messa, di fatto né il sacerdote, né il popolo a questo momento dell'azione eucaristica pregano più, ed unicamente il coro dei cantori eseguisce le melodie dell'offertorio. Il solo venerdì santo conserva ancora intatto il rito primitivo romano; in modo che l'antichissima preghiera litanica dopo il Vangelo, attestataci fin dal II secolo da Giustino, non si può dire punto che sia stata interamente sbandita dalla liturgia della Sede Apostolica, essendo rimasta a suo luogo almeno in questo giorno solenne della Parasceve pasquale.

Dopo la litania di cui abbiamo detto, nelle messe ordinarie seguiva regolarmente il canone eucaristico e la Comunione. Siccome tuttavia oggi non ha luogo alcuna consacrazione, perciò nel secolo IX il Papa saltava a pié pari il canone e passava subito al canto del Pater che precedeva immediatamente la Comunione. Era questo il modo più regolare. Però qualche secolo dopo troviamo invece che l'adorazione della Croce, la quale da principio aveva luogo prima della messa, era venuta, non si sa come, ad incastrarsi arbitrariamente tra la litania e la Comunione; onde il ritmo primitivo della cerimonia essendone rimasto alquanto turbato, ne seguì una complicazione di riti. Taluni Papi ritornando all'altare dopo la adorazione della santa Croce, ritennero che allora propriamente cominciasse la messa, e vollero si recitasse, giusta il consueto delle altre messe, il salmo 42 colla confessione. Posteriormente, dopo che i Pontefici avignonesi ebbero introdotto per loro particolare devozione la processione delle sante Specie, un po' per volta seguirono anche l'incensazione delle Oblate e dell'altare, la lavanda delle mani, le preghiere secrete e l'elevazione. Nel secolo XV quest'ultima cerimonia si compieva allor-

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quando il Papa recitava il Pater, alle parole cioè sicut in coelo ... ; in seguito tuttavia l'ostensione della santa Ostia venne differita sin dopo l'orazione domenicale ed immediatamente prima della sua frazione, precisamente come si faceva da principio.

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La sinassi del venerdì santo non ha introito, come in antico, prima cioè che papa Celestino istituisse i canti antifonici alla messa. Perciò, dopo una prima preghiera privata che i sacri ministri recitano ciascuno per suo conto e prostrati nella polvere innanzi all'altare, il lettore ascende all'ambone e dà subito principio al canto d'un brano d'Osea (VI, 1-6). Il Signore, dice il Profeta, a tutti i riti e purificazioni legali dell'Antico Testamento, preferisce il culto del cuore, che consiste essenzialmente nella intelligenza delle verità divine per mezzo della santa fede, e nell'adempimento dei suoi sacri voleri. Ad inaugurare il Nuovo Patto d'amore, egli distruggerà l'Antico; ma Israele non ha motivo di temere: flagellata e castigata per due giorni dalla giustizia santa di Dio in pena dei suoi delitti, ella risorgerà a vita nuova il terzo giorno e servirà a Iahvé nella chiesa dei redenti.

Segue il responsorio tratto dal Cantico di Habacuc. Dio mai apparisce più santo, tremendo e glorioso, come sul Calvario. È là che l'augusta Triade accoglie l'olocausto perfetto che Gesù le offre a nome dell'umanità. È là che viene infranta la potenza del diavolo.

"Ho inteso, o Signore, quanto m'hai fatto comprendere e ne sono rimasto intimorito; ho meditato sulle tue opere e m'hanno riempito di terrore. V). Tu ti rivelerai tra due animali, a tempo suo sarai riconosciuto, e quando sarà giunto il momento, ti manifesterai. V). AIlorché il mio spirito sarà turbato, allora anche nel tuo sdegno non ti dimenticherai d'essere misericordioso. V). Il Signore arriverà dal Libano, e il Santo verrà dal monte ombroso e ricoperto di arbusti. V). La sua gloria ricopre tutto il cielo, e la terra risuona della sua lode".

La preghiera sacerdotale pone termine alla salmodia responsoriale. Il diacono, come di consueto, premette l'invito:

"Pieghiamo il ginocchio".

E dopo una breve orazione privata, il suddiacono soggiunge:

"Sorgete".

Il presidente dell'assemblea prende la parola a nome di tutti e dice: "O Signore, che a Giuda desti il castigo del suo delitto, e al ladro il premio della sua confessione, ci concedi la grazia di speri-

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mentare gli effetti della tua misericordia; affinché, come nella sua passione nostro Signor Gesù Cristo diede a ciascuno la meritata ricompensa, così, tolto via l'antico errore, Egli accordi anche a noi la grazia di partecipare della sua resurrezione".

Segue la lezione del libro dell'Esodo (XII, 1-11): L'agnello pasquale disteso in forma di croce sopra due bastoni ed arrostito, simboleggiava Gesù Crocifisso. Esso, più che mangiato, veniva divorato in fretta, colla tunica succinta e col bastone in mano, in atto di partire. Il che significa che il cielo è assai elevato dalla terra, la vita è breve e non c'è troppo tempo d'arrestarsi durante il cammino verso l'eternità. Condivano l'agnello delle lattughe amare e il pane senza lievito, a indicare che nella divina Eucaristia noi commemoriamo la morte di Gesù, e che la penitenza e la mortificazione dello spirito sono tra le migliori disposizioni per ben comunicarsi.

