Messe latine antiche nelle Venezie 
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Un'intervista esclusiva con mons. Fellay, superiore della Fraternità San Pio X

Dopo il suo incontro
con Benedetto XVI

Dichiarazioni raccolte da Olivier Figueras

 

Monsignore, Lei ha incontrato Benedetto XVI a fine agosto, in quali circostanze ha avuto luogo questo incontro?

È dall'anno 2000 che abbiamo delle discussioni con Roma per provare a vedere come si possono migliorare le nostre relazioni con la Chiesa ufficiale. Ma va detto che il primo passo è venuto da Roma. Abbiamo sempre affermato di essere cattolici, e lo abbiamo manifestato con il pellegrinaggio dell'anno santo a Roma - questo pellegrinaggio ha molto segnato gli spiriti, anche nella Curia. Penso che sia stato determinante nel passo delle autorità romane. Tuttavia è certo che la nostra analisi della situazione attuale della Chiesa è diversa dalla loro. Proprio questo è il nodo del problema. Ma, in questo contesto, abbiamo ritenuto utile, e anche necessario, manifestare pubblicamente di essere cattolici, e di riconoscere il Santo Padre, testimoniandogli il nostro rispetto. Abbiamo anche provato, constatando la sua preoccupazione di fronte alla crisi della Chiesa, a suggerirgli che la Tradizione potrebbe essere la soluzione di questa crisi, della qual cosa siamo per parte nostra intimamente persuasi.

Il Papa ha il vantaggio di conoscere perfettamente il caso. A DICI Lei ha sottolineato tre punti in particolare richiamati dal Santo Padre per un miglioramento della situazione: lo stato di necessità che invocate, in rapporto col vostro legame con il Papa; l'interpretazione del Concilio alla luce della Tradizione; e la questione, più pratica, del modo strutturale in cui ciò potrebbe prendere forma. Questa udienza ha portato un primo elemento di risposta alla vostra domanda?

Ci sono evidentemente punti comuni. Non è un dialogo tra sordi. Ci sono punti di incontro dove ci si riesce a spiegare. Altrimenti, qualsiasi discussione sarebbe del tutto inutile. Tuttavia, ed è il nostro dramma fin dall'inizio, ci scontriamo con una incomprensione della nostra posizione da parte di Roma. Tuttavia penso che si arrivi, poco a poco, a fare meglio comprendere la nostra azione. Non c'è ancora una comprensione completa, ma c'è un progresso evidente. E perché questo progresso continui, umanamente parlando, non c'è altra soluzione che parlarsi, oppure occorre una grazia infusa che Dio accordi ai nostri interlocutori. Di qui, ed per noi è una ragione fondamentale, la volontà di affrontare il problema con la Santa Sede per risolverlo. Questo non vuol dire risolvere il problema come può intenderlo l'opinione comune, cioè si fa un accordo ed è tutto a posto. Qualcuno, infatti, potrebbe dire: la Fraternità San Pio X ha un contenzioso con l'autorità romana, ora l'autorità romana è disposta al negoziato per arrivare a un accordo, dunque fate l'accordo e tutto è a posto. Questo ragionamento presuppone che noi poniamo un problema a Roma, un problema, certo, ma non siamo noi il problema. Siamo soltanto un indicatore. La nostra situazione è solo la conseguenza del  grave problema che è nella Chiesa. E, finora, si aveva l'impressione che le autorità nella Chiesa - la gerarchia in generale, non soltanto Roma, ma anche i vescovi diocesani - non volessero vedere questo problema che per noi è un'evidenza: c'è un problema nella Chiesa, ed un problema grave. Allora quando si sente il Papa attuale, e, negli anni recenti, il cardinal Ratzinger riconoscere che c'è una grave crisi nella Chiesa, in un certo modo questo ci conforta e ci ridà speranza. Perché è chiaro che, se si vogliono cercare le soluzioni, bisogna innanzitutto riconoscere che c'è il problema. È per questo che io penso che si sta andando avanti. Su questa strada si deve continuare per arrivare alla vera soluzione. È vero che il cardinal Ratzinger è vicino al caso da molto tempo. In questo senso, egli è tra coloro che sono i più sensibili a percepire il problema.

Questo andare avanti ha conosciuto un salto qualitativo con il cambiamento di pontificato, o è solo la continuazione di un progresso iniziato da tempo?

