DOMENICA
DICIASSETTESIMA
DOPO LA PENTECOSTE
MESSA
I
decreti di Dio sono sempre giusti sia quando confonde gli
orgogliosi sia quando nella sua misericordia esalta gli
umili. Vedemmo la sua volontà sovrana all'opera otto
giorni or sono nella distribuzione dei posti riservati ai
santi al banchetto dell'unione divina e, ricordando le
pretese e la sorte degli invitati alle nozze, chiediamo
soltanto misericordia.
EPISTOLA
(Ef 4,1-6). - Fratelli: Io, che sono prigioniero del
Signore, vi scongiuro di avere una condotta degna
della vocazione che avete ricevuto, con tutta umiltà,
con mansuetudine, con pazienza, con carità,
sopportandovi gli uni gli altri, studiandovi di
conservare l'unità dello spirito con il vincolo
della pace. Un sol copro, un solo spirito, come ad
una sola speranza siete stati chiamati con la vostra
vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo
battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti che è sopra
tutti , che è in tutte le cose e specialmente in noi
nei secoli dei secoli così sia.
Con la
lettera di san Paolo ai cristiani di Efeso la Chiesa
riprende l'esposizione delle grandezze dei suoi figli e
li supplica di rispondere in modo degno alla loro
vocazione divina.
La
chiamata di Dio.
Noi conosciamo già
questa chiamata di Dio. È la chiamata del genere umano
alle nozze dell'unione divina delle nostre anime a
regnare nei cieli sul trono del Verbo diventato loro
Sposo e loro Capo (Ef 2,5). Un tempo il Vangelo di otto
giorni or sono era più legato all'Epistola, che abbiamo
letta e nella quale trova un brillante commento, mentre a
sua volta spiega in modo perfetto le parole dell'Apostolo:
"Quando sarete invitati alle nozze, diceva il
Signore, cum vocatus fueris, prendete l'ultimo
posto". "In tutta umiltà, aggiunge l'Apostolo,
mostratevi degni della vocazione che avete ricevuta: digne
ambuletis vocatione qua vocati estis".
Fine
e modo di intendere la chiamata.
Quale condizione
dobbiamo adempire per mostrarci degni dell'altissimo
onore che il Verbo eterno ci ha fatto? Umiltà,
mansuetudine, pazienza sono mezzi raccomandati per
arrivare allo scopo. Lo scopo è l'unità del
corpo immenso, che il Verbo ha fatto suo nella
celebrazione delle mistische nozze e la condizione che l'Uomo-Dio
esige da quelli che, partecipando della Chiesa, sua Sposa,
chiama ad essere ossa delle sue ossa, carne della sua
carne (ivi 5,30), è che mantengano tra loro un'armonia
che faccia veramente di tutti un'anima sola, un copro
solo, nei vincoli della pace.
"Legame
splendido, - esclama san Giovanni Crisostomo - legame
meraviglioso, che tutti ci unisce e tutti insieme ci lega
a Dio!": La sua forza è la forza dello Spirito
Santo stesso, tutto santità ed amore, perché è lo
Spirito che stringe i suoi nodi immateriali e divini,
agendo nella moltitudine dei battezzati come come il
soffio vitale nel corpo umano, che anima e unisce le
membra tutte. Per lo Spirito, giovani e vecchi, poveri e
ricchi, uomini e donne, sebbene distinti per razza e per
indole, diventano un solo tutto, fusi in un immenso
abbraccio in cui arde senza fine l'eterna Trinità. Però,
perché l'incendio dell'amore infinito possa impadronirsi
dell'umanità rigenerata, occorre che essa si purifichi
eliminando le rivalità, i rancori, i dissensi, che,
rivelandola ancora carnale, la renderebbero poco
accessibile alla fiamma divina e all'unione che produce.
La
carità fraterna e i suoi frutti.
Stringiamoci ai
fratelli con questa felice catena della carità, perché
essa non coarta che le nostre passioni e dilata invece le
anime nostre, lasciando che lo Spirito le conduca con
sicurezza a realizzare l'unica speranza della nostra
vocazione comune, che è l'unione a Dio nell'amore.
Quaggiù la carità, anche per i Santi, è una virtù
faticosa perché raramente, anche nei migliori, la grazia
restaura l'equilibrio delle facoltà, rotto dal peccato
originale, in modo che non restino deficienze. Perciò la
debolezza, gli eccessi della povera natura si fanno
ancora sentire, nonostante l'umiltà del giusto e la
vigile pazienza di coloro che l'attorniano. Dio permette
questo, per accrescere il merito di tutti e ravvivare in
noi il desiderio del cielo nel quale ritroveremo una
totale e facile armonia con tutti i nostri simili,
perché noi pure ci saremo pienamente pacificati nel
dominio assoluto di Dio tre volte santo, divenuto tutto
in tutti (1Cor 15,28).