Dopo la lezione, si canta il salmo (tractus) 139, nel quale si descrivono i sentimenti di Gesù in croce. Tutta 1'umanità ha congiurato contro Gesù, giacché peccando, tutti gridammo: Reus est mortis. Egli si sente solo innanzi ad un odio ed un'ira universale; onde si volge al Padre, perché lo soccorra. La sua preghiera è umile, ma la informa un senso di incrollabile speranza, in modo che, spirando Gesù sulla Croce, Egli già intona il cantico della sua resurrezione:

"Salvami, o Iahvé, dall'empio, dal violento tu mi proteggi. V). I quali in cuor loro tramano sventure, ogni giorno fomentano battaglie. V). Acuta hanno la lingua come serpi, veleno d'aspide è sul loro labbro. V). Guardami tu, Iahvé, dalle mani dell'empio, dal violento tu mi proteggi. V). I quali tramano a rovesciare i miei piedi; i superbi di nascosto m'hanno teso un laccio. V). Con un calappio hanno teso un laccio sui miei passi; lungo la strada m'hanno preparato degli ostacoli. V). Dico a Iahvé; mio Dio tu sei; ascolta, o Signore, il grido della mia preghiera. V). Iahvé, Signore e forza di mia salvezza, ripara tu all'ombra il mio capo nel giorno del combattimento. V). Non far paghe su di me le voglie dell'empio; tramarono contro di me; non mi abbandonare, perché non trionfino. V). Non esaltino il capo intorno a me; li avvolga la sciagura che m'hanno augurato col loro labbro. V). I giusti, invece, celebreranno il tuo nome, e i retti risiederanno a te d'innanzi".

Con quanta riverenza e commozione non dobbiamo noi recitare questa preghiera di Gesù moribondo, adattandoci ai suoi sentimenti, in modo che il salmo non sia semplicemente la prece storica del divin Crocifisso, ma l'elevazione a Dio di ciascun'anima cristiana, la quale rivive in sé tutti i misteri della nostra redenzione!

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Per terza lezione segue la Passione del Signore giusta il Vangelo di san Giovanni (XVIII, 1-40 XIX, 1-42), il quale, a preferenza degli altri evangelisti, pone in rilievo l'insegnamento di Gesù nei suoi colloqui col preside romano. Giusta il vaticinio del Salmista, et vincas cum iudicaris, la divinità di Gesù risplende fulgida dalle stesse risposte che Egli dà a Pilato. Non è un imputato che risponde a un giudice, ma un maestro che, perfin nel pretorio del preside romano, predica ed insegna. Egli è la verità, ed è venuto al mondo per rendere testimonianza a questa verità; onde non tralascia occasione alcuna per rivelarsi agli uomini, ed attrarli a sé colla semplice manifestazione del suo fulgore.

La messa del venerdì santo ci ha conservata, come dicemmo, intatta l'antica preghiera litanica di cui parla già Giustino Martire, e che originariamente seguiva ogni giorno la lettura del Vangelo, là appunto dove ancor oggi il sacerdote, prima dell'offertorio, invita il popolo alla preghiera: Oremus. Questa prece a forma litanica, cui cioè tutto il popolo intercalava un'acclamazione a mo' di ritornello, (per es.: Domine miserere; Kyrie, eleison, etc.) trovasi ancora a suo posto nelle liturgie orientali, ma è scomparsa dal Sacramentario Romano forse fin dai tempi di san Gregorio Magno.

Il primo fondo di questa prece va rintracciato nella liturgia delle Sinagoghe, dove dopo le lezioni scritturali si pregava per i vari membri della comunità Israelitica e pei diversi bisogni dei suoi componenti. Ma il testo, quale c'è conservato nel Messale, a cagione della sua speciale terminologia, rivela i tempi di san Leone Magno. Infatti sono ancora in uso gli ostiari, il cui ufficio posteriormente fu attribuito ai mansionari; i monaci, come nel Sacramentario Leoniano, vengono chiamati Confessores, le religiose Virgines, e non sanctimoniales; si prega che l'Imperatore Romano soggioghi tutti i barbari, e si ritiene il Romanum Imperium, precisamente come san Leone, siccome l'unica potenza depositaria legittima del potere. È ancora in vigore la disciplina del Catecumenato; il mondo è disseminato d'eresie, travagliato d'epidemie, afflitto da carestie; le prigioni trattengono ancora molti innocenti; la schiavitù forma tuttavia l'obbrobrio dell'antica civiltà romana; circostanze tutte che ci richiamano subito alla mente il V secolo, e ci fanno attribuire appunto al periodo aureo della liturgia romana la redazione definitiva di questa prece tanto solenne, e che potremmo indubbiamente considerare d'origine apostolica.

