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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > IV. La Sacra Liturgia durante il ciclo Pasquale > Domenica in Albis

 

 

Missale Romanum

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DOMENICA “IN ALBIS”

Al mattino - stazione a San Pancrazio;

alla sera - stazione ai Santi Cosma e Damiano.

 

 

Giusta un antico uso romano, che data almeno fin dai tempi di san Gregorio Magno, le basiliche cimiteriali dei Martiri, a cagione della loro lontananza dalla Città, non vengono mai prescelte siccome meta delle processioni stazionali; ma in un giorno solenne come è questo dell’Ottava di Pasqua, in cui tutto ancor parla d’infanzia spirituale, si fa eccezione per la tomba d’un martire giovinetto, il quattordicenne Pancrazio. La sua basilica sepolcrale sulla via Aurelia venne eretta da papa Simmaco, indi fu restaurata da Onorio I e da Adriano I. Come a Ravenna sul sepolcro di sant’Apollinare, così a Roma i giuramenti solenni solevano pronunciarsi su quello di san Pancrazio; il quale uso, attestatoci già da Gregorio di Tours, li conservò almeno fino al secolo XIII. Presso la basilica, san Gregorio Magno istituì un’abbazia, che però, a distinguerla da quella dedicata a san Pancrazio presso il Laterano, venne intitolata al martire Vittore. La devozione romana a san Pancrazio ai tempi del medesimo Dottore della Chiesa valicò i mari, e giunse sino in Inghilterra; ed è noto che i monaci Lateranensi, inviati da san Gregorio alla conversione di quell’isola, tra le prime basiliche che eressero su quel lontano lido, una ne dedicarono a san Pancrazio, l’antico titolare del loro primo cenobio romano.

Giusta l’antico concetto romano, coi vesperi di ieri terminava la settimana di Pasqua; onde la colletta della messa di ieri voleva ricordare appunto la conclusione della solennità pasquale. Quindi oggi i neofiti, in segno che la festa è terminata, depongono le loro bianche tuniche per riprendere le vesti consuete, e la Chiesa nella colletta

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della messa considera la solennità pasquale siccome una festa ormai celebrata. È questa la ragione per cui il divin Ufficio dell’odierna domenica non è già quello del giorno di Pasqua, ma il consueto delle Domeniche, avuto tuttavia riguardo al ciclo liturgico pasquale, che si protrae sino al sabato dopo la Pentecoste.

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L’antifona d’introito che precede il salmo 80, è tratta dalla prima lettera di san Pietro (II, 2), dove invita i neofiti a gustare le dolcezze che il Signore prodiga loro in quei primordii della vita cristiana; “A guisa di teneri pargoletti or ora nati alla vita spirituale, gustate pure del latte spirituale, sincero; lodate Iahvé”.

Salmo: ”Esultate a Iahvé, nostro aiuto, giubilate al Dio di Giacobbe”.

V). “Gloria”.

Quando il Signore ci conforta colle sue consolazioni, prendiamole, siccome faceva Giobbe, de manu Domini. Se il Signore ci tratta col latte e coi dolciumi, siccome i bambini, non vogliamo fare gli sprezzanti, quasi che a noi convenisse il cibo più solido degli adulti. Il Signore sa quello che meglio ci conviene, ed è un gran secreto della vita spirituale quello di mantenerci sempre dinnanzi a Dio nelle disposizioni di sincerità, d’umiltà e d’abbandono, che caratterizzano la nostra santa infanzia spirituale.

Nella colletta si prega cosi: “Fa, o Signore onnipotente, che avendo già terminato le feste pasquali, per grazia tua possiamo proseguirle nella vita e nelle opere. Per il Signore, ecc.”. - Costumi pasquali nelle opere, significano vita di resurrezione e di candore.

L’epistola di san Giovanni (I, v, 4-10) è specialmente diretta contro la “gnosi” che negava la divinità di Gesù Cristo, sostenendo che la natura divina gli si era unita nel momento del suo battesimo nel Giordano, e che lo aveva abbandonato sul Calvario. L’Apostolo insiste, insegnando che il Verbo si è unito ipostaticamente alla natura umana, e non già solo nel Giordano: non in aqua solum, sed in aqua et sanguine, cioè sin dall’istante della sua verginale concezione nel castissimo seno di Maria. Chi conserva questa fede cattolica, nutre in se stesso la testimonianza di Dio, mentre solo Dio infonde nel cuore umano questo raggio della propria luce inaccessibile.

Il verso graduale è tratto dal Vangelo di san Matteo (XXVIII, 7): “Lodate, lodate lahvé! Giunto il tempo della mia resurrezione, vi precederò nella Galilea”.

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Quest’apparizione solenne e generale il Signore la promise, non tanto per gli undici Apostoli, ai quali del resto Egli apparve più volte a Gerusalemme, quanto per tutta la turba dei discepoli e dei credenti, ai quali effettivamente apparve, come ci attesta san Paolo, mentre erano raccolti in numero di oltre cinquecento.

Il verso alleluiatico è quasi un preludio del Vangelo che segue: “Lodate Iahvé (Giov. XX, 26). Otto giorni appresso, a porte chiuse, apparve Gesù in mezzo ai suoi discepoli, e disse loro: sia pace a voi”.

