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Dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico > Proprio dei Santi > Domenica Diciannovesima dopo la Pentecoste

 

 

 

L'anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

 

XIX  DOMENICA

 

Storia

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Ss.Trinità

I Domenica

Corpus Domini

Venerdì dopo il Corpus Domini

Sabato dopo il Corpus Domini

II Domenica

Lunedì II settimana

Martedì II settimana

Mercoledì II settimana

Giovedì II settimana

Venerdì II settimana

Sabato dopo il S. Cuore

III Domenica

Lunedì III settimana

Martedì III settimana

Mercoledì III settimana

Giovedì nell'Ottava del Sacro Cuore

Giovedì III domenica

Venerdì III settimana

IV Domenica

V Domenica

VI Domenica

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VIII Domenica

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X Domenica

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XIV Domenica

XV Domenica

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XVIII Domenica

XIX Domenica

XX Domenica

XXI Domenica

XXII Domenica

XXIII Domenica

XXIV ult. Domenica

 

LINK  UTILI

L'eresia antiliturgica

Spiegazione della santa messa

Dom Guéranger (Abbaye Saint Benoît de Port-Valais)

Abbaye de Solesmes

 

Missale Romanum

 

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DOMENICA  DICIANNOVESIMA  DOPO  LA  PENTECOSTE

 

 

MESSA

Il capo augusto del popolo di Dio è salvezza dei suoi in tutti i loro mali e lo ha dimostrato in modo evidente domenica scorsa, ridonando salute al corpo e all'anima del povero paralitico, che ci raffigurava tutti. Ascoltiamo con riconoscenza ed amore la sua voce e promettiamo la fedeltà che chiede. La sua legge osservata ci difenderà dalle ricadute.

 

EPISTOLA (Efes. 4, 23-28). - Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Lasciate quindi da parte ogni menzogna, parli ciascuno secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. se vi adirate guardatevi dal peccare: il sole non tramonti sopra l'ira vostra, né fate posto al diavolo. Chi rubava non rubi più, ma faccia piuttosto con le sue mani qualche onesto lavoro in modo che abbia qualcosa da donare ai bisognosi.

 

La Chiesa riprende oggi la lettura della lettera agli Efesini sospesa domenica. L'Apostolo che ha posto prima i principi della vera santità, ne deduce adesso le conseguenze morali.

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L'uomo nuovo.

Apprendiamo nell'Epistola la morale di san Paolo, che cosa egli intenda per giustizia della verità, che è quella di Cristo (Rom. 13, 14) e dell'uomo nuovo, che chi aspira al possesso delle ricchezze enumerate nei passi precedenti della sua lettera immortale deve rivestire. Chi rilegge l'Epistola della domenica decimasettima trova che tutte le regole dell'ascetismo cristiano e della vita mistica si riassumono per l'Apostolo in queste parole: Preoccupiamoci dell'unità (Efes.  4, 3). Questa massima che egli dà ai principianti e ai perfetti è il coronamento delle vocazioni più sublimi nell'ordine della grazia, come è fondamento e ragione di tutti i comandamenti di Dio, sicché, se noi dobbiamo evitare la menzogna e dire il vero a chi ci ascolta, per l'Apostolo il motivo è questo: Perché noi siamo membra l'uno dell'altro! 

È santo lo sdegno di cui parlava il salmista destato (Sal 4,5) in certe occasioni dallo zelo della legge divina e della carità, ma il movimento di irritazione sorto nell'anima deve anche allora calmarsi prestissimo. Il prolungarlo sarebbe far posto al diavolo e dargli modo di scuotere e rovesciare in noi l'edificio della santa unità con il rancore e l'astio.

Prima della nostra conversione, il prossimo soffriva non meno di Dio per i nostri falli, l'ingiustizia ci toccava poco, quando passava inavvertita, l'egoismo era legge per noi ed era a garanzia del regno di Satana nelle nostre anime. Ora lo Spirito di santità ha cacciato l'indegno usurpatore e il segno migliore del dominio riconquistato è il fatto che noi non solo sentiamo che i diritti del prossimo sono sacri, ma ancora che il nostro lavoro e tutta la nostra attività si ispira al pensiero delle necessità del prossimo, alle quali occorre provvedere, e come l'Apostolo prosegue e conclude poco dopo, essendo imitatori di Dio, come figli suoi carissimi, camminiamo nell'amore (Efes. 5, 1-2).