In antico la si recitava anche fuori della sinassi Eucaristica, e nulla vieta che i fedeli anche ai nostri giorni la recitino privata-

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mente per i vari bisogni spirituali e temporali della famiglia cattolica. Ricorrendo ad una preghiera così venerabile e tanto arcaica, nel recitarla ci sembra d'essere in più intima relazione spirituale coll'anima di quelle primitive generazioni di Martiri e di eroi della fede, i quali la recitarono prima di noi, ed impetrarono così le grazie necessarie per ben corrispondere alla loro magnifica vocazione di render testimonianza alla fede col proprio sangue.

La solenne preghiera litanica.

Oremus, dilectissimi nobis, pro Ecclesia sancta Dei: ut eam Deus et Dominus noster pacificare, et adunare, et custodire dignetur toto orbe terrarum: subiiciens ei principatus, et potestates: detque nobis quietam et tranquillam vitam degentibus, glorificare Deum Patrem omnipotentem.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, qui gloriam tuam omnibus in Christo gentibus revelasti: custodi opera misericordiae tuae; ut Ecclesia tua, toto orbe diffusa, stabili fide in confessione tui nominis perseveret. Per eumdem Dominum nostrum Iesum Christum....
R). Amen.

 

Preghiamo, dilettissimi fratelli, per la santa Chiesa di Dio, affinché il Signore si degni di darle la pace e l'unione, e di custodirla per tutta la terra, assoggettando a lei i principati e le potestà; e che ci conceda una vita calma e tranquilla, affinché possiamo glorificare Iddio Padre Onnipotente.

Preghiamo

Onnipotente ed eterno Iddio, che per mezzo del Cristo hai rivelata a tutte le nazioni la tua gloria, conserva le opere della tua misericordia, e fa' che la tua Chiesa, sparsa nel mondo intiero, perseveri con ferma fede nella confessione del tuo nome. Per il medesimo Gesù Cristo...
R). Così sia.

Oremus et pro beatissimo Papa nostro N., ut Deus et Dominus noster, qui elegit eum in ordine episcopatus, salvum atque incolumem custodiat Ecclesiae suae sanctae, ad regendum populum sanctum Dei.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, cuius iudicio universa fundantur: respice propitius ad preces nostras, et electum nobis Antistitem tua pietate conserva; ut christiana plebs, quae te gubernatur auctore, sub tanto Pontifice, credulitatis suae meritis augeatur. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo per il nostro beatissimo Padre N., affinché il Signore Dio nostro, che l'ha prescelto nell'ordine dell'Episcopato, lo conservi pel bene della sua santa Chiesa e per la condotta del santo popolo di Dio.

Preghiamo

Onnipotente e sempiterno Iddio, che con la tua sapienza fai sussistere tutte le cose, ricevi favorevolmente le nostre preghiere, e, nella tua bontà, conserva il Pontefice che ci hai scelto; affinché il popolo cristiano, che dalla tua autorità è governato, cresca nel merito della fede, sotto la condotta di un sì grande Pontefice. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro omnibus Episcopis, Presbyteris, Diaconibus, Subdiaconi-

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bus, Acolythis, Exorcistis, Lectoribus, Ostiariis, Confessoribus, Virginibus, Viduis: et pro omni populo sancto Dei.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, cuius Spiritu totum corpus Ecclesiae sanctificatur et regitur: exaudi nos pro universis ordinibus supplicantes; ut, gratiae tuae munere, ab omnibus tibi gradibus fideliter serviatur. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo ancora per tutti i Vescovi, i Presbiteri, i Diaconi, i Suddiaconi, gli

 

Accoliti, gli Esorcisti, i Lettori, gli Ostiarii, i Confessori, le Vergini, le Vedove, e per tutto il santo popolo di Dio.

Preghiamo

Onnipotente e sempiterno Iddio, che, col tuo Spirito, santifichi e governi tutto il corpo della Chiesa, esaudisci le nostre suppliche per tutti gli ordini gerarchici che le appartengono; affinché col dono della tua grazia, questi diversi ordini si mantengano fedeli nel tuo servizio. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro Christianissimo Imperatore nostro N., ut Deus et Dominus noster subditas faciat omnes barbaras nationes ad nostram perpetuam pacem.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, in cuius manu sunt omnium iura regnorum: respice ad Romanum benignus Imperium; ut gentes, quae in sua feritate confidunt, potentiae tuae dextera comprimantur. Per Dominum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo parimenti per il religiosissimo nostro imperatore N. N., affinché il Signore Dio nostro gli assoggetti, per la pace nostra, tutte le barbare nazioni.

Preghiamo

Dio onnipotente ed eterno, che stringi in mano la somma dei diritti di tutti i regni; riguarda benigno all'Imperatore Romano, affinché le barbare tribù che ripongono la loro fiducia nella loro ferocia, siano schiacciate sotto la possanza della tua destra. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro catechumenis nostris: ut Deus et Dominus noster adaperiat aures praecordiorum ipsorum, ianuamque misericordiae; ut per lavacrum regenerationis accepta remissione omnium peccatorum, et ipsi inveniantur in Christo Iesu Domino nostro.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, qui Ecclesiam tuam nova semper prole foecundas: auge fidem et intellectum catechumenis nostris; ut, renati fonte baptismatis, adoptionis tuae filiis aggregentur. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo anche per i nostri catecumeni, affinché il Signore Iddio apra le orecchie le orecchie dei loro cuori e la porta della sua misericordia, onde, dopo ricevuta la remissione di tutti i loro peccati nel bagno della rigenerazione, siano incorporati insieme con noi a Gesù Cristo nostro Signore.

