UNA VOCE VENETIA  

Messe latine antiche nelle Venezie 
Venezia | Belluno | Bolzano | Gorizia | Mantova | Padova | Pordenone | Treviso | Trieste | Udine | Verona | VicenzaVittorio Veneto

 

 

A che punto siamo?

La notizia, data sul Giornale del 2 febbraio da Andrea Tornielli, della riunione del Santo Padre con i cardinali indetta per il 13, senza dubbio suscita e alimenta la speranza dei cristiani legati all'antica liturgia. Si parla di nuovo di "liberalizzazione" della messa tridentina, vale a dire che sia riconosciuto espressamente che il messale di san Pio V è ancora in vigore e ne sia garantito l'uso. Non si conosce nulla sull'atto che verrà compiuto né sul suo contenuto, ma Tornielli parla di "parziale liberalizzazione dell'uso del messale antico": avrebbe lo scopo di superare l'ostruzionismo degli ordinari diocesani all'applicazione dell'Indulto del 1984-1988, che - di ciò si ha ormai coscienza - ne ha determinato il fallimento. Già negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II si vociferava di un provvedimento per superare i problemi dell'Indulto, ma non si è mai saputo in che modo si sarebbe dovuto raggiungere l'effetto. Va detto che il riconoscimento della piena libertà di celebrare l'antica messa - quanto l'associazione Una Voce chiede dagli anni sessanta, già da prima della riforma di Paolo VI - è un atto giusto, opportuno, necessario, un diritto. Infatti è stato e continua a essere avversato da tutti i nemici della Chiesa, interni ed esterni. Però, da solo, esso non sarebbe sufficiente a garantire di "celebrare alla vecchia maniera ai gruppi di fedeli che lo chiedano". Occorre che anche da parte dei responsabili ecclesiastici, vescovi, parroci, rettori di chiese, venga meno la faziosità e l'intolleranza, la "messa all'indice" di cui parlava il card. Ratzinger, altrimenti la stessa liberalizzazione totale potrebbe avere ben scarsi effetti reali. Non resta che attendere le decisioni del Santo Padre.

Sul rientro della Fraternità San Pio X, che se ne parli nella riunione del 13 con i cardinali - e d'altra parte si è appreso che il 7 e l'8 febbraio si riunirà il consiglio della Fraternità con la presenza di tutti i vescovi per discutere sullo stesso argomento - induce a ritenere che le trattative riservate iniziate dopo l'udienza di mons. Fellay del 29 agosto siano pervenute a un risultato, una proposta di accordo che ora viene valutata dalle due parti. Certamente, data la riservatezza, non si conoscono gli esatti termini di questo accordo, se non alcune indicazioni molto generali e generiche. In primo luogo, l'accento dato al prospettato ritiro della scomunica - che tra l'altro la Fraternità ha sempre detto non essere valida - non fa che mettere in secondo piano il vero problema. Infatti è naturale che una volta raggiunto l'accordo la scomunica sarà formalmente tolta, non può che essere così, ma quello che è interessante è appunto l'accordo e in che termini sarà questo accordo. Nella analoga riunione con i cardinali del 2002, Giovanni Paolo II davanti alle opposizioni lasciò cadere la decisione: ora anche stavolta è probabile vi siano opposizioni, bisogna vedere se Benedetto XVI le seguirà come il suo predecessore, oppure deciderà, o ha deciso, di fare comunque l'accordo. D'altra parte vedremo in quali termini e con quali mezzi sarà garantito alla Fraternità di continuare a celebrare la messa e a svolgere il suo apostolato: se la Santa Sede darà garanzie maggiori che nel protocollo Ratzinger-Lefebvre del 1988 e nell'accordo di Campos. Il rientro della Fraternità è senza dubbio un fatto positivo, tra l'altro consente ai cristiani di usufruire delle messe celebrate nelle sue cappelle senza essere ghettizzati come "scismatici" e autori di ogni altra nefandezza. Ma se i sacerdoti della Fraternità continueranno a dire la messa antica e a proporre la dottrina cattolica tradizionale non è difficile prevedere che continueranno a essere perseguitati dentro la Chiesa, anche se in altri modi. Il rischio è che il rientro si trasformi in una "normalizzazione" e in un appiattimento sulla riforma liturgica e sul cristianesimo postconciliare (anche se entrambi danno sempre più evidenti segni di sfaldamento), con la conseguenza che la vocazione della Fraternità San Pio X potrebbe uscirne in qualche modo limitata, alterata o addirittura tradita.

Fabio Marino

____________________

        INTERVENTI     

Il Papa vuol togliere la scomunica ai seguaci di Lefebvre

Benedetto XVI convoca una riunione dei cardinali di Curia: all'ordine del giorno anche l'uso libero dell'antico messale latino

di Andrea Tornielli

da Roma

 

La notizia corre online, sui siti Internet tradizionalisti. Qualcosa si muove nelle relazioni tra la Fraternità San Pio X e il Vaticano: presto il Papa potrebbe far cadere la scomunica che ha colpito i vertici del gruppo fondato dal monsignor Lefebvre, che conta quattro vescovi, 480 preti e centinaia di migliaia di fedeli in tutto il mondo. E qualcosa si muove davvero: la mattina di lunedì 13 febbraio, alle 10.30, Benedetto XVI ha convocato nel palazzo apostolico una riunione con i cardinali responsabili dei "ministeri" vaticani, proprio per discutere della possibilità di togliere la scomunica ai vescovi che furono ordinati da monsignor Lefebvre nel 1988 senza il permesso del Vaticano. Ma c'è di più. L'altro punto importante all'ordine del giorno della riunione riguarda infatti tutto il mondo tradizionalista, anche quello in comunione con Roma: si discuterà infatti come rendere più libero l'uso dell'antico messale preconciliare, che la Chiesa ha usato fino all'ultima riforma liturgica. Già oggi, almeno sulla carta, questa possibilità di utilizzo esiste, per volontà di Giovanni Paolo II. In realtà, però, la concessione della Messa antica ai gruppi di tradizionalisti che ne fanno richiesta è a discrezione dei vescovi diocesani, che in molti casi oppongono un netto rifiuto.

Ma torniamo ai lefebvriani. Protagonista delle trattative, coperte dal più stretto riserbo, è stato in questi mesi il cardinale Darío Castrillón, Prefetto del clero, mentre il suo collega Julián Herranz, che si occupa dell'interpretazione dei testi legislativi, già da tempo ha predisposto un'ipotesi di accordo canonico che prevede l'istituzione di un'amministrazione apostolica. I seguaci di Lefebvre dipenderebbero in questo modo direttamente dalla Santa Sede, mantenendo le loro strutture e l'uso del messale antico.

La riunione con i capi dicastero arriva dopo l'udienza concessa dal Papa ai responsabili della Fraternità, Bernard Fellay e Franz Schmidberger, lo scorso 29 agosto a Castelgandolfo. Al termine di quell'incontro, la Sala stampa vaticana emise un comunicato nel quale si leggeva che esso si era svolto "in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare alla perfetta comunione", procedendo "per gradi e in tempi ragionevoli". In quella occasione Fellay chiese che venissero tolte le scomuniche ai vescovi lefebvriani. Non è la prima volta che in Vaticano, ai livelli più alti, si discute di questa vicenda. Il pomeriggio del 22 marzo 2001, lo stesso Wojtyla presiedette una riunione di cardinali dedicata a questo argomento, durante la quale vennero sollevate obiezioni da porporati molto autorevoli. "Ho capito che i tempi non sono maturi", sancì alla fine Giovanni Paolo II. Successivamente, nel gennaio 2002, un accordo vi fu, ma solo con la comunità lefebvriana di Campos, in Brasile.

Oggi la situazione è cambiata. La Fraternità ha manifestato il desiderio della piena comunione con Roma e il Papa, con l'importante discorso per gli auguri di Natale alla Curia, ha spiegato che il Vaticano II è stato male interpretato da quanti, in nome di un non meglio precisato "spirito del Concilio", hanno concesso spazio "ad ogni estrosità". In quel discorso, Benedetto XVI rispondeva anche all'obiezione dei lefebvriani contro il decreto conciliare sulla libertà religiosa, affermando che essa non deve diventare la "canonizzazione del relativismo" ma rappresenta una "necessità derivante dalla convivenza umana, anzi una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno". La fede va proposta, mai imposta.

Per quanto riguarda l'altro punto all'ordine del giorno della prossima riunione dei cardinali, la parziale liberalizzazione dell'uso del messale antico, è grande l'attesa dei fedeli tradizionalisti, verso i quali in questi anni il cardinale Ratzinger ha sempre manifestato attenzione: "Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia (preconciliare, ndr) o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura - disse nel 2000 - viene messo all'indice; ogni tolleranza viene meno". Oggi, diventato Papa, sembra intenzionato a mandare un segnale distensivo anche in quella direzione, per rendere meno problematico celebrare alla vecchia maniera ai gruppi di fedeli che lo chiedano.

 

da "Il Giornale", 2 febbraio 2006

 

 

ARTICOLI CORRELATI

 

 

 

Inizio Pagina


Chi siamo | Agenda | Messe | Calendario | Documenti | Liturgia | Dottrina | Sollemnia | Libri | Rassegna stampa | Archivio | Link | Email | Home


Inserito il 6 febbraio 2006

© 2001-2006 Coordinamento di Una Voce delle Venezie. All Rights Reserved.