Messe latine antiche nelle Venezie
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Sicumera antistorica, di chi?

È sempre sorprendente quando qualcuno vuole parlare di cose che nella sostanza non conosce, e lo fa in maniera superficiale e impropria, se non completamente errata. Tuttavia non sono in pochi a farlo, anche sui giornali, su argomenti come la messa, le religione, i concili, e sovente sembra si avvalgano di consulenti ecclesiastici che - e questo meraviglia meno - possono consigliargli affermazioni che non si sa se abbiano più dell'errore o della faziosità. Come Alberto Melloni che ha scritto sul Corriere della Sera del 22 novembre 2005, testualmente, "solo il rito ambrosiano si salvò miracolosamente" (dall'instaurazione del messale di san Pio V). Non serve essere specialisti per rendersi conto che si tratta di una affermazione assolutamente falsa, sotto due punti di vista: da un lato tra i riti precedenti non solo il rito ambrosiano è sopravvissuto fino a oggi, dall'altro non fu nessun "miracolo", perché era stato espressamente previsto da san Pio V (altri riti furono abbandonati in seguito da coloro che avevano diritto a mantenerli, come il rito aquileiese abolito alla fine del '500 dal patriarca che passò al rito romano). E davanti a questa disposizione pontificia che lasciava in vigore tutti i riti bicentenari, non si capisce davvero come si possa parlare - come fa il Melloni - di "operazione ... che creava ex nihilo l'uniformità cattolica, ricopriva le secolari e multiformi tradizioni locali". A proposito di "sicumera antistorica", non ha alcun senso fare acritici paragoni tra fatti storici ed epoche molto lontane e diverse (e le differenze innegabili le facciamo sparire?), se non per impostare un discorso ideologico, e fazioso. Che la "riforma" di san Pio V (ma anche la parola "riforma" ha vari significati) fu forte, coraggiosa, drammatica come quella di Paolo VI (che significa esattamente?) dimostra che sbagliano coloro che oggi sono legati alla messa antica?

Ma quando questo Alberto Melloni che sa tutto, o crede di sapere, ma soprattutto si attiene al politicamente corretto clericale, viene criticato con argomenti sulle cose insostenibili che ha scritto da mons. Bernard Fellay, esponente di punta dei "circoli lefebvriani" che lo stesso Melloni aveva chiamato in causa, che cosa fa il Melloni? Replica con altri argomenti? No, non risponde alle critiche (gli argomenti non li ha, perché non ci sono), ma afferma, senza prove, che Fellay è antistorico, che sbaglia e, sembra di capire, il Papa lo dovrebbe riportare alla "verità delle cose". Melloni forse non sa, tra l'altro, che in certi casi è meglio tacere.

Fabio Marino

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E REPLICHE

Concilio Vaticano II: la riforma della Messa

 

L'articolo intitolato "I due volti della tradizione", apparso nel Corriere della Sera del 22 novembre, merita una replica. L'autore stabilisce un parallelo tra la riforma della Messa dopo il Concilio di Trento e quella elaborata in seguito al Concilio vaticano II. Secondo l'autore "quel messale (di San Pio V, ndr) nacque da un atto di riforma non meno forte, coraggioso, drammatico" rispetto al messale di Paolo VI. Ma questo tentativo di mostrare una continuità tra le due riforme viene smentito dai fatti.

San Pio V codificando il messale romano non ha fatto altro che restituire il rito tradizionale, mentre la riforma di Paolo VI ha inventato un nuovo rito. Il dibattito è proprio su questo punto: restaurazione o invenzione.

D'altro canto i preti e i fedeli attaccati alla Messa tridentina non oppongono San Pio V al Vaticano II in ragione di un preteso errore di prospettiva storica, ma essi deplorano la rottura tra un rito nuovo - i cui autori hanno confessato le proprie intenzioni ecumeniche - e la fede cattolica nella sua integrità.

Contrariamente ai rinnovatori conciliari, San Pio V non ha soppresso i riti che potevano vantare più di 200 anni di esistenza, non solamente il rito ambrosiano, come ricorda l'autore dell'articolo, ma anche il rito certosino, il rito domenicano, il rito di Braga, il rito lionese...

È certo che la Chiesa deve mantenere la vitalità della sua preghiera che è l'espressione della vitalità della sua fede. Ma i fatti parlano da soli: la caduta vertiginosa delle vocazioni, l'abbandono in massa della pratica religiosa mostrano in modo più eloquente di tanti discorsi e articoli se la nuova Messa sia spiritualmente feconda. Queste statistiche allarmanti non sono né tridentine né lefebvriane. Ci sono e basta. Contro questi fatti non serve a nulla piangere: è più utile reagire. Ritornare verso il tesoro della tradizione cattolica bimillenaria non è una scelta nostalgica, ma è una reazione vitale per oggi.

Un'ultima cosa: secondo l'autore dell'articolo la ritualità tridentina avrebbe "collassato lentamente, man mano che le devozioni alzavano un muro di reciproca estraneità fra il popolo" e la celebrazione dei misteri. Comunque sia, nella Messa di San Pio V il popolo avvertiva il respiro dell'eternità. Questo nel rito di Paolo VI è completamente scomparso.

Monsignor Bernard Fellay
Superiore generale della fraternità sacerdotale San Pio X

 

• Bernard Fellay rimane dunque convinto che Paolo VI abbia tradito "la fede cattolica nella sua integrità" e che il Vaticano II abbia "inventato" una liturgia priva del "respiro dell'eternità" che per lui parla solo latino. Speravo - devo confessarlo - che un autorevole interlocutore, col quale il superiore della fraternità san Pio X ha avuto il privilegio di conversare durante l'estate l'avesse fatto riflettere sulla sicumera antistorica con cui parla del Vaticano II, il Concilio di cui celebreremo fra poco i 40 anni e che continua a essere strattonato fra chi lo accusa d'aver tradito la tradizione e chi lo vorrebbe imbalsamare in un continuismo senza orizzonte. Se nel tentativo di riconciliare Fellay con la verità delle cose e la realtà della comunione cattolica non c'è riuscito Benedetto XVI, non potevo certo riuscirci io...

Alberto Melloni

 

da "Corriere della Sera", 22 novembre 2005

 

 

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Inserito il 7 dicembre 2005

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