Preghiamo

Onnipotente e sempiterno Iddio, che senza interruzione dai nuovi figli alla tua Chiesa, accresci la fede e l'intelligenza dei nostri catecumeni; affinché, conseguita la rigenerazione nel fonte battesimale, siano uniti ai tuoi figli di adozione. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus, dilectissimi nobis, Deum Patrem omnipotentem, ut cunctis mundum purget erroribus, morbos auferat,

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famem depellat, aperiat carceres, vincula dissolvat, peregrinantibus reditum, infirmantibus sanitatem, navigantibus portum salutis indulgeat.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, maestorum consolatio, laborantium fortitudo, perveniant ad te preces de quacumque tribulatione clamantium: ut omnes sibi in necessitatibus suis misericordiam tuam gaudeant adfuisse. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo, carissimi fratelli, Iddio Padre onnipotente, che si degni di purgar il mondo da ogni errore, dissipare le ma-

 

lattie, tenr lontana la fame, aprir le carceri, spezzare le catene dei prigionieri, accordare ai viaggiatori un felice ritorno, agli infermi la sanità, ai naviganti un porto di salute.

Preghiamo

Onnipotente e sempiterno Iddio, che sei la consolazione degli afflitti e la forza di quelli che penano, lascia salire insino a te le grida e le preghiere di coloro che t'invocano dal profondo della loro afflizione; affinché provino con gioia, nei loro bisogni, i soccorsi della tua misericordia. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro haereticis, et schismaticis: ut Deus et Dominus noster eruat eos ab erroribus universis; et ad sanctam matrem Ecclesiam Catholicam, atque Apostolicam revocare dignetur.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, qui salvas omnes, et neminem vis perire: respice ad animas diabolica fraude deceptas; ut, omni haeretica pravitate deposita, errantium corda resipiscant, et ad veritatis tuae redeant unitatem. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

 

Preghiamo ancora per gli eretici e gli scismatici, affinché il Signore nostro Dio li liberi da tutti i loro errori, e si degni di ricondurli alla nostra santa madre, la Chiesa cattolica ed apostolica.

Preghiamo

Dio onnipotente ed eterno, che salvi tutti gli uomini e non vuoi che alcuno perisca, volgi i tuoi occhi sopra le anime che furono sedotte dagli artifizi del diavolo; affinché, deponendo l'eretica perversità, i loro traviati cuori vengano a ravvedimento, e ritornino all'unità della tua verità. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro perfidis Iudaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Iesum Christum Dominum nostrum.

Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam iudaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Per eumdem Dominum...
R). Amen.

 

Preghiamo pure per gli infedeli Giudei, affinché il Signore nostro Dio tolga il velo che copre i loro cuori, e riconoscano con noi Cristo nostro Signore.

Dio onnipotente ed eterno, che nella tua misericordia non discacci neppur gli stessi Giudei; esaudisci le preghiere che noi ti rivolgiamo a riguardo della cecità di questo popolo, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è il Cristo, essi siano liberati dalle loro tenebre. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Oremus et pro paganis: ut Deus omnipotens auferat iniquitatem a cordibus eorum; ut relictis idolis suis,

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convertantur ad Deum vivum et verum, et unicum Filium eius Iesum Christum, Deum et Dominum nostrum.

Oremus

Omnipotens sempiterne Deus, qui non mortem peccatorum, sed vitam semper inquiris: suscipe propitius orationem nostram, et libera eos ab idolorum cultura; et aggrega Ecclesiae tuae sanctae, ad laudem et gloriam nominis tui. Per Dominum nostrum Iesum Christum...
R). Amen.

Preghiamo per i pagani, affinché Iddio onnipotente tolga l'iniquità dai loro cuori; onde, lasciando i loro idoli, si con-

 

vertano al Dio vivo e vero, ed al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore...

Preghiamo

Dio onnipotente ed eterno, che non vuoi la morte, ma la vita dei peccatori, degnati d'esaudire la nostra preghiera, libera i pagani dal culto degli idoli, ed associali alla tua santa Chiesa, ad onore e gloria del tuo nome. Per Gesù Cristo nostro Signore...
R). Così sia.

Come nelle messe ordinarie dopo la litania veniva subito il bacio di pace e la presentazione delle oblate sull'altare, così analogamente anche nell'odierna cerimonia, dopo la preghiera dovrebbe seguire la presentazione dei santi Doni (=Presantificati) e la Comunione. Così infatti era in origine. Però l'ordine primitivo della cerimonia venne, siccome dicemmo, alterato, quando verso il secolo IX s'incominciò a differire sino a questo momento l'adorazione della santa Croce, che da principio, come abbiamo già veduto, era un rito affatto estraneo all'azione eucaristica. Non si potrebbe tuttavia negare che questa suprema glorificazione della santa Croce nel bel mezzo dell'odierna funzione torni bene a proposito, giacché oggi appunto cominciò il trionfo del Redentore, quando cioè la sua Croce venne sollevata da terra ed eretta sulla sommità del Calvario. È da quel trono di dolore e d'amore che Gesù a braccia aperte attira a sé tutta l'umanità.