Un po' tutt'e due le cose. Penso che ci sia un progresso con il nuovo Papa. È un progresso qualitativo? Lo spero! Non ne sono del tutto certo. Ma lo spero comunque. Il giornalista italiano Messori racconta un piccolo episodio: "Un giorno - dice - ho provato a fare riconoscere a Giovanni Paolo II che, comunque, ci sono cose che non vanno nella Chiesa. Il Papa ha sbattuto il pugno sul tavolo, come a dire che tutto va bene". Contemporaneamente c'era un cardinal Ratzinger il quale riconosceva che non tutto andava bene. Penso realmente che ci sia in Benedetto XVI una volontà  di frenare alcune spinte in avanti del Concilio. Possiamo dire bloccarle? Lo penso. Eliminarle? Lo spero. Ma dove porta tutto ciò? Qui sono esitante a parlare di un salto di qualità, infatti ritengo che nella sostanza siano gli stessi princìpi quelli che animano Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Ma mi sembra proprio che Benedetto XVI voglia andare meno lontano.

Fin dove arriva, per Lei, lo stato di necessità, quando vediamo Campos, su cui si sanno le vostre riserve, o, più in generale, i luoghi di culto accordati qua e là, più spesso negli ultimi tempi? Dove collocate il confine?

Lo stato di necessità è uno stato nel quale si è obbligati a ricorrere a mezzi che escono dall'ordinario per sopravvivere. In altre parole, se eseguendo gli ordini che ci saranno dati nella struttura canonica che ci si vorrà offrire, si danneggia il bene delle anime a livello della fede o della liturgia, ecc., ciò si chiamerà uno stato di necessità. Non ci sarà più stato di necessità quando i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione potranno vivere in maniera normale, e avere uno sviluppo normale della loro vita cattolica. Ciò non vuol dire che allora non ci sarà più nessun disordine nella Chiesa. Ma è anzitutto una questione di diritto: se i princìpi sono stabiliti chiaramente nella Chiesa, se per esempio il Papa dice: la Tradizione ha il diritto di vivere, in questo caso non si potrà parlare più di stato di necessità. Uno statuto canonico come quello di Campos elimina lo stato di necessità? Non ne sono sicuro. Perché questo statuto è sottoposto a condizioni e le condizioni sono sempre le stesse: l'accettazione della nuova messa e del Concilio! Qui è il problema. Diciamolo francamente: per quale motivo tanti fedeli vengono da noi? La maggior parte perché sono stati urtati dalla liturgia conciliare. Allora hanno fatto un passo che gli è costato enormemente, perché è stato un colpo per loro. Ora hanno trovato la pace grazie alla liturgia tradizionale, e si dovrebbe dire loro: normalizziamo la vostra situazione, voi potrete avere la messa tridentina, ma bisogna che accettiate l'altra che vi ha fatto tanto male. In altre parole, se volete avere una situazione normalizzata, siete obbligati ad accettare come norma qualcosa che vi urta. È duro da accettare.

Ma se accettate le discussioni attuali, la soluzione, dal punto di vista umano, non può non passare per una coabitazione? Sembra difficile ottenere in un colpo solo un'inversione di tendenza! E, in una stessa casa, la regola dev'essere comune. Altrimenti sono due case parallele.

Proprio così. Distinguo due cose: il principio e le sue conseguenze correnti. Per esempio, in una casa c'è una fuga di gas che alimenta un incendio. Dopo che avete interrotto il gas, l'incendio durerà ancora un po', ma finirà per spegnersi. È quello che noi chiediamo: che si combatta la causa, che si chiuda il gas. Anche se in questo momento c'è ancora fuoco, siamo d'accordo di collaborare, ma occorre che il principio distruttivo sia identificato e che il gas sia effettivamente interrotto.

Ma è soltanto un'analogia!

Ah no! È molto più di un'analogia. I princìpi della tradizione devono essere ristabiliti. Finché questi principi non sono ristabiliti, non possiamo collaborare. Significherebbe collaborare con l'incendio, se lasciamo intatti i principi di distruzione.

Si tratta, quanto meno, di una enorme differenza di prospettiva. I princìpi che voi denunciate, sono quelli che loro considerano normali, non una fuga di gas!

