Home

Chi siamo

Agenda

Messe

Calendario

Documenti

Liturgia

Dottrina

Sollemnia

Libri

Rassegna stampa

Archivio

Link

Contatto

 

Dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico > Proprio dei Santi > Domenica Quindicesima dopo la Pentecoste

 

 

 

L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

XV  DOMENICA

 

Storia

Mistica

Pratica

Ss.Trinità

I Domenica

Corpus Domini

Venerdì dopo il Corpus Domini

Sabato dopo il Corpus Domini

II Domenica

Lunedì II settimana

Martedì II settimana

Mercoledì II settimana

Giovedì II settimana

Venerdì II settimana

Sabato dopo il S. Cuore

III Domenica

Lunedì III settimana

Martedì III settimana

Mercoledì III settimana

Giovedì nell'Ottava del Sacro Cuore

Giovedì III domenica

Venerdì III settimana

IV Domenica

V Domenica

VI Domenica

VII Domenica

VIII Domenica

IX Domenica

X Domenica

XI Domenica

XII Domenica

XIII Domenica

XIV Domenica

XV Domenica

XVI Domenica

XVII Domenica

XVIII Domenica

XIX Domenica

XX Domenica

XXI Domenica

XXII Domenica

XXIII Domenica

XXIV ult. Domenica

 

LINK  UTILI

L'eresia antiliturgica

Spiegazione della santa messa

Dom Guéranger (Abbaye Saint Benoît de Port-Valais)

Abbaye de Solesmes

 

Missale Romanum

 

489

DOMENICA  QUINDICESIMA  DOPO  LA  PENTECOSTE

 

 

MESSA

La decimaquinta domenica dopo Pentecoste prende il nome dal commovente episodio della vedova di Naim. L'Introito ci suggerisce la forma delle preghiere che in tutti i nostri bisogni dobbiamo rivolgere al Signore.

L'Uomo-Dio promise domenica scorsa di provvedere sempre a tali bisogni, alla sola condizione di essere da noi servito con fedeltà nella ricerca del suo regno. Mostriamoci pieni di confidenza nella sua parola, come è doveroso esserlo quando eleviamo le nostre suppliche, e saremo esauditi.

 

EPISTOLA (Gal. 5, 25-26; 6, 1-10). - Fratelli: se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito, senza essere bramosi di vanagloria, senza provocarci o invidiarci a vicenda. Fratelli, se uno fosse caduto in qualche fallo, voi che siete spirituali istruitelo in spirito di dolcezza, e bada bene a te stesso, tu che pure non sei tentato. Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo. Se poi uno crede di essere qualche cosa, mentre non è nulla, questi illude se stesso. Ciascuno invece esamini le proprie opere ed avrà così da gloriarsi soltanto in se stesso e non in altri; perché ciascuno porterà il proprio peso. Chi poi è catechizzato nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo catechizza. Non vogliate ingannarvi: Dio non può essere schernito; quel che uno avrà seminato quello pure mieterà; quindi chi semina nella sua carne, mieterà dalla sua carne la corruzione; chi invece semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. E non ci stanchiamo nel fare il bene, perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Facciamo dunque del bene finché abbiamo tempo, a tutti, ma specialmente a quelli che per la fede sono della nostra famiglia.

 

Perseveranza nella lotta.

La santa Chiesa riprende la lettura di san Paolo al punto in cui l'interruppe otto giorni fa. Oggetto degli insegnamenti apostolici è ancora la vita spirituale, la vita prodotta nelle anime nostre dallo Spirito Santo, per sostituire la vita della carne. Domata la carne, non è compiuto l'edificio della nostra perfezione e anche dopo la vittoria la lotta deve continuare; se non vogliamo vederne compromessi i risultati, occorre vegliare perché l'una o l'altra delle tre concupiscenze, sfruttando il momento in cui l'anima è impegnata in altri sforzi, non si riprenda e infligga ferite tanto più dannose quanto meno

490

temute. Bisogna soprattutto sorvegliare attentamente la vanagloria, sempre pronta ad inquinare del suo sottile veleno perfino le opere di umiltà e di penitenza.