L'adorazione della santa Croce cominciò a Gerusalemme, e verso il 385 ce la descrive diffusamente Eteria nel suo Diario. Di là passò probabilmente a Costantinopoli e nelle varie città dell'impero bizantino, dovunque si conservavano dei frammenti più o meno considerevoli del santo Legno. A Roma essa venne introdotta verso la fine del VII secolo da un papa orientale, Sergio I, il quale perciò dové derivarne il rito dagli usi dei suoi connazionali.

Così infatti si spiega la circostanza che in questo giorno il Papa, nella processione dal Laterano alla basilica Sessoriana, agitava il turibolo innanzi al cofanetto della santa Croce recato da un diacono, uso che non ha alcun riscontro nelle liturgie latine, mentre invece è comune in quelle orientali, dove spesso il vescovo agita il turibolo. Parimenti il trisagio greco che oggi si canta durante l'adorazione del santo Legno, accusa nettamente la sua derivazione dal rito bizantino.

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In seguito, la cerimonia è stata sviluppata di molto, togliendone gli elementi delle liturgie franche, per mezzo delle quali alla loro volta sono penetrati nel rituale di Roma degli usi originariamente propri delle Chiese Ispaniche.

Il rito che ora descriveremo, ha per oggetto l'adorazione del legno trionfale della Croce, di cui sant'Elena aveva fatto un generoso dono a Roma. Tuttavia, quando la liturgia romana uscita dalle mura dell'Eterna Città, venne successivamente adottata dalla Chiesa Latina, siccome non tutte le chiese o cappelle potevano vantare il possesso d'una simile reliquia, alla vera Croce venne sostituita l'effigie del Crocifisso, poco importando se questa fosse di legno, di ferro o d'altro metallo. Il sacerdote scoprendolo seguitò sempre a dire, come il Papa a santa Croce in Gerusalemme: Ecce lignum Crucis, adattamento che forse a taluno sembrerà poco felice, quando invece trattasi d'un Crocifisso di metallo o d'argento. Sta il fatto che da principio a Roma la cerimonia era ordinata all'adorazione della reliquia della vera Croce donata da sant'Elena, rito che ancora adesso è in vigore, almeno nelle grandi basiliche patriarcali dell'Eterna Città.

Mentre il sacerdote compie la triplice ostensione al popolo della santa Croce, si canta:

Sac. "Ecco il legno della Croce, dal quale pendé la salvezza del mondo".

Coro. "Venite, adoriamolo".

L'adorazione della santa Croce si compie dal clero, senza scarpe, il che ci ricorda l'antico rito che prescriveva in questo giorno al Papa e ai cardinali di prender parte a piedi scalzi alla processione stazionale.

Durante l'adorazione segue il canto assai antico del trisagio che s'intercala ai versetti degli Improperia. Si chiama cosi una serie di rimproveri che Dio muove al popolo giudaico per l'ingratitudine dimostrata ai benefici del Signore.

Il concetto è senza dubbio d'ispirazione Scritturale, ma il testo sembra derivato dall'apocrifo d'Esdra (cap. I, 13-24).

V). "Mio popolo, mi rispondi; che cosa ti ho fatto? In che ti ho contristato? V). Perché ti ho tratto fuori dall'Egitto, tu hai preparato una croce al tuo liberatore".

I. Coro: "Dio santo".

II. Coro: "Dio potente".

Tutto il Coro: "Dio immortale, abbi pietà di noi".

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Questo Trisagio durante l'adorazione della Croce, ha un significato assai profondo, giacché la morte di Gesù è l'atto perfetto d'adorazione dell'augusta Triade, compiuto dal Pontefice del Nuovo Testamento. Infatti l'infinita santità di Dio, la sua onnipotenza, il suo eterno essere ricevettero una suprema glorificazione nel carattere espiatorio del sacrificio del Calvario, nella vittima divina fiaccata ed annientata per i peccati del mondo. Gli eretici monofisiti tentarono già di fraintendere il significato trinitario di questo Trisagio, aggiungendovi l'invocazione maligna: "Tu che sei stato crocifisso per noi"; ma l'interpretazione venne condannata siccome eretica, perché non sono state già crocifisse le tre divine Persone, ma solo la seconda, nella sua natura umana.

V). "Perché io durante lo spazio di quarant'anni ti trassi fuori dall'Egitto e ti nutrii di manna, introducendoti in una regione molto ubertosa, tu preparasti una croce al tuo Salvatore?"

Coro (alternando): "Dio santo, ecc.".

V). "Che altro avrei potuto fare per te e non l'ho fatto? Io ti ho plasmato al pari d'una feracissima vigna, e tu mi ti sei resa oltremodo amara; mentre soffrendo la sete mi desti a bere aceto, e trapassasti con una lancia il costato al tuo Salvatore".