 

VANGELO (Mt. 22, 2-14). - In quel tempo: Gesù parlava ai principi dei sacerdoti e ai Farisei in parabole, dicendo: Il regno dei cieli è simile ad un re il quale fece le nozze a suo figlio. E mandò i servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò ancora altri servi, dicendo: Dite agli invitati: Ecco il mio pranzo è già apparecchiato, si sono ammazzati i buoi e gli animali ingrassati, e tutto è pronto: venite alle nozze. Ma quelli non se ne presero cura e andarono chi al suo campo e chi al suo negozio. Allora poi presero i servitori, li oltraggiarono e li uccisero. Avendo udito quanto era avvenuto, il re fu pieno d'ira e mandò le sue milizie a sterminare quegli

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omicidi e a dar fuoco alle loro città. Quindi disse ai suoi servi: Le nozze son pronte, ma gli invitati non erano degni. Andate dunque ai crocicchi delle strade e, quanti troverete, chiamateli alle nozze. E usciti per le strade i servi di lui radunarono quanto trovarono, buoni e cattivi, e la sala delle nozze fu piena d'invitati. Or entrato il re a vederli, vi notò un uomo che non era in abito di nozze. E gli disse: Amico, come sei entrato qua senza la veste da nozze? E colui ammutolì. Allora disse il re ai servi: Legatelo mani e piedi, e gettatelo fuori, nel buio; ivi sarà pianto e stridor di denti. Perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.

 

Le nozze del Figlio di Dio.

Tutto quanto abbiamo veduto nelle domeniche scorse ci ha mostrato la Chiesa preoccupata soltanto di preparare l'umanità a queste meravigliose nozze, che sono l'unico fine perseguito dal Verbo, venendo sulla terra. Nell'esilio che si prolunga, la Sposa del Figlio di Dio ci è apparsa modello vivente dei suoi figli e ha sempre cercato di istruire questi figli, perché potessero capire il grande mistero della unione divina. Tre settimane or sono (XVI Domenica dopo Pentecoste) sentendo direttamente la sua sola preoccupazione di Madre e di Sposa, ricordava ai figli la chiamata ineffabile e, otto giorni dopo (XVII Domenica dopo Pentecoste) per le sue premure, lo sposo delle nozze cui erano invitati si rivelava nell'Uomo-Dio, oggetto del doppio precetto dell'amore, che riassume tutta la legge. Oggi l'insegnamento si completa e la Chiesa lo precisa nella Officiatura della notte, in cui abbiamo tutto il pensiero di san Gregorio, eminente Dottore e grande Papa che, in nome della Chiesa, spiega il Vangelo così:

 

Il commento di san Gregorio.

"Il regno dei cieli è l'assemblea dei giusti. Il Signore dice infatti per mezzo di un profeta: Mio trono è il cielo (Is. 56, 1); e Salomone dice a sua volta: L'anima del giusto è il trono della Sapienza (Sap. 7, 27), mentre Paolo chiama il Cristo: Sapienza di Dio (I Cor. 1, 24). Se il cielo è il trono di Dio, essendo la Sapienza Dio ed essendo l'anima del giusto trono della Sapienza, dobbiamo concludere che l'anima del giusto è un cielo... e veramente il regno dei cieli è l'assemblea dei giusti... Se questo regno è detto simile a un re che celebra le nozze del figlio, il vostro amore comprende subito quale sia questo re, padre di un figlio, che è re come lui e cioè che è quello di cui nel salmo è detto: Concedi, o Dio, al Re il tuo diritto e al Figlio del Re la tua giustizia (Sal. 71, 2). Dio Padre fece le nozze di Dio,

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suo Figlio, quando lo unì alla natura umana e dispose che colui, che era Dio prima dei secoli, divenisse uomo alla fine dei tempi, ma noi dobbiamo evitare il pericolo che si possa intendere una dualità di persone nel nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo e perciò è più chiaro e più sicuro dire che il Padre fece le nozze del Re, suo Figlio, unendo a Lui, nel mistero dell'Incarnazione, la Santa Chiesa. In seno alla Vergine Madre fu la camera nuziale di questo Sposo di cui il salmista disse (Sal. 18, 6): Stabilì la sua tenda nel sole, egli è lo Sposo che esce dalla camera nuziale" (Omelia XXXVIII sul Vangelo).

 

PREGHIAMO

Dio onnipotente e misericordioso, togli ogni ostacolo dal nostro cammino, affinché, liberi nell'anima e nel corpo, ti serviamo con tutto lo slancio del cuore.

 

da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 511-514.

 
                                                                

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