Nella patria
fortunata Dio stesso tergerà ai suoi eletti il pianto
causato dalle miserie, rinnovando il loro essere alla
sorgente infinita (Ap 21,4-5). Il Figlio eterno, abolito
il dominio delle forze avverse e vinta la morte in
ciascuno dei suoi membri mistici (1Cor 15,24-28),
apparirà nella pienezza del mistero della sua
incarnazione vero Capo dell'umanità santificata,
restaurata e sviluppata in lui (Ef 1,10).
VANGELO (Mt 22,34-46).
- In quel tempo: S'accostarono a Gesù i Farisei, uno
dei quali, dottore in legge, lo interrogò, per
tentarlo: Maestro, qual è il maggiore comandamento
della legge? E Gesù gli rispose: Amerai il Signore
Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
anima, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e
primo comandamento: il secondo poi è simile a questo:
Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due
comandamenti dipende tutta la legge e i profeti.
Essendo dunque adunati i Farisei, Gesù li interrogò
dicendo: Che vi pare del Cristo? Di chi è figlio?
Gli rispondono: Di David. Ed egli a loro: Come
dunque David, in spirito, lo chiama Signore, dicendo:
Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia
destra, sinché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei
tuoi piedi? Se dunque David lo chiama Signore, in
qual modo è suo figlio? E nessuno poteva replicargli
parola; né vi fu chi ardisse, da questo giorno in
poi, d'interrogarlo.
La
carità.
L'Apostolo che disse:
Scopo della legge è la carità (1Tm 1,5) disse pure: Scopo della legge è il Cristo (Rm 10,4), e noi
cediamo ora l'armonia di queste due proposizioni. Vediamo
anche allo stesso modo la relazione delle parole del
Vangelo: In questi due comandamenti sono compresi
tutta la legge e i profeti e le altre, che sono pure
del Signore: Scrutate le Scritture, perché esse mi
rendono testimonianza (Gv 5,39).
La prefazione della
legge che regola i costumi è nella carità (Rm 13,10)
il cui fine è Cristo e oggetto delle Scritture rivelate
è l'Uomo-Dio, che nella sua adorabile unità riassume
per i suoi morale e dogma.
"Egli è la loro
fede, il loro amore termine di tutte le nostre
risoluzioni, - dice sant'Agostino - perché tutti i
nostri sforzi tendono a perfezionarci in Lui e giungere
in Lui è la nostra perfezione. Giunto a Lui, non cercare
oltre: egli è la tua meta" (Enarr. sul Sal 56). Il
santo Dottore ci dà qui la miglior formula dell'unione
divina: "Aderiamo a Lui solo, godiamo in Lui solo,
siamo tutti in Lui: haereamus uni, fruamur uno,
permaneamus unum" (De Trin. iv, 11).
La bella antifona
dell'Offertorio di oggi, separata dai versetti che una
volta l'accompagnavano, non rivela più la ragione per
cui ebbe da remotissimi tempi tale posto. Riportiamo i
versetti che seguivano l'Antifona, rilevando che l'ultimo
termina con la notizia dell'arrivo del principe delle
armate celesti in soccorso del popolo di Dio. È questo l'effetto
cercato come risulta dall'Antifonario pubblicato
dal beato Tommasi, conforme ai più antichi manoscritti,
dove questa domenica apre la settimana della festa del
grande Arcangelo e la Domenica prossima vi è designata
col nome di Prima Domenica dopo la festa di san
Michele (prima post sancti Angeli).
OFFERTORIO. -
Io, Daniele, ho pregato il mio Dio dicendo: Signore,
esaudisci le preghiere del tuo servo, fa splendere la
tua faccia sul tuo santuario e guarda misericordioso
questo popolo sul quale, o Dio, è stato invocato il
tuo nome.
V/. Mentre io
ancora parlavo e pregavo e dicevo i miei peccati e le
colpe di Israele. mio popolo.
V/. Io udii
una voce che mi diceva: Intendi, Daniele, le parole
che ti rivolgo, perché io sono inviato a te, ed ecco
che Daniele stesso giunse in mio soccorso.
Guardate con
misericordia.
PREGHIAMO
Signore,
libera il tuo popolo dagli errori contagiosi del demonio
e concedigli la grazia di seguire solo te nella
sincerità del cuore.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico.
- II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad.
it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p.
497-500