Coro (alternando): "Dio santo ecc.".

V). "Per cagion tua io flagellai l'Egitto coi suoi primogeniti, e tu dopo avermi flagellato mi consegnasti (a Pilato)".

R). "Popolo mio, che ti ho fatto? ecc.".

V). "Io par trarti dall'Egitto, sommersi il Faraone nel Mar Rosso, e tu invece mi consegnasti in braccio ai principi dei sacerdoti"

R). "Popolo ecc.".

V). "Io innanzi a te divisi le acque del mare, e tu con una lancia apristi il mio costato" .

R). "Popolo ecc.".

V). "Io per mezzo d'una colonna di nuvole precedetti i tuoi passi, e tu mi trascinasti al pretorio di Pilato".

R). "Popolo ecc.".

V). "Io attraverso il deserto ti nutrii di manna, e tu mi percuotesti cogli schiaffi e coi flagelli".

R). "Popolo ecc.".

V). "Io per dissetarti feci sgorgare dalla rupe le acque salutari; e tu mi abbeverasti di fiele e d'aceto".

R). "Popolo ecc.".

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V). "Io in grazia tua percuotei i re dei Cananei, e tu mi percuotesti sul capo con una canna".

R). "Popolo ecc.".

V). "Io ti consegnai uno scettro reale, e tu circondasti il mio capo d'un serto di spine".

R). "Popolo ecc.".

V). Io con la mia potenza ti esaltai, e tu mi levasti alto sul patibolo della Croce".

R). "Popolo ecc.".

Innanzi alle contumelie della Croce, non dobbiamo dimenticare la divinità della Vittima santissima. Attorno al patibolo miriadi di Angeli stanno esclamando: Santo, Santo, Santo è il Signore. Uniamoci alle loro adorazioni, ed intoniamo già l'inno del trionfo e della beata resurrezione.

V). "Noi, o Signore, adoriamo la tua Croce, e cantiamo lodi e gloria alla tua santa resurrezione; ecco infatti, che un albero ha riempito di gioia tutto l'universo. Salm. 66. Dio abbia compassione di noi e ci benedica; R). rischiari su di noi il suo volto e abbia pietà di noi. V). Noi, o Signore, ecc.".

Segue l'inno magnifico composto da Venanzio Fortunato in onore della santa Croce, quando la regina Radegonda ne ricevé in dono da Costantinopoli una particella, che depose nel suo monastero di Poitiers, dedicato perciò alla santa Croce:

"Croce fedele, sola degna di gloria tra tutti gli altri alberi, nessuna selva è capace di produrne un altro a te somigliante, fronzuto, col fiore e colle radici.

L'amato Legno sostiene i diletti chiodi e il dolce carico (del corpo di Gesù).

Schiuditi, o labbro, a cantare le lodi del glorioso combattimento, e innanzi al trofeo della Croce narra il nobile trionfo, e ci dici come il Redentore del mondo, pur immolato abbia riportato vittoria.

Il Creatore sentì compassione per l'inganno di cui fu vittima la sua prima creatura, il progenitore, allorché il morso del fatal pomo ebbe per conseguenza la morte; allora egli presignò un albero perché annullasse i mali cagionati da un altro albero.

La nostra salvezza richiedeva che si salvasse quest'ordine di convenienza, affinchè la prudenza eludesse l'astuzia del multiforme ingannatore, e traesse il rimedio là appunto donde il nemico ci aveva recato danno.

"Quando dunque giunse il sacro momento del tempo prestabilito,

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il Figlio, il Creatore del mondo, fu inviato dalla magione paterna, e divenuto carne nel seno d'una Vergine, venne alla luce.

Pargoletto giacque e vagì dentro un angusto presepio; la sua vergine Madre gli avvolge e lega le membra con poveri pannicelli, stringendo tra le fasce le mani, le gambe e i piedi.

Avendo finalmente compiuto in sei lustri la sua mortal carriera, il Redentore spontaneamente, essendo nato appunto a tale scopo, venne innalzato su d'una croce, a simiglianza d'un agnello che deve immolarsi.

Quindi l'aceto, il fiele, la canna, gli sputi, i chiodi, la lancia; il suo mite corpo venne ferito e ne sgorgò un flutto di sangue, dal quale, a simiglianza d'un fiume, vennero purificati la terra, il mare, gli astri e l'universo intero.

O albero alto, abbassa i tuoi rami, ammorbidisci il tuo largo tronco e fa sì che diminuisca la tua natural durezza, onde meno crudamente tu distenda le membra del celeste Re.

Tu solo fosti degno di portare il riscatto del mondo; tu che a guisa di pilota indirizzi al porto il mondo naufrago; tu cui cosparse il sacro sangue uscito dalle membra dell'Agnello.

In ogni luogo si canti gloria ed onore a Dio altissimo, al Padre, al Figlio, all'inclito Paraclito, cui indivisa è la lode e la potenza per tutti i secoli. Amen".