Esatto. Occorre approfittare di queste discussioni per portare le autorità romane a una diversa valutazione della situazione. La differenza di prospettiva non è totale; ci sono già personalità, a Roma e fra i vescovi, che hanno perfettamente compreso la situazione e le sue cause. Concretamente: nella Chiesa va male, non ci sono più vocazioni, nella liturgia si fa non importa che cosa, il catechismo non esiste più, le scuole cattoliche potete cercarle! Tutto ciò vuol dire che al giorno d'oggi la vita cattolica è moribonda. Ci sono delle cause. Noi diciamo: finché lasciate sussistere queste cause, non serve a niente collaborare. Mettiamoci d'accordo. Lavoriamo per eliminare queste cause. Se sentiamo che da parte di Roma c'è questa volontà, risponderemo immediatamente "presente". Finché Roma ci dirà: venite a lavorare, ma lasciate che vengano recisi i princìpi della Tradizione, è impossibile.

La questione della messa, che è il punto più semplice delle vostre domande, Le sembra che possa essere liberalizzata in modo parziale. Perché siete così ottimisti da pensare che ci sia una liberalizzazione? e così pessimisti da pensare che non sia completa? Che cos'è una liberalizzazione parziale?

Mi fondo su quanto è avvenuto finora. Si vede molto bene che Roma - il Papa e alcuni prelati - ha perfettamente capito che la messa antica non può essere vietata, che non ci sono argomentazioni teologiche, né argomentazioni canoniche che permettano di proibire questa messa. È una questione di diritto. E dato che Roma lo sa, ne concludiamo che un giorno o l'altro ci sarà una liberalizzazione. Non permettere questa situazione di diritto è un'ingiustizia. Allora perché non una liberalizzazione totale? Perché queste stesse autorità, che da un lato riconoscono tale principio, dall'altra parte si vedono estremamente impedite dall'atteggiamento dei progressisti, e temono una reazione che potrebbe arrivare fino a fargli perdere il controllo della Chiesa. Sono le loro stesse parole. Quindi, un permesso più ampio di quello che c'è oggi, perché si rendono ben conto che l'indulto è attualmente troppo dipendente dalla cattiva volontà dei vescovi perché si possa propriamente parlare di un permesso. Occorre più libertà, ma non troppa libertà per non provocare troppo i progressisti. È un compromesso.

Come potrebbe esprimersi questa liberalizzazione parziale nella pratica?

Molto semplicemente. Chiediamo che sia riconosciuto il diritto della Chiesa. È una questione del diritto, allora riconoscete il diritto. Dite semplicemente: questa messa non è vietata. È tutto; e vedete che cosa avverrà dopo. Lasciate fare l'esperienza della Tradizione.

Ma che cosa farà sì che essa sia solo parziale?

L'opposizione degli ordinari che, da un lato, sono contro questa messa, perché vi vedono la negazione del Concilio e delle riforme e, dall'altro, forse in maniera più pragmatica, vedono in questa liberalizzazione un vederla percepirlo così. Per noi non è questione di vincere o di perdere. È molto più profonda. Noi vediamo in questa messa un principio di soluzione per uscire dalla crisi. Non si tratta di una semplice questione liturgica: è il sacrificio di nostro Signore in una liturgia santa, è un rimedio estremamente potente per ristabilire la vita della grazia, restaurare i princìpi cattolici, la fede, le esigenze morali, che relativamente in poco tempo cambierebbero questo clima deleterio, questo spirito moderno nella Chiesa, che demolisce tutto. È perciò che chiediamo la messa. Non per noi, perché noi già la abbiamo, ma per la Chiesa, per tutti le anime che soffrono, assetate, asfissiate, affinché possano respirare di nuovo. Certo, farà bene anche a noi, ma subito farà bene alla Chiesa. Ancora una volta non siamo noi il problema. Ma potremmo contribuire a dare almeno in parte la soluzione al grave problema della Chiesa.

Se la Fraternità fosse percepita come una pietra d'inciampo, per questo motivo Lei arriverebbe a scioglierla, per placare gli spiriti, se otteneste quello che chiedete?

Non penso che sia la soluzione. Come mons. Lefebvre ci diceva, una volta che il Papa sia rinvenuto, deporremo nelle sue mani il nostro episcopato. Siamo assolutamente pronti a farlo. Ma si vede molto bene che Roma cerca di favorirci, perché percepisce in noi un bene potenziale per la Chiesa. Sarebbe, dunque, controproducente distruggere questo bene potenziale per il bene della Chiesa. E anche contraddittorio.