La seguente lezione evangelica (Giov. XX, 19-31) narra di due distinte apparizioni di Gesù agli Apostoli: la prima, nella sera stessa di Pasqua, quando istituì il sacramento della confessione, l’altra otto giorni dopo, quando volle che Tommaso palpasse le sue piaghe. È significativo che sia stata accordata agli Apostoli la podestà di rimettere i peccati proprio il giorno della resurrezione del Cristo. Quello era un giorno di letizia e di trionfo, e perciò ben si conveniva che in esso la divina misericordia istituisse il Sacramento che viene a rimuovere da questa terra il lutto ed il pianto, e richiama i peccatori a nuova vita. A memoria del qual fatto, anche adesso il senso cristiano vuole che i fedeli innanzi di partecipare al Sacramento Pasquale, impetrino dal sacerdote l’assoluzione sacramentale dello proprie colpe. Nel linguaggio del nostro popolo, che però è così espressivo e riflette una profonda educazione cattolica, l’accostarsi in occasione della santa Pasqua a questi due sacramenti, si dice far Pasqua. Tanto adunque intimo è il nesso tra la resurrezione del Signore e la riconciliazione sacramentale dei penitenti. In antico la riconciliazione dei publici penitenti avveniva appunto il giovedì e il venerdì santo.

La seconda apparizione di Gesù nel cenacolo avvenne per confutare lo scetticismo di Tommaso. Per credere, egli voleva toccare materialmente, ed Iddio permise questo difetto, perché poi la medicina onde fu guarito lui servisse a curare l’incredulità di tutte le future generazioni. La resurrezione del Signore non lascia alcun dubbio; essa prima che fosse creduta, fu veduta, fu anzi palpata da persone tutt’altro che propense ad ammetterla.

Il verso offertoriale è identico a quello del lunedì precedente. La Chiesa Greca nella seconda domenica dopo Pasqua celebra una festa speciale in onore delle sante Donne Mirofore, apportatrici cioè degli unguenti al Sepolcro. La liturgia latina ne intesse le lodi a tutto l’ufficio della settimana pasquale.

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Nella colletta sulle oblate preghiamo il Signore a gradire il sacrificio della Chiesa esultante i supplicandolo a far sì che il gaudio pasquale si converta in pegno di quel gaudio imperituro, che ci attendiamo in cielo.

La santa gioia cristiana, ecco la caratteristica del Cristianesimo. La gioia che deriva dalle ineffabili ricchezze del contenuto dogmatico e morale evangelico, dai santi Sacramenti, dalla grazia santificante, dall’educazione della madre Chiesa. Quelli che sono fuori della comunione cattolica non possono sperimentare questa fonte d’intima gioia spirituale, la quale inonda le anime a misura che più partecipano dello spirito della Chiesa Cattolica. Più gioia, più gioia, dovrebbe essere la nostra parola d’ordine per istituire una santa crociata contro quel sentimentalismo malinconico, che tenta di penetrare nella pietà dei fedeli. Più gioia, e per goderla bisogna riportare i cristiani alle sue vere fonti, che sono la pietà cattolica.

Nell’antifona per la Comunione si ripetono le parole di Gesù a Tommaso. Partecipando del Sacramento, anche noi palpiamo per mezzo della fede le piaghe delle mani e del costato di Gesù, e confessiamo la sua resurrezione, in quanto che crediamo che quelle carni di cui ci nutriamo spiritualmente, non sono già più le carni del cadavere d’un crocifisso, ma è il corpo glorioso d’un Dio immolato per noi, ma risuscitato e vivente.

La colletta dopo la Comunione ha un carattere generico: “il Sacramento di nostra riparazione, divenga altresì farmaco contro i morbi della vita presente e pegno dell’immortalità futura”. Sono appunto i concetti espressi da S. Tommaso nella sua antifona: O Sacrum Convivium.

Quando per opera dei Bizantini il culto ai Martiri Cosma e Damiano raggiunse in Roma un alto grado di celebrità, le stazioni pasquali già da lunghi anni erano state distribuite fra le più insigni basiliche della città, senza che restasse più luogo per quella che Felice IV volle dedicata ai medesimi Martiri sulla Via Sacra. Perciò la stazione a quest’ultima basilica venne fissata la seconda domenica dopo Pasqua. Quest’ordinamento tuttavia non durò a lungo; la seconda domenica pasquale col Vangelo del buon Pastore, portava naturalmente il pensiero a san Pietro; onde per riguardo dei Martiri Cosma e Damiano si finì per fare una specie di compromesso; la seconda domenica dopo Pasqua la stazione fu fissata alla basilica Vaticana, ma insieme si determinò che quest’oggi nel pomeriggio il

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Papa si recasse a celebrare la stazione vespertina ai Santi Cosma e Damiano. Giusta gli Ordini Romani, ivi il clero titolare soleva imbandire "in quest’occasione al Pontefice e alla sua comitiva una frugale cena, consistente in pane, vino, latticini e lattughe.

In grazia della santa Eucaristia, Gesù ci mette a parte di tutto intero il mysterium fidei, tanto della sua passione, che della sua resurrezione. Noi all’altare partecipiamo alle carni della vittima immolata e quindi questa inocula in noi dei germi di morte. Di morte mistica intendiamo alla nostra corrotta natura, al peccato ed allo spirito del mondo. Nel tempo stesso Gesù, che trovasi sotto i veli eucaristici, è Gesù veramente risorto, glorioso e trionfante, il quale c’incorpora a lui per metterci a parte delle sue gioie, delle sue vittorie, della sua vita di resurrezione. La divina Eucaristia produce in noi questo doppio effetto, compiendo per l’appunto quello che diceva Paolo ai suoi primi fedeli: Voi siete morti, e la vita vostra in unione a quella del Cristo è riposta in Dio (Ep. ai Coloss. III, 3).

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - IV. Il Battesimo nello Spirito e nel fuoco (La Sacra Liturgia durante il ciclo Pasquale), Torino-Roma, Marietti, 1930, pp. 100-104.

 

 

 

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