Terminata l'adorazione della santa Croce, il diacono la ripone sull'altare i quindi insieme col suddiacono distende sulla mensa le tovaglie per la santa Comunione. A questo momento, nell'antico rito romano, i leviti recavano al Papa il cofanetto colla sacra Eucaristia consacrata in Laterano nel giorno precedente; però, quando nel secolo XV le funzioni pontificie, invece che a Roma o nelle basiliche stazionali, cominciarono a svolgersi entro gli angusti limiti del palazzo papale d'Avignone, i Pontefici di quel periodo preferirono di andare essi stessi e di trasportare processionalmente la santa Eucaristia dall'altare ov'era custodita.

Nel ritorno della processione si canta quest'altro inno di Venanzio Fortunato, il quale però non ha nulla a vedere colla processione eucaristica:

"Ecco, apparisce il vessillo del monarca e s'irradia il mistero della Croce, pel quale il Creatore dell'uomo, nell'umanità sua stessa venne sospeso alla Croce.

Ferito inoltre dalla punta tagliente d'una lancia, ne sgorgò fuori acqua e sangue onde lavarci dai delitti.

Si è compiuto finalmente quanto con verace vaticinio aveva pre-

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detto David, allorché disse: Dio ha inaugurato da un patibolo il suo dominio sulle nazioni.

Albero glorioso e splendente, adorno di regal porpora, che per mezzo del tuo nobile tronco fosti reso degno e prescelto a toccare membra sì sante;

Te beato, dalle cui braccia pendé sospeso il riscatto del mondo; quando, al pari d'una statera, venne affisso a te (il corpo di Gesù) e togliesti la sua preda al Tartaro.

Salve, o Croce, unica speranza nostra in questo tempo consacrato alla memoria della passione (di Gesù); rafforza la virtù nei buoni e dona il perdono ai rei.

Ogni creatura te lodi, o Dio, Trinità sommai governa per tutti i secoli quanti conduci a salvezza mediante il mistero della Croce. Amen.

Deposto sull'altare il divin Sacramento, giusta gli Ordini Romani; seguiva il Pater colla santa Comunione i più tardi, per maggior riverenza vi vennero aggiunte altre preghiere, che diedero a questo rito dei Santificati una certa apparenza di messa.

Il sacerdote infatti, mesce nel calice il vino coll'acqua e lo depone sul corporale, indi turificando le oblate, dice:

"Quest'incenso da te benedetto, si elevi, o Signore, sino a te, e discenda su di noi la tua misericordia".

L'incenso simboleggia la preghiera e l'adorazione che noi prestiamo a Dio. È per questo che Giovanni nell'Apocalisse vide l'Angelo presso l'ara del tempio che elevava al cospetto di Dio il turibolo fumigante. L'incenso, spiega egli stesso, sono le opere meritorie dei Santi; gli Angeli in cielo esercitano l'ufficio di mediatori tra Dio e noi. Essi rappresentano alla maestà divina i nostri bisogni e le nostre preghiere, e ci riportano le misericordie del Signore.

Incensando l'altare, giusta il rito consueto, il sacerdote dice:

"La mia prece salga a te, o Signore, siccome incenso; il mio levare le braccia in alto tenga luogo di sacrificio vespertino. Poni, o Iahvé, un sigillo alla mia bocca, custodisci l'apertura dei miei labbri; non inclinarmi il cuore ad azioni malvage, a tramar fatti con scelleratezza".

L'antico sacrificio vespertino d'incenso, di cui parla qui il salmo 140, nel Testamento Nuovo è stato sostituito da quello della Croce, sulla quale Gesù distese le braccia, offrendosi al Padre per noi.

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Restituendo il turibolo al diacono, il sacerdote dice:

"Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma d'una eterna carità. Amen".

"Accoglici, o Signore Dio, collo spirito umiliato e coll'animo contrito, e così oggi si compia alla tua presenza il nostro sacrificio, che riesca a te gradito".

Quest'oggi in segno di lutto si omette propriamente l'offerta del sacrificio Eucaristico. In compenso, si presenta al Signore il merito di quello cruento del Calvario, cui ci associamo mediante l'umiliazione e la contrizione del cuore:

Verso il popolo: "Pregate, o fratelli, perché il mio e vostro sacrificio riesca accetto a Dio Padre onnipotente".

Si omette l'intera anafora consacratoria e si passa subito alla prece domenicale, che in antico era per eccellenza la preghiera d'immediata preparazione alla santa Comunione.

Nella liturgia romana, tutte le anafore consacratorie e l'Orazione domenicale, per maggior rispetto, vengono precedute da una breve formola (= prefazio) di preparazione:

Preghiera. - "Memori dei salutari precetti, - di partecipare cioè ai tuoi sacri Misteri - ed ammaestrati alla scuola del santo Vangelo, noi finalmente osiamo dire: Padre nostro, che sei nei cieli ecc.".

R). "Ma liberaci dal male".

Sac. "Amen".