Ma questa soluzione non si ridurrebbe semplicemente alla posizione della Fraternità. Ci sono le comunità Ecclesia Dei, anche se su alcuni punti si può discutere!

Quando trattiamo con Roma, non trattiamo mai in una prospettiva limitata alla Fraternità. Abbiamo almeno in vista il bene di tutte le comunità legate alla Tradizione. Non possiamo immaginare di fare un piccolo accordo separato, e piantare gli altri in asso.

Lei dice che non ci sono "negoziati" con Roma!

Non ci sono negoziati nel senso che non abbiamo nulla da negoziare. La fede è semplice, non si può farla a pezzi, è o tutto o niente. Noi, noi vogliamo tutto. E questo tutto abbiamo il diritto di riceverlo dalla Chiesa, ed è ciò che noi chiediamo. Nulla di più, ma nulla meno.

È le "serie restrizioni" che Lei ha già evocato a proposito delle vostre discussioni con Roma?

Sì. A tutto quello che comporterebbe una diminuzione della nostra fede, siamo obbligati a dire di no.

Almeno la questione di come leggere il Concilio rappresenta un ostacolo?

Non c'è alcun dubbio, è la pietra d'inciampo.

E il Papa lo percepisce come tale?

Sì lo percepisce come un serio ostacolo!

Ma un punto sul quale accetterebbe di negoziare?

Penso di sì. Nel senso che il Concilio Vaticano II è riconosciuto come qualcosa che non rientra nell'ambito del definitivo. È un concilio che si è voluto pastorale, che  non si è mai detto infallibile, e che per questo motivo può anche essere soggetto alla discussione. E dato che si può discutere - un po' come per la messa antica che non è mai stata abolita, e che noi chiediamo il diritto di celebrare liberamente -, eh allora, questo concilio noi chiediamo la libertà di discuterlo. Precisando che è il Concilio stesso che ha voluto essere pastorale e non dogmatico, dunque legato a circostanze particolari, concrete. È storicamente superabile, per sua stessa natura. Si può discuterne, non bisogna farne un dogma.

Non si può fare come se il Concilio non fosse esistito. Non ci si può ritrovare nel 1958!

No. Ci si troverà nel 2006, nel 2007, nel 2008! Ci si troverà al giorno d'oggi. La Chiesa deve uscire dallo stato pietoso in cui si trova, in quest'epoca che è nostra.

E che cosa potrà ricavare da questa esperienza?

Ne ricaverà, da un lato, che la fedeltà al passato è fruttuosa, e d'altra parte che l'amore del mondo è sterile! Dio interverrà Egli stesso per insegnarcelo? Non è impossibile. Non lo escludo. Ma con tremore.

E le cose buone, gli sviluppi che hanno potuto essere realizzati in questo quadro generale che non accettate!

Ah, certo gli sviluppi felici saranno conservati. La Chiesa è sufficientemente prudente, è guidata dallo Spirito Santo, saprà conservare ciò che è buono.

Potrebbe ora darci il suo pensiero sugli avvenimenti che hanno scosso la Fraternità, e che, se forse non hanno molta importanza per voi, hanno fatto un certo rumore all'esterno?

Hanno fatto rumore, è evidente. Rispondo volentieri. Da un lato, da un punto di vista globale, la situazione della Fraternità è sana, nonostante certe apparenze a carattere locale. Ci sono stati effettivamente, in punti sensibili, alcuni disordini che, dal posto che io occupo, sono problemi che non escono dall'ordinario. In ogni famiglia un po' numerosa, di tanto in tanto ci sono problemi umani. Qui il problema è stato gonfiato mediaticamente, perché, per l'appunto, i sacerdoti che ci hanno lasciati hanno una potenza mediatica notevole. Sono persone dotate! È triste perderli.

Non c'è nulla che possa giustificare la loro posizione? All'interno di una società come la vostra si possono sollevare questioni - anche se, a rigore, non hanno ragione di essere -  senza che ciò determini una tale situazione?

Certamente! questo avviene tutti i giorni. Soltanto, in qualsiasi società ci sono delle norme. Dal club calcistico all'impresa, in qualsiasi società, vi sono un certo numero di leggi che bisogna rispettare, anche quando ci sono dei problemi. Ma quando si tratta di esporre questi problemi, se si vuole giocare al franco tiratore, se si vuole "spaccare tutto", ciò costringe l'autorità a proteggere il bene comune, il bene della società contro questi attacchi. Non si trattava di una semplice contestazione: gli atti erano gravi in sé. Ed è questo che ha causato misure gravi da parte dell'autorità.

Ma non si potrebbe dire che la Fraternità, quando invoca lo stato di necessità nei confronti di Roma, ha mostrato la via da seguire a quelli tra i suoi membri che riterranno esservi una situazione simile all'interno della vostra società?

È un pericolo inerente alla nostra situazione. Noi non avremo mai la pretesa che la nostra situazione attuale sia una situazione normale in rapporto con Roma. È vero che la situazione nella quale ci troviamo apre la porta a tali confronti, anche se essi non sono giustificati. Vorrei solo dire che non bisogna considerare soltanto gli atti posti, c'è anche la ragione che ispira questi atti. Noi pensiamo che, in ciò che è stato fatto e detto, ci sono sufficienti elementi perché un fedele possa farsi un giudizio.

Lei dà l'impressione di essere, in generale, ottimista. Che cosa, al di là forse della sua disposizione naturale, le dà quest'ottimismo?

La fede! La fede mi dà certezze. Dio, che ha promesso la sua assistenza alla Chiesa, non la abbandonerà. Vedo la Chiesa in pena, vedo la Chiesa che soffre, e so, con la fede, che questa situazione non durerà, che questa crisi che danneggia le anime sarà superata. Ce ne saranno altre, perché so anche che la Chiesa è militante, che si trova in mezzo a un mondo che non la ama per niente; ci saranno, dunque, altre sofferenze che saranno anch'esse superate. Il mio ottimismo è realmente nel Signore. È tutta la nostra religione che ce lo insegna, facendoci cantare che la nostra gioia è nel nome del Signore, la nostra forza, il nostro aiuto è nel nome del Signore. La ragione del mio ottimismo è questa.

Ed esso si rafforza davanti a quello che succede?

Vedo una linea direttrice. Da diversi anni si constata che si arriva alla cavità dell'onda. Penso anche che si stia già risalendo. Innanzitutto, la generazione degli uomini del Concilio sta scomparendo. Dio li chiama a Sé. La generazione seguente, che non ha conosciuto il Concilio o lo ha conosciuto solo in modo indiretto, non vi è attaccata come quella che l'ha preceduta. Questi giovani sacerdoti percepiscono un vuoto; essi cercano. E si rendono conto anche che noi non conosciamo questa sensazione di vuoto, perché abbiamo una soluzione. È un dato oggettivo. Lo si constata tutti i giorni: il numero di sacerdoti, religiosi, religiose che si rivolgono a noi aumenta. Come il numero di vescovi che ci manifestano la loro simpatia. Per il momento, questi vescovi restano silenziosi, alcuni di loro sono francesi! Abbiamo testimonianze di sacerdoti e di fedeli che mostrano che, senza essere granché, noi siamo per loro una speranza. Non noi, certamente, ma il nostro modo di vita, quello che facciamo, quello a cui teniamo! Ci sono vicari generali che ci dicono: resistete, voi siete la nostra sola speranza! È abbastanza nuovo! Ed è in aumento, un po' come i primi fili d'erba nel deserto. Non è ancora il prato, ma ci sono i rametti che iniziano a uscire. Non è ancora la primavera, non ci sono abbastanza rondini. Ma si indovina che viene!

Vi è dunque una certa soddisfazione?

Manifestiamo ancora un entusiasmo abbastanza riservato, perché non vorremmo che sacerdoti e fedeli, dopo un entusiasmo eccessivo, cadano nella delusione. È un processo lento, va dalla parte giusta. Ma se si ha un entusiasmo esagerato che poi è deluso, è difficile riprendersi.

Ne occorre lo stesso un po'!

Certamente! Ancora una volta si va nella direzione giusta. Quasi un anno fa il cardinale Castrillón Hoyos mi diceva il suo scoraggiamento. Gli rispondevo: io non sono scoraggiato. Constato che avanza dalla parte giusta. È lento, ma è nelle mani di Dio.

 

da "Présent", 5 novembre 2005 (trad. nostra)
cfr.
qien.free.fr/20051105_present.htm

 

 

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Inserito il 18 novembre 2005

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