 

Fuga della vanagloria.

Il condannato, che con la flagellazione si fosse sottratto alla meritata pena capitale, commetterebbe una grossa follia gloriandosi dei colpi di flagello segnati nella sua carne! Non commettiamo noi questa follia! Pare tuttavia che noi possiamo purtroppo commetterla, perché l'Apostolo ai consigli sulla mortificazione fa tosto seguire la raccomandazione di evitare la vanagloria. E infatti a questo riguardo saremo pienamente sicuri solo se l'umiliazione fisica inflitta al corpo trova la sua radice nell'umiliazione dell'anima convinta della sua miseria. Anche gli antichi filosofi avevano le loro massime sulla repressione dei sensi e con la pratica di tali massime il loro orgoglio si elevava fino al cielo. Essi erano in questo molto lontani dai sentimenti dei nostri padri nella fede, i quali indossando il cilicio e prostrati in terra (I Par. 21, 16), esclamavano nel segreto del cuore: Pietà di me, o Signore, secondo la tua grande misericordia, perché fui concepito nella iniquità e il mio peccato mi sta sempre innanzi (Salm. 50, 3, 5-7).

 

Le opere della carne.

Infliggere sofferenza ai corpi per trarne vanità non è forse, come dice san Paolo oggi, seminare nella carne, per raccogliere a suo tempo, cioè nel giorno in cui saranno manifestati i pensieri dei cuori (I Cor 4, 5), non la vita e la gloria, ma confusione e vergogna eterna? Fra le opere della carne elencate nell'Epistola precedente non sono infatti soltanto atti impuri, ma anche contese, dissensi, gelosie (Gal. 5, 19, 21), che sorgono troppo spesso dalla vanagloria sulla quale l'Apostolo richiama adesso la nostra attenzione.

Il prodursi di questi frutti detestabili è segno certissimo che la linfa della grazia ha fatto posto alla fermentazione del peccato nelle nostre anime e che, ritornati schiavi, dobbiamo di nuovo contare sulla legge e sulle sue terribili sanzioni. Non ci si burla di Dio e la confidenza, che giustamente dona a chi vive dello Spirito la sovrabbondante fedeltà dell'amore, in queste condizioni si riduce ad una ipocrita falsificazione della santa libertà dei figli dell'Altissimo. Figli infatti sono soltanto coloro che lo Spirito Santo conduce (Rom.

491

8, 14) nella carità (Gal. 4, 13): gli altri restano nella carne e non possono piacere a Dio (Rom. 8, 8).

 

La carità fraterna.

Se invece vogliamo un segno certo che l'unione divina ci appartiene, non prendiamo occasione di insuperbirci vanamente per i difetti e gli errori dei nostri fratelli, ma siamo indulgenti verso di essi, tenendo presente la nostra miseria; e quando cadono porgiamo loro una mano soccorrevole e discreta. Portiamo, aiutandoci vicendevolmente, i nostri pesi nel cammino della vita e allora, avendo adempita la legge del Cristo, sapremo (I Gv. 6, 13) che noi siamo in Lui ed Egli è in noi.

San Giovanni, che ha riferito queste parole ineffabili, usate da Gesù per caratterizzare la sua intimità futura con chi mangia la carne del Figlio dell'uomo e ne beve il sangue al divino banchetto (Gv 6,57), le riprende una per una nelle sue Epistole, per applicarle a colui che nello Spirito Santo osserva il comandamento dell'amore verso i fratelli (I Gv. 3, 23-24; 4, 12-13).

Risuoni continuamente al nostro orecchio questa parola dell'Apostolo: Finché abbiamo tempo facciamo del bene a tutti! Verrà infatti il giorno e ormai non è lontano in cui l'angelo dalla livrea misteriosa farà echeggiare la sua voce nello spazio e, levata al cielo la mano, giurerà per Colui che vive in eterno che il tempo è finito (Apoc. 10, 1-6). L'uomo raccoglierà allora nella gioia quello che ha seminato nel pianto (Salm. 125, 5), raccoglierà nella luce sfolgorante del giorno eterno il bene compiuto nelle tenebre dell'esilio.

 

VANGELO (Lc. 7, 11-16). - In quel tempo: Gesù andava ad una città chiamata Naim: e i suoi discepoli e una gran folla andavano con Lui. E quando fu vicino alla porta della città, ecco era al portato al sepolcro uno che era figlio unico di sua madre, e questa era vedova; e con lei v'era molto popolo della città. E il Signore, vedutala, ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara (i portatori si fermarono). Ed egli disse: Giovanetto, te lo dico io, levati! E il morto si alzò a sedere e cominciò a parlare. E lo rese alla madre. Allora tutti furono invasi da sbigottimento, e glorificarono Dio esclamando: Un grande Profeta è sorto in mezzo a noi, e Dio ha visitato il suo popolo.

 

La morte spirituale.

Nell'Omelia letta oggi a Mattutino, sant'Agostino commenta questo Vangelo e ci dice: "Se la risurrezione del giovane riempie di gioia la vedova sua madre la Chiesa nostra madre gode ogni

492

giorno vedendo risorgere spiritualmente gli uomini. Il figlio della vedova era morto della morte del corpo e gli uomini erano morti della morte dell'anima. Si piangeva visibilmente per la morte del primo e non si notava affatto la morte invisibile di questi.

Nostro Signore Gesù Cristo voleva che fossero intesi in senso spirituale i miracoli da Lui operati nel corpo. Egli non faceva il miracolo per il miracolo, ma voleva che, suscitata l'ammirazione degli astanti, il miracolo fosse pieno di verità anche per coloro che ne comprendevano il significato... I testimoni oculari dei prodigi del Cristo, che non hanno compreso ciò che i prodigi significavano per le anime illuminate, hanno ammirato il fatto materiale del miracolo, altri però ne hanno ammirato il fatto e ne hanno compreso il significato e a questi, alla scuola di Cristo, noi dobbiamo assomigliarci...

Ascoltiamo dunque Cristo e sia frutto, per quelli che sono vivi, il conservare piena la loro vita e, per quelli che sono morti, ricuperarla al più presto (sant'Agostino, Disc. xcviii).

 

Il buon zelo.

Cristiani, preservati dalla caduta per la misericordia del Signore, dobbiamo prendere parte alle angosce della Chiesa e aiutarla in tutte le attività che lo zelo suo svolge per salvare i nostri fratelli. Non basta non essere i figli insensati che addolorano la madre (Prov. 17, 25) e disprezzano il seno che li ha portati (ibid. 30, 17). Se anche non sapessimo dallo Spirito Santo stesso che onorare la madre è assicurarsi un tesoro (Eccli. 3, 5) il ricordo di quanto le costò la nostra nascita (Tob. 4, 4) deve bastare ad indurci ad approfittare di tutte le occasioni per asciugare il suo pianto. Essa è la Sposa del Verbo alle nozze del quale anelano anche le anime nostre e, se è vero che noi siamo uniti al Verbo, come essa lo è, dimostriamolo manifestando nelle nostre opere il pensiero e l'amore che lo Sposo comunica nelle sue intimità, cioè il pensiero della gloria del Padre, che deve essere rinnovata nel mondo e l'amore per i peccatori, che devono essere salvati.

 

PREGHIAMO

La tua misericordia, o Signore, purifichi e fortifichi continuamente la tua Chiesa; e giacché non può sussistere senza di te, sia sempre governata dalla tua grazia.

 

da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 489-492.

 
                                                                

Inizio Pagina

Torna a dom Guéranger