"Liberaci, o Signore, te ne preghiamo da ogni avversità passata, - condonandoci la pena dovuta alle trascorse colpe - presente e futura; e per l'intercessione della beata e gloriosa sempre Vergine Maria, Madre di Dio, dei beati Apostoli Pietro, Paolo, (Andrea) e di tutti i Santi, propizio rendi ai giorni nostri la pace; onde soccorsi dalla tua misericordia, sfuggiamo sempre il peccato e viviamo al sicuro da ogni turbamento. Per il medesimo Signor nostro ecc." .

Il celebrante prima della fractio panis, solleva in alto a vista del popolo il calice colla santa Ostia, affinché i fedeli rimirino ed adorino il divin Sacramento. Indi frange la sante Specie e ne ripone una particella nel calice a santificare così il vino e l'acqua, che in questo giorno non si consacrano, giacché solo simboleggiano il sangue e l'acqua sgorgati dal costato trafitto di Gesù.

Il sacerdote prima di comunicarsi recita la seguente:

Preghiera. - "Il tuo corpo, o Gesù Cristo, mio Signore, al quale io indegno presumo di partecipare, non mi si converta in motivo di

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giudizio e di condanna, ma, nella tua misericordia, valga siccome una medicina a custodirmi la mente e il cuore. Tu che vivi e regni ecc.

Riceverò il pane del cielo e invocherò il nome del Signore.

Signore, non sono già degno che tu ponga piede sotto il mio tetto, ma di' solo una parola e sarà sanata l'anima mia. (Tre volte).

Il Corpo del Signor nostro Gesù Cristo custodisca l'anima mia per l'eterna vita. Così sia".

Giusta i più antichi Ordini Romani, anche oggi il popolo si accostava alla santa Comunione. Questa partecipazione ai divini Misteri oggi assumeva un significato affatto speciale, quale ci è indicato da san Paolo. Il partecipare alla carne della vittima, è un esprimere la propria solidarietà al sacrificio, onde comunicandoci, noi entriamo a parte dei meriti della morte del Signore.

Dopo la Comunione. "Quello che abbiamo ricevuto visibilmente, fa, o Signore, che lo possediamo colla purità dell'animo, onde il dono conseguito durante la vita presente, si trasformi in farmaco per l'eternità".

Terminata la messa dei presantificati, si tolgono dall'altare le tovaglie e i candelabri, siccome facevasi in antico ogni volta che terminava il divin Sacrificio.

In questo giorno nel medio evo il Papa, oltre il solito cursus dell'Ufficio, - il quale ancora adesso nei tre ultimi giorni della settimana santa mantiene intatto il primitivo tipo dell'Ufficio Romano, senza Deus in adiutorium, senza inni, senza dossologie responsoriali - recitava in privato l'intero Salterio. Quest'uso era imitato anche da molti laici e perdura tuttavia presso alcune famiglie religiose.

Gli Ordini Romani prescrivono che nel palazzo Pontificio oggi non si somministri ad alcuno vivande cotte, ma solo pane, acqua ed erbe.

Gesù è morto per me. Egli mi ha tanto amato, che ha sacrificato la sua vita per me. Anzi, perché io non perdessi la memoria del suo amore, ha voluto istituire il sacrificio Eucaristico, il quale commemorando quello del Calvario, me ne applica tutti i meriti. Per questa ragione la Chiesa ogni giorno celebra i funerali di Gesù, perché Ella, al pari d'Eva che balzò fuori dal fianco di Adamo addormentato, oggi sgorgò dal Cuore adorabile di Gesù in croce. Che mistero profondo cela l'odierna liturgia! Muore Gesù e nasce la Chiesa. Egli spira denudato e dissanguato, per rivestire la Chiesa della stola dell'immortalità e per infonderle la gioia d'una imperitura giovinezza. Per corrispondere all'eccesso dell'amore di Gesù, - è la parola che adopera il santo Vangelo - dobbiamo professare -

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un tenero culto pel sacrificio Eucaristico e per l'immagine del divin Crocifisso, cui non dovremmo mai riguardare senza intenerirci e scioglierci tutti in lagrime di riconoscenza per tanto beneficio. Così appunto fa l'Eterno Padre: ogni volta che noi gli presentiamo l'effigie della Croce, Egli s'intenerisce, come venne già rivelato a santa Gertrude, e si muove a grande pietà per noi peccatori.

Togliamo dalla liturgia bizantina l'antifona seguente:

Vitale Cor tuum, tamquam fons ex Eden scaturiens, Ecclesiam tuam, Christe, tamquam rationalem ortum adaquat: inde, tamquam ex praecipuo fonte se dividens in quatuor Evangelia: mundum irrigans, creaturam laetificans, gentesque fideliter docens venerari regnum tuum.

  nnnnnn

 

Il tuo Cuore vitale, quale altra sorgente che scaturisce dall'Eden, irriga, o Cristo, al pari d'un giardino spirituale, la tua Chiesa. Da questa prima scaturigine la fiumana si divide in quattro Vangeli, affine d'irrigare l'orbe, di riempire di letizia gli uomini, e d'ammaestrare le genti ad adorare la tua possanza.

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[1] "Non è permesso che un Profeta venga messo a morte fuori di Gerusalemme", Luc., XIII, 33.

[2] "Ecco il legno della Croce".

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 212-230.

 